Sono stati giorni tristi, in cui abbiamo rivisto le immagini dei disastri provocati dalle piogge in Emilia Romagna, a solo un anno e mezzo di distanza dall’ultima alluvione, e mentre il dibattito politico si concentrava sul balletto di responsabilità sulle ragioni per cui i cittadini di quella regione ancora aspettano i ristori dell’emergenza precedente, si è manifestato in maniera plastica come il Governo pensa di affrontare tali emergenze senza rischiare di sfidare il paradigma dell’austerità: sostanzialmente, senza fare niente, e addirittura raccomandando (o, come vedremo, obbligando) cittadini e imprese a vedersela da soli e a loro spese.
Andiamo con ordine: sappiamo bene che l’Italia è un paese fragile dal punto di vista idrogeologico, tanto più in quanto vittima di un modello di sviluppo che ha favorito una crescita disordinata del territorio a tutto vantaggio del profitto, con un continuo consumo di suolo che l’ha resa sempre più esposta agli eventi estremi (e a volte neanche gli eventi tanto estremi hanno causato disastri).
Emblematica poi la situazione specifica dell’Emilia Romagna dove un modello di sviluppo territoriale scellerato fondato su un uso intensivo e irresponsabile del territorio -promosso e sostenuto dalle amministrazioni del centro-sinistra neo-liberale – è, con ogni evidenza, alla base del disastro consumatosi nel maggio 2023 e ancora, in proporzioni meno drammatiche, pochi giorni fa.
È dunque evidente che una politica di prevenzione del rischio idrogeologico deve partire prima di tutto da uno sviluppo ordinato del territorio, a servizio delle comunità che vi abitano e non del profitto.
Ciò detto, il danno è ormai fatto, e per passare dalla logica dell’emergenza a quella della prevenzione occorre quindi pensare a come mettere mano al portafogli per realizzare interventi di messa in sicurezza e prevenzione del rischio. È ovvio che tutto ciò ha un costo, che un documento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri quantifica in circa 26 miliardi (e questo, lo ribadiamo, nell’ipotesi tutt’altro che scontata che nel frattempo non si creino ulteriori interventi dannosi per il territorio).
Si noti che la questione “prevenzione del dissesto idrogeologico” dovrebbe essere – tanto più in un paese come l’Italia – l’ABC di un’attività ordinaria di cura del territorio, finanziata con strumenti ordinari di spesa pubblica. E in effetti il Governo lo scorso marzo ha istituito il regolamento di un “Fondo progettazione per la mitigazione del rischio idrogeologico”, solo che si è “dimenticato” di metterci i soldi, finanziandolo (per di più per il triennio 2022-24, dunque retroattivamente) per soli 5 milioni l’anno! Ribadiamo: 15 milioni (in tre anni) a fronte di un investimento dovuto pari ad almeno 26 miliardi.
Si dirà: vabbè, ma c’è il PNRR, vuoi che lì non ci sia qualcosa per mettere in sicurezza il territorio? In effetti il PNRR prevedeva due misure legate al contrasto del dissesto idrogeologico, per circa 2 miliardi e mezzo (quindi comunque pari al 10% dei 26 miliardi citati in precedenza), per di più da dividere in opere di prevenzione e interventi a favore di aree già colpite da calamità.
Molto poco, dunque, e per di più – coerentemente con le tempistiche del PNRR – per interventi da realizzarsi da qui al 2026, come se poi tutto si risolvesse da sé. Eppure anche questa miseria deve essere sembrata troppo al Governo, che lo scorso marzo nel Decreto di revisione del PNRR ha fatto sparire con una sorta di gioco di prestigio buona parte di tali risorse, che si sono stanzialmente dimezzate.
La scelta, quindi, è stata proprio di eliminare investimenti per la cura del territorio e questo avveniva a marzo 2024, neanche un anno dopo il tragico evento alluvionale in Emilia Romagna del maggio 2023.
E arriviamo infine alle assurdità di questi giorni: a fronte dei nuovi disastri provocati dalle piogge in Emilia Romagna, il Governo ribadisce di non avere proprio idea e voglia di intervenire con una politica (necessariamente costosa) di prevenzione del territorio, e non trova di meglio che immaginare un obbligo per le imprese di sottoscrivere a proprie spese una polizza assicurativa privata per assicurarsi dai danni da calamità naturali.
Un enorme regalo alle assicurazioni, dunque, e un arretramento di fronte a una delle funzioni base (la tutela del territorio) che qualsiasi Stato dovrebbe assicurare. E non finisce qui: come qualsiasi mercato assicurativo, anche quello di queste tipo di polizze avrebbe bisogno per funzionare di un livello dimensionale minimo, in grado di garantire adeguati profitti alle società assicuratrici a fronte degli impegni assunti, dimensioni che l’obbligo assicurativo per le sole imprese probabilmente non sarebbe in grado di raggiungere.
Per questo motivo il Governo starebbe valutando addirittura di estendere l’obbligo assicurativo anche ai privati cittadini, sulla base di una logica perversa: lo Stato, che avrebbe il primario dovere di proteggere il territorio di fronte alle avversità climatiche, abdica alla sua funzione preventiva in quanto giudicata troppo costosa; allo stesso tempo, senza vergogna, con l’obiettivo di non spendere soldi neanche a posteriori per la riparazione dei disastri che puntualmente si consumano di volta in volta, delega ai cittadini questa funzione tramite l’aberrazione di un obbligo di assicurazione privata e strizza così l’occhio alle società assicuratrici garantendo loro un nuovo fecondo mercato. Capolavoro del neo-liberismo!
E il mercato assicurativo effettivamente sembra aver fiutato l’offerta, tanto che i costi per sottoscrivere questo tipo di polizze sono raddoppiati nel corso degli ultimi 3 anni. L’Italia in effetti sembra essere uno dei mercati più promettenti, almeno secondo i dati dell’European Environment Agency, che indicano come nel nostro paese solo il 5% delle perdite degli ultimi due decenni è stato coperto da assicurazione.
La dichiarazione di resa del ministro Musumeci assolve quindi a un doppio compito: da un lato ribadire che la cultura dell’austerità di bilancio non verrà scalfita neanche dai (passati, presenti e soprattutto futuri) disastri naturali, dall’altra fornire la necessaria spinta al decollo di un mercato privato delle assicurazioni.
Arriviamo così al rovesciamento completo del rapporto Stato-cittadini, con questi ultimi chiamati a farsi carico direttamente e privatamente dell’arretramento dello Stato dalle proprie funzioni.
Quando diciamo che il paradigma dell’austerità e il definanziamento della spesa pubblica implica un trasferimento di costi dallo Stato ai cittadini, e contemporaneamente occasione di profitto per le imprese, dobbiamo tenere a mente proprio situazioni come questa. E questo sarà ancora più vero con la ripartenza delle regole di bilancio europee, che prendono come variabile “di controllo” proprio la spesa primaria, nella quale rientra anche la spesa per il dissesto idrogeologico (tanto più quando è una spesa per opere di prevenzione e non per ristoro di danni).
L’austerità si traduce sempre e necessariamente in una compressione dei nostri diritti e delle nostre libertà (e, in questo caso, anche delle nostre sicurezze più elementari), per quanto discorsi arzigogolati e teorie economiche strampalate possano tentare di provare il contrario. Poi però piove: e insieme al fango vengono giù le bugie di questo Governo che si presentava in Europa al grido “la pacchia è finita”, dove la pacchia evidentemente era la vita dei propri cittadini.
*Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – http://coniarerivolta.org
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