Strano e abbastanza preoccupante silenzio attorno alla Moldavia. Per lo più reticenti, in questi ultimi giorni, anche le agenzie russe. La contrapposizione tra il presidente (un po’) filorusso Igor Dodon e il governo pro occidentale a guida PD diretto da Pavel Filip, sulla nomina del nuovo Ministro della difesa, aveva portato nei giorni scorsi alla decisione della Corte costituzionale di darla vinta al governo.
La proposta, formulata il 12 ottobre da Filip, sul nome di Eugene Sturza, respinta per due volte da Dodon, era stata avallata dalla Corte, che il 17 ottobre aveva stabilito che il doppio rifiuto presidenziale alla nomina del Ministro si dovesse intendere come “incapacità ad adempiere i doveri di capo di stato, con la conseguente sospensione temporanea dall’ufficio”. La Corte, per ratificare la nomina di Sturza, aveva praticamente messo da parte il presidente e il 24 ottobre il decreto di nomina del nuovo Ministro della difesa era stato firmato dallo speaker del Parlamento, Adrian Candu, facente funzioni di presidente della repubblica.
Secondo la Costituzione moldava, il presidente è anche comandante in capo delle forze armate e il Ministro della difesa risponde direttamente a lui e, quantunque quello presidenziale sia un ruolo fondamentalmente di rappresentanza, il capo dello stato non è tenuto a nominare a Ministro della difesa la persona proposta dal governo. Di fatto, scrive Pavel Lytkin sull’organo teorico del PCFR, Političeskoe Prosveščenie, “il governo liberale ha allontanato dal potere il presidente. Quanto sta accadendo in Moldavia non è niente altro che un golpe strisciante”.
Ma Dodon non sembra volersi arrendere tanto facilmente, si dice convinto che il governo liberaldemocratico non si arrischierà alla procedura di impeachment, che le elezioni parlamentari del 2018 daranno una maggioranza socialista, chiama i propri sostenitori alla lotta contro gli “usurpatori liberali” e dichiara di “non riconoscere tale ministro e di non volerlo inserire nella compagine del Consiglio supremo di sicurezza”.
Eugene Sturza, che succede ad Anatol Șalaru, esautorato nel dicembre 2016, è un economista trentaduenne, attualmente vice presidente del Partito popolare europeo di Moldavia; dal 2009 al 2013 è stato consigliere del primo ministro Vladimir Filat e, dal 2013 al 2015, capo di gabinetto del premier Iurie Leancă. Era stato proprio Leancă a chiedere al Fondo Soros l’erogazione di circa 150.000 dollari, (stanziati il 3 luglio 2014 con il “Programma Eurasia”) che dovevano servire a pagare otto mesi di lavoro dei suoi quattro consiglieri: Vladimir Kulminskij, Valerij Prokhnitskij, Liliana Vitu e, appunto, Eugene Sturza.
Secondo moldnova.ue, i fondi sarebbero stati assegnati (notizia indirettamente confermata dal sito dcleaks.com) attraverso un istituto tedesco, per aggirare la legislazione moldava, che vieta il finanziamento di funzionari pubblici con fondi stranieri. Leancă avrebbe anche chiesto la prosecuzione del finanziamento per il 2015-2016.
In effetti, la contrapposizione tra Dodon e il primo ministro Filip va avanti da tempo e alle mire di USA e NATO (sebbene il paese sia formalmente neutrale, dal 2006 è operativo a Kišinëv un Centro di informazione e Documentazione dell’Alleanza atlantica e opera un Piano di Partnership Individuale NATO-Moldavia.
Il prossimo dicembre verrà inoltre aperto un Ufficio di collegamento NATO, come confermato da Pavel Filip in occasione della nomina di Sturza) e della UE (nel 2014 Kišinëv ha sottoscritto un accordo di associazione e di libero scambio globale con la UE, per cui il mercato moldavo dovrebbe essere completamente aperto alle merci europee) si aggiungono quelle di Romania e Ucraina, con la questione della Transnistria e i recenti accordi Filip-Porošenko sul controllo congiunto del confine tra Kiev e Tiraspol. Il duello Dodon-Filip si inquadra anche in quello forse più sostanziale tra Dodon e il petroliere oligarca, presidente del PD, Vladimir Plakhotnjuk, legato a doppio filo ai circoli finanziari e petroliferi USA.
Sul piano interno, Igor Dodon e il Partito socialista (di cui egli è leader) puntano da tempo a trasformare l’ordinamento costituzionale da repubblica parlamentare in presidenziale. Lo scontro sulla nomina del Ministro della difesa ha acuito ancor più il contrasto, con il presidente che ha dichiarato di non voler “sottoscrivere documenti” – la nomina di Sturza – “su cui non sono d’accordo e che danneggiano gli interessi della nazione. Ora tutti i cittadini hanno potuto convincersi”, ha scritto Dodon dopo la nomina di Sturza da parte di Candu, “della necessità del passaggio a uno Stato presidenziale, in cui il capo dello stato, eletto direttamente, gode di ulteriori poteri previsti dalla Costituzione”. Secondo Dodon, “elezioni parlamentari anticipate”, che diano una “maggioranza parlamentare socialista e uno stato presidenziale, costituiscono l’unica soluzione per salvare la Moldavia”.
Nella disputa giocano ormai da anni un ruolo non secondario le mire di Bucarest, cui fanno da sponda gli indirizzi politici della coalizione liberal-democratica del governo di Kišinëv, che non escluderebbe un assorbimento della Moldavia da parte rumena: come ha recentemente dimostrato anche la vicenda delle manovre militari congiunte, condotte nonostante la contrarietà del capo dello stato. Non a caso, scrive il sito mirvkotormmyzivem.ru, nella stessa Corte costituzionale che ha imposto la nomina di Sturza a Ministro della difesa, siedono sei persone di nazionalità rumena ed è tuttora in vigore l’accordo che consente a Bucarest di inviare truppe sul territorio moldavo.
Potrà apparire casuale, ma l’inizio della crisi di potere in Moldavia era coinciso con la visita a Bucarest del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, il 9 ottobre scorso. Stoltenberg, incontratosi col presidente rumeno Klaus Werner Johannis e col primo ministro Mihai Tudose e plaudendo all’adeguamento delle spese militari al 2% del PIL e al “duraturo contributo” rumeno alle azioni NATO, aveva quindi ispezionato la brigata rumeno-polacca (cui partecipano anche militari bulgari, ungheresi, tedeschi, spagnoli, italiani, portoghesi, canadesi e olandesi) di stanza a Craiova. A sua volta, Mihai Tudose, stando a ru.publika.md, incontratosi con il presidente del Consiglio d’Europa, Donald Tusk, aveva assicurato “l’appoggio rumeno all’integrazione europeista della Moldavia”.
Sul piano politico interno, mentre non ci sono reazioni ufficiali da parte del “Blocco Rosso” (il cui leader Grigorij Petrenko, condannato per le manifestazioni dell’autunno 2015 sul “furto del miliardo”, sembra aver ottenuto asilo politico in Germania), l’ex presidente e leader del PC di Moldavia, Vladimir Voronin, ha dichiarato che “Si sono incontrati tre galli, incapaci di sedersi normalmente al tavolo delle trattative. Presidente del parlamento, primo ministro e capo dello Stato” ha detto Voronin, non dovrebbero azzuffarsi sulla nomina del Ministro della difesa.
Oltretutto, secondo il leader del PC, il “presidente, è incostituzionale e anche il primo ministro è incostituzionale, perché nominato con decreto di un presidente incostituzionale. E nemmeno lo speaker del parlamento può inquadrarsi nell’ambito della Costituzione”. Secondo Voronin, i tre si stanno accapigliandosi su “problemi da niente, mentre ignorano quelli fondamentali” e, tra questi ultimi, secondo lui ci sarebbe il referendum sulle dimissioni del sindaco di Kišinëv e vice presidente del Congresso per le amministrazioni locali e regionali del Consiglio d’Europa, Dorin Chirtoacă, previsto per il prossimo 19 novembre. Un po’ riduttiva, pare, l’analisi di Voronin, a fronte dei giochi occidentali attorno alla Moldavia.
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