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Un paese in crisi di domanda interna

Venerdì scorso l’Istat ha pubblicato il rapporto sul commercio al dettaglio, con riferimento a novembre 2024. I dati non sono sempre lineari, ma anche i commenti di varie organizzazioni, di categorie coinvolte e dei consumatori, sono d’accordo sul dire che i consumi italiani sono tutto fuorché fuori dalla crisi.

Dopo alcuni segnali positivi gonfiati nella loro importanza, novembre dello scorso anno ha segnato una flessione delle vendite sul mese precedente sia in valore sia in volume (rispettivamente -0,4% e -0,6%). Beni alimentari o no, entrambe le categorie sono andate in terreno negativo.

Come detto, nel trimestre cominciato con settembre era stata registrata una leggera ripresa, e infatti i dati erano in crescita. Ma se osserviamo l’andamento a livello tendenziale, paragonando i primi 11 mesi del 2023 con quelli del 2024 si nota che le vendite sono aumentate in valore, ma diminuite in volume, soprattutto per i beni alimentari (+1,6% in valore ma -0,9% in volume).

Senza dubbio dicembre mostrerà nei numeri una boccata d’aria per il commercio al dettaglio, dati gli acquisti per regali e cenoni. Ma la realtà è preoccupante, come evidenziato da varie organizzazioni, in particolare quelle che non rappresentano la grande distribuzione, unica ad aver registrato un aumento delle vendite rispetto a novembre 2023.

Confcommercio sottolinea la “difficoltà delle famiglie a intraprendere un percorso di significativa ripresa della domanda soprattutto di beni“. Evidenzia inoltre che il rialzo dei costi dell’energia colpirà duramente le famiglie e le imprese, e pone sotto lo sguardo indagatore anche il peso della speculazione finanziaria.

Anche la Coldiretti ha denunciato i rischi che l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili potrebbero riversarsi su quelli dei beni alimentari. Per di più, anche l’export subirebbe un contraccolpo significativo, considerato che il 40% dei cibi e delle bevande italiane dirette all’estero viaggiano su strada.

Il Codacons si è subito rivolto al governo, affinché studi “misure efficaci per sostenere la spesa dei cittadini, i quali continuano a subire i rincari del prezzi specie nel comparto alimentare“. Assoutenti ha stimato la riduzione degli acquisti alimentari in 1,46 miliardi di euro, e ha parlato di “una vera e propria dieta forzata“.

Infine, Confesercenti punta il dito sull’inflazione e sull’incertezza del futuro, che sarebbero alla base della flessione di novembre, non alleggerita nemmeno del Black Friday. Da questa organizzazione esaltano la “necessità di dare una scossa positiva alla domanda interna: bisogna continuare sulla strada della riforma fiscale per liberare risorse“.

È evidente che il nodo di fondo è stato facilmente individuato, soprattutto di fronte al fatto che chi abita nel Bel Paese sta addirittura riducendo la quantità del cibo che porta in tavola tutti i giorni. Il problema è che il potere d’acquisto della maggior parte della popolazione è stato compresso, e come si suol dire “a fine stipendio avanza troppo mese“.

Ma se la questione è che solo un’espansione della domanda interna potrebbe ridare fiato a un sistema al collasso, qualcuno – come Confesercenti – parla di riforma fiscale, ma non di aumento dei salari. Senza il “gioco delle tre carte” fatto sui conti pubblici tramite il cuneo fiscale: aumentare i salari prendendo i soldi dal profitto.

Si continua ostinati sulla strada che ci ha portato dove siamo. Un vicolo cieco, invece che ribaltare completamente la logica del capitalismo nostrano.

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2 Commenti


  • Maurizio

    a me piacerebbe vedere una sommossa popolare


  • Gabriele

    si , però dopo l’asta del fantacalcio

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