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Non c’è “democrazia” sotto i “re della produzione”

Che ci sia una tendenza reazionaria apparentemente inarrestabile, in tutto l’Occidente capitalistico, è così evidente che quasi lo si dà per un evento “naturale”. Ma ovviamente non lo è.

Eppure ogni media mainstream, oltre che l’intera classe politica neoliberista, continua a parlare in termini “etici” del ruolo occidentale nel mondo, ripetendo ogni tre per due che “siamo le democrazie” contrapposte a nemici comunque descritti come “autocrazie” a prescindere dal regime politico, dal rapporto tra settore pubblico e iniziativa privata, dal sistema elettorale (magari molto più sicuro del nostro, per esempio in Venezuela…).

Nelle relazioni internazionali questa pretesa di “ordine basato su regole universali” è sparito ormai da tempo, sostituito da rapporti di forza puri e semplici. Lo prova il discredito in cui sono stati gettati tutti gli organismi internazionali, dall’Onu (e tutte le sue agenzie) alle Corti di giustizia.

Resta comunque una pretesa di “eticità” superiore, ma il doppio standard applicato a tutte le crisi ormai sta generando un doppio diritto internazionale: uno valido per “gli amici” e l’altro per “i nemici”.

Un codice di guerra, dove “i nostri” sono buoni per definizione (per esempio Al Qaeda in Siria!), mentre “loro” sono mostri inumani (“animali”, come detto dall’ex ministro della difesa di Israele, Gallant).

Il caso del governo “europeista” polacco che ha deciso di non applicare il mandato d’arresto per Netanyahu, emesso dalla Corte internazionale di cui pure fa parte, ne è solo l’ultima e forse definitiva dimostrazione.

Ma è sugli assetti interni, sui “contrappesi democratici” disegnati per regolare non solo i poteri dei governi, ma anche quelli tra mondo delle imprese e istituzioni, che cominciano a preoccuparsi anche i più fedeli appartenenti alla “comunità di classe” che si usa chiamare establishment borghese.

Il direttore di MilanoFinanza, importante giornale economico, appartiene certamente ai livelli alti del sistema mediatico mainstream. E dunque il suo ultimo editoriale (“Elon Musk e gli altri tycoon di casa nostra rispettano le leggi sulle concentrazioni di potere?”) pone il problema dall’interno stesso di quel mondo dove solo l’“impresa” ha diritto alla piena “libertà”. E non solo per gli Usa, ma anche per l’assai meno gigantesca Italia.

Perché è diventato chiaro che concentrazioni di potere e ricchezza di certe dimensioni mettono in discussione proprio la libertà di altre imprese, oltre che degli sfortunatissimi “cittadini comuni” (lavoratori in primis, naturalmente).

Detto altrimenti, una così esagerata disuguaglianza di potenza economica – il monopolio dei satelliti Starlink è il punto forse massimo – andrebbe in qualche modo limitata proprio per garantire che la mitica “concorrenza” possa esercitare ancora il suo ruolo di “stimolo” per un ulteriore progresso.

Ma ad esercitare questo potere di “confinamento” non c’è più né uno Stato, né “il mercato”.

Lo Stato più potente del mondo, gli Usa, è ora in mano a due miliardari abituati a stracciare ogni regola, a comprarsi le collaborazioni che servono (magistrati, politici, ecc), ad intervenire negli affari interni di altri paesi (Germania, Gran Bretagna, Italia, ecc). E soprattutto – da punto di vista di un giornale economico – a stravolgere le aspettative dei “mercati” per trarre il maggiore profitto individuale possibile (politico e/o finanziario).

A Elon Musk, soprattutto, che riunisce in sé il massimo di ricchezza individuale nel mondo e il potere di un “superministro” Usa, basta ormai aprire bocca per indirizzare le dinamiche di mercato che, come “privato”, poi traduce in profitti mostruosi.

Altro che insider trading o “false comunicazioni”…

Sommella arriva a porsi la domanda giusta: “Prima di combattere […] le autocrazie come quelle russe, guardiamo dentro casa se non stiamo diventando come chi vogliamo battere con la forza dei diritti e i principi di libertà”.

In altri termini: “Le istituzioni, negli Stati Uniti, come in Europa e in Italia, hanno ancora voce in capitolo o comanda solo chi ha più soldi in barba alla legge e alle Costituzioni?” Il governo Meloni ha risposto fin dal primo giorno “non daremo fastidio alle imprese“. E, se ti fai condizionare da bottegai e “balneari”, figuriamoci se ti viene da “contenere” Musk o Bezos, ecc.

E’ l’Occidente neoliberista ad affossare la democrazia che pretendeva di rappresentare.

Il che ci permette di illuminare un fatto che ovviamente Sommella non può citare senza andare in drammatica contraddizione. In tutte quelle che vengono qui definite “autocrazie” – termine privo di senso universale, al pari di “sovranismo” o “terrorismo” -, tutte molto diverse tra loro quanto a sistema economico e regimi politici, le “grandi concentrazioni” sono subordinate più o meno strettamente al potere politico e alle sue politiche economiche.

In Cina basterebbe chiedere lumi a Jack Ma, il miliardario fondatore di Alibaba, che ha dovuto ridimensionare drasticamente le sue ambizioni quando ha soltanto accennato a pretendere modifiche “all’occidentale” per il sistema bancario di Pechino.

E persino nella certamente capitalistica Russia putiniana gli “oligarchi” che impazzavano ai tempi di Boris Eltsin e dei “consiglieri americani” a Mosca, hanno fatto le valige oppure sono scesi a più miti consigli.

In entrambi i casi “il privato” deve essere inserito in una logica complessiva che ha l'”interesse pubblico” (nazionalista o socialista che sia) al suo centro. Non viceversa.

Al centro dell’offensiva reazionaria nell’Occidente neoliberista c’è invece un rapporto totalmente unilaterale, squilibratissimo, tra “impresa privata” e interessi collettivi, rappresentanti almeno approssimativamente dal “potere pubblico”.

In questo squilibrio, non più moderato dai “contrappesi istituzionali”, e tanto meno dal defunto “quarto potere”, sono cresciuti i nuovi «re per la produzione, i trasporti e la vendita di una qualsiasi delle necessità della vita» contro cui venne varata la legislazione antitrust Usa, nel 1890.

E un “re nella produzione” non può che pretendere di essere tale anche a livello politico, perché solo il monopolio della forza esercitato dallo Stato può consentirgli di restare tale.

Poi, di fatto, i “re” possono anche essere più di uno, ma non cambia il rapporto con il resto della società e del mondo.

Si chiama oligarchia, comunque si autodescriva.

Buona lettura.

*****

Elon Musk e gli altri tycoon di casa nostra rispettano le leggi sulle concentrazioni di potere?

Roberto SommellaMilano Finanza

Oltre a chiedere una dozzina di volte a Giorgia Meloni che tipo di accordo ha fatto l’Italia con Elon Musk, per cui la premier nutre una evidente simpatia, dovremmo interrogarci anche se gli americani vivono ancora nella terra del mercato e del rispetto delle regole.

A vedere la concentrazione di potere nelle mani del magnate non si direbbe. E non si direbbe che il problema venga avvertito anche in Europa.

Il braccio destro del presidente eletto Donald Trump appena condannato prima ancora di giurare, ha venduto i certificati verdi alle case automobilistiche europee così che quest’ultime non pagheranno le assurde multe di Bruxelles sull’elettrico; sta per stringere un accordo con il governo italiano per venderci il suo (unico) sistema di comunicazioni satellitari attraverso Starlink; influenza il mercato con dichiarazioni e turbative di mercato, come sulle criptomonete, di ogni genere; usa il suo social media X per interferire sui fatti interni di tanti Paesi, come ad esempio è avvenuto per la Germania e la Gran Bretagna, per cui nutre una atavica antipatia.

Dove sono i contro poteri che il diritto anglosassone ci ha insegnato essere fondamentali per bilanciare quello esecutivo?

Dove sono gli antitrust americani, dove è scaduto il mandato di una ora preoccupata Lina Khan, presidente della Federal Trade Commission, e la Sec, l’organismo di controllo di borsa?

Dove è finito il Congresso, che durante la passata legislatura portò alla sbarra in lunghe audizioni i padroni del potere tecnologico a partire da Mark Zuckerberg, ora già in luna di miele con Trump, così come Jeff Bezos?

Dove sono i potenti mezzi di informazione statunitense, capaci di inchiodare alle proprie responsabilità uno tosto come Richiard Nixon durante lo scandalo Watergate o Bill Clinton per il suo sex affair?

L’America sembra tornata all’epoca del Far West, dove vigeva la legge del più forte. E anche nell’Unione Europea non si è levato nemmeno un pigolio nei confronti del debordante abuso di posizione dominante dei tanti mezzi di controllo di cui dispone Musk cui Milano Finanza dedica la sua copertina nel numero in edicola e online.

Eppure sono stati proprio gli americani, dalla guerra di indipendenza in poi, quando in Europa c’erano solo sovrani assoluti, ad insegnarci il valore della libertà e il ripudio degli abusi su chi è più debole. Ci sono pagine e pagine di storia americana a ricordarcelo.

«Se non tolleriamo un re come potere politico, non dovremmo tollerare un re per la produzione, i trasporti e la vendita di una qualsiasi delle necessità della vita», ammoniva appunto il senatore repubblicano John Sherman, padre della legge antitrust americana, promulgata nel lontano 1890.

Tutto questo ora appare dimenticato, svanito, anche su organi di stampa sempre molto severi come l’Economist, che pretendeva persino di stabilire se Silvio Berlusconi fosse idoneo a governare e oggi non si chiede se Musk sia idoneo per governare la loro cosa pubblica.

Sicuramente noi italiani non possiamo dare lezioni di indipendenza ma almeno la stampa libera dovrebbe avere un sussulto d’orgoglio. E ricordare che anche noi abbiamo i nostri piccoli Trump. Si chiamano Francesco Milleri e Francesco Gaetano Caltagirone, i padroni delle nostre banche.

Essi si muovono sempre in coppia, qualcuno direbbe di concerto, e prima in Generali (quando ancora era vivo Leonardo Del Vecchio), poi in Mediobanca e ora in Monte dei Paschi di Siena, dove sono arrivati ad avere il 20% circa insieme, più della quota dello Stato. Muovono a passo di danza gli stessi passi, gli stessi acquisti, le stesse percentuali, come due ballerini del Bolshoi nel Lago dei cigni.

Anche qui, come sta avvenendo per Unicredit su Bpm, la Consob dovrebbe accedere il suo occhio di bue, per restare nella metafora teatrale, perché un semplice grafico dimostra una certa correlazione tra gli acquisti. Caltagirone e Milleri, spieghiamo sempre nel numero di Milano Finanza in edicola e online, hanno investito a Trieste, Piazzetta Cuccia e nel Monte qualcosa come 14,64 miliardi di euro, una cifra enorme per l’asfittico mercato borsistico italiano.

Sono loro i veri padroni del vapore o c’è qualcuno, al governo o al ministero dell’Economia, dove si festeggia una ritrovata stabilità del Paese sui mercati (lo dimostra la domanda boom da 270 miliardi di euro per le aste di Btp con tassi calanti), in grado di frenarne la potenza di mercato?

Le istituzioni, negli Stati Uniti, come in Europa e in Italia, hanno ancora voce in capitolo o comanda solo chi ha più soldi in barba alla legge e alle Costituzioni?

Prima di combattere, giustamente, le autocrazie come quelle russe, guardiamo dentro casa se non stiamo diventando come chi vogliamo battere con la forza dei diritti e i principi di libertà. Non pieghiamo la democrazia come un arco per colpire il prossimo ma usiamola sempre come uno scudo prezioso per proteggere quel prossimo che qualcuno vuole schiacciare.

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