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Guerra al mondo, con la moneta Usa

L’allarme viene questa volta direttamente dai giornali economici che, come detto più volte, sugli aspetti tecnici sono decisamente più attendibili dei “generalisti”, perché il loro pubblico è fatto di operatori sui mercati, che debbono perciò disporre di informazioni utili per investire soldi, non per fare gossip o piatta propaganda “atlantica”.

E quindi prendiamo dannatamente sul serio il grido sollevato da MilanoFinanza: Perché le stablecoin Usa sono un rischio per banche e credito in Europa”.

Un po’ criptico, vero? Beh, bisogna allora spiegare intanto cosa sono e come funzionano le stablecoin, poi vedere perché minano la posizione di intermediazione del denaro tipica delle banche e infine che cosa ha combinato Donald Trump sull’argomento, con uno dei suoi cento “decreti esecutivi”.

Cos’é una stablecoin

Le stablecoin sono un tipo di criptovaluta progettata per mantenere un valore stabile, generalmente ancorato a una valuta fiat come il dollaro statunitense (USD) o a un paniere di asset.

A differenza delle criptovalute tradizionali (Bitcoin, Ethereum, ecc), soggette a violente fluttuazioni di prezzo, le stablecoin mirano a ridurre la volatilità, rendendole più adatte per transazioni quotidiane, riserva di valore e trasferimenti di fondi.

Le stablecoin “collateralizzate”, per esempio, sono sostenute da riserve di asset reali, spesso detenute da entità centralizzate. Ad esempio, Tether (USDT) e USD Coin (USDC) sono garantite da riserve in dollari statunitensi o equivalenti, periodicamente verificate da terze parti per garantire la fiducia.

Proprio per questa maggiore garanzia e stabilità della quotazione, insomma, le stablecoin sono ampiamente utilizzate nel trading di criptovalute come mezzo per evitare la volatilità, nel trasferimento di fondi transfrontalieri grazie alla loro velocità e basso costo, e in applicazioni di finanza decentralizzata, come prestiti e crediti.

Una moneta elettronica, insomma, quasi “normale”. Se non fosse per l’antipatica constatazione per cui, al 99%, l’insieme delle stablecoin si regge sul dollaro che – come moneta fiat – dipende dalla volontà e dagli interessi degli Stati Uniti.

Quando si compra una stablecoin, dunque, si trasferiscono i propri soldi da un conto di un qualsiasi paese del mondo (italiano, francese, turco, giapponese, ecc) a un conto statunitense. Ovvero alla società che gestisce la stablecoin prescelta.

Come impatta una stablecoin sul business delle banche

Come appena detto, se si trasferisce il proprio denaro a una società Usa è come se si cambiasse banca. Quella di cui ci serviamo attualmente, anche senza chiudere il conto, si troverà dei soldi in meno per fare il proprio lavoro (prestare soldi a famiglie e imprese, oppure per condurre proprie operazioni sui mercati, come stiamo vedendo in questi giorni con il “grande gioco” tra MontePaschi, Mediobanca e Generali).

Una banca tradizionale guadagna tenendo nel conto i nostri soldi e ogni volta che li usiamo (pagamenti, bonifici, investimenti, acquisto titoli, ecc). Se quei soldi vanno da un’altra parte perdono una quota dei loro guadagni.

Non c’è però, come singoli cittadini costretti ad avere un conto bancario anche solo per ricevere lo stipendio, da esserne troppo contenti. E’ vero che comprando una stablecoin faremmo un dispetto alla “nostra” banca, ma faremmo contemporaneamente un favore a quella nuova. Per noi poveri dipendenti o pensionati cambia zero.

Cambia invece qualcosa per il sistema bancario del paese o dell’area economica in cui viviamo.

La mossa di Trump

il vecchio-nuovo presidente Usa, come si diceva, fin da primo giorno ha emanato 100 “ordini esecutivi” (decisioni aventi valore di legge, anche se mai discusse neanche dal Congresso), uno dei quali relativi proprio al divieto di usare negli States le Central Bank Digital Currency – “monete digitali” emesse da Stati o comunità di Stati, come ad esempio l’euro digitale, ancora allo stadio di studio – e intende estendere nel mondo l’utilizzo di stablecoin legate strettamente al dollaro.

In un colpo solo, insomma, intende ammazzare qualunque concorrente digitale del dollaro e favorire l’uso pressoché esclusivo della moneta Usa nelle transazioni internazionali. Controllare la moneta per controllare il mondo, guadagnandoci anche sopra…

A conferma che questo è l’obiettivo reale e non una maligna interpretazione, lo stesso Trump ha accompagnato la decisione con la minaccia ai paesi Brics: Chiederemo un impegno da questi Paesi apparentemente ostili a non creare una nuova valuta dei Brics, né sostenere altre valute per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti affronteranno dazi del 100 per cento.

Brutale, esplicito, non interpretabile.

E va ricordato che i Brics costituiscono ormai un insieme economico molto esteso (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, più Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia, Iran, mentre sulla porta ci sono Indonesia, Turchia, Messico, Nigeria, Bangladesh, Vietnam, Thailandia, Algeria, Pakistan, Kazakistan, Senegal, Zimbabwe, Venezuela, Sudan, Tunisia, probabilmente anche Cuba), che supera di gran lunga l’Occidente euro-atlantico per popolazione, Pil, tassi di crescita…

Ma di fatto questa dichiarazione di guerra è rivolta anche contro l’Unione Europea e specificamente all’unica istituzione economica unitaria che è riuscita a strutturare: la Bce.

Com’è noto, Francoforte sta da tempo lavorando al progetto di “euro digitale”, che all’inizio ha sollevato timori nelle banche commerciali europee per lo stesso motivo: perdere margini di intermediazione, dimensione dei depositi e dunque di guadagno.

C’è da dire però che un “euro digitale” sarebbe – o sarà – molto diverso da una stablecoin perché concepito come una versione digitale della moneta unica europea, complementare al contante e ai depositi bancari esistenti. A differenza delle criptovalute decentralizzate o delle stablecoin private, l’euro digitale sarebbe una moneta digitale emessa direttamente dalla BCE, mantenendo il controllo centrale sulla politica monetaria e sulla stabilità finanziaria.

Ogni cittadino europeo potrebbe comunque ottenere un “portafoglio digitale” presso la Bce (togliendo di fatto qualcosa alle banche commerciali), ma la discussione in corso a Francoforte verte appunto sui limiti da porre a questa possibilità (come l’entità delle cifre e la mancata corresponsione di interessi, pratica ancora comune in numerose banche private).

Il siluro di Trump è a testa multipla. In primo luogo è diretto contro quanti stanno cercando di creare un sistema internazionale dei pagamenti alternativo allo Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), strettamente controllato dagli Usa che in questo modo riescono anche a rendere effettive le “sanzioni” finanziarie decise – unilateralmente e illegalmente – dalla Casa Bianca.

E ancora una volta va contro i Brics, che stanno cercando di integrare e interfacciare le diverse piattaforme fin qui costruite per aggirare sia le sanzioni che l’utilizzo obbligato del dollaro. E dunque il SPFS (System for Transfer of Financial Messages), creato dalla Banca Centrale Russa nel 2014; il CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), lanciato dalla Cina nel 2015 per le transazioni in yuan; e altri sperimentati o progettati da Venezuela, Turchia, Iran, ecc.

Ma il bersaglio immediato, anche per la stretta “compresenza” tra le due sponde dell’Atlantico, è contro l’Unione Europea, la Bce, l’euro e soprattutto le banche del Vecchio Continente, gonfie di risparmi privati (al contrario di quelle Usa, piene di non performing loans). Spostare masse molto consistenti di capitale monetario verso l’America aiuterebbe molto quel mondo cadente a tamponare i propri problemi…

Siamo insomma davanti ad una dichiarazione di guerra finanziaria e monetaria a tutto il mondo. Washington grida “qui comando io, fuori i soldi!” e “guai a chi non obbedisce!”.

Una prova di forza che cancella trattati pluridecennali, oltre che consuetudini ed istituzioni “terze” (dall’Onu in giù), e quindi la stessa possibilità che continui ad esistere un “ordine internazionale basato sulla legge”.

Ma come sempre, quando si passa all’uso esplicito della forza, bisogna vedere se si dispone ancora – oppure no – della forza necessaria a sollevare quel peso. Se, come sembra ormai chiaro, c’è una sopravvalutazione di se stessi, si rischia l’effetto opposto: un’accelerazione della fuga del resto del mondo dai rapporti ineguali con gli Stati Uniti e le loro multinazionali.

Insomma: diversi paesi europei, seguendo l’esempio della Turchia, potrebbero cominciare a trovare conveniente l’associazione ai Brics+, lasciando l’America da sola a godersi la sua “meravigliosa economia” senza più la cannuccia (il dollaro) per vampirizzare il resto del mondo.

In fondo dei 100 “ordini esecutivi” uno – quello relativo blocco di miliardi di dollari di aiuti pubblici, tra cui sussidi e indennità – è già sul punto di essere totalmente rivisto dopo le decine di ricorsi presentati da numerosi Stati…

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3 Commenti



  • Massimo

    Siamo alla follia pura, nessuno vuole perdere potere e la guerra diventa l’unica opzione da percorrere.


  • Fabrizio Casapietra

    I nemici psicologici

    Quando chiunque non e americano, diventa nemico di un americano, ormai la guerra è soltanto psicologica e commerciale, solo per paura che c’è ne sia una atomica vinta dai più forti, oltre a quella che distruggerebbe entrambi i più forti, e altri ancora

    Giustificano questo con la selezione del più forte e più adatto, fingendosi addirittura cristiani: e credendo che, tanto poi, se esistesse, Qualche preghiera, o addirittura ‘sola fide et gratia’, e ha perdonato di tutto facile…se pure ci credessero: ma , se fosse vero che sopravvive solo il più forte, non ci sarebbero mendicanti che sanno ancora sorridere, come non sanno fare loro. Ci sarebbe una strage dietro ogni angolo di strada, se fosse vera quella frase cinicissima.

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