Fine delle chiacchiere, ora si fa sul serio. Nella prima riunione del suo governo, presente anche Elon Musk – che dunque dovrebbe essere considerato un “ministro” – Donald Trump ha confermato di aver preso la decisione di imporre dazi “del 25%” sui prodotti europei. Quanti avevano sperato che si trattasse solo di sparate minacciose per contrattare qualcosa su altri piani (la guerra in Ucraina, ecc), o che ci fosse spazio per trattamento individuale diverso (Meloni, insomma), devono ora fare i conti con la realtà.
Anche perché il tycoon ha dichiarato ufficialmente guerra all’Unione Europea in quanto tale: “non accetta le nostre auto o i nostri prodotti agricoli, si approfitta di noi. Io amo i Paesi della Ue, ma siamo onesti: l’Unione Europea è nata per fregare gli Stati Uniti e sta facendo un buon lavoro, ma ora sono io presidente“. Non preoccupa insomma soltanto quel che “l’Europa” fa, ma il fatto stesso che esista e si concepisca come un competitor sul mercato mondiale, con ambizioni “strategiche” certo velleitarie ma coltivate a lungo.
Al di là delle dichiarazioni di circostanza, come quelle europee che promettono immediata risposta sullo stesso piano, è bene tener d’occhio il dato economico e politico più rilevante, che non a caso è stato inquadrato seriamente soprattutto dagli industriali italiani, che sanno benissimo quanto i loro profitti derivino dall’essere contoterzisti della Germania e dunque secondo paese europeo nella classifica delle esportazioni verso gli Usa.
“È un cambio di paradigma, inaspettato e incredibile quello che arriva dagli Stati Uniti – commenta il presidente di Confindustria Orsini – . La minaccia non è quella di un impatto solo sulle dinamiche commerciali. La verità è ben più drammatica: qui si rischia la tenuta economica e sociale di molti stati dell’Unione e dell’Unione stessa. Quello che arriva dalla leadership americana è un attacco alle imprese e al lavoro europei. Il vero obiettivo è la deindustrializzazione del nostro continente, e quindi dei suoi livelli occupazionali“.
Una dichiarazione di guerra, abbiamo detto. Peraltro già implicita nella volontà di dare via libera all’uso delle stablecoin per favorire il deflusso del risparmio privato dai mercati europei verso Wall Street.
Una guerra dei dazi e monetaria che non solo mette fine a 80 anni di “amicizia” tra le due sponde dell’Atlantico (in realtà come sappiamo bene, un rapporto di sudditanza e di “sovranità limitata” da parte europea), ma mina tutti i pilastri di una relazione stabile. I rapporti economici, infatti, veicolano e facilitano tutti gli altri. Impostarli in termini di concorrenza feroce – mors tua, vita mea – è il modo migliore di spaccare tutto anche su altri piani.
Inevitabilmente, oltre alla presa d’atto della guerra aperta, Confindustria si preoccupa subito di passare all’incasso, chiamando il governo (e i governi di tutta Europa) ad aire subito secondo direttive che Orsini sintetizza velocemente: “Voglio citare tre linee di azione nette: sburocratizzazione, meno norme: il Clean Industrial Deal deve essere un patto per la crescita, non per la decrescita. Stop a multe e a dazi autoimposti sulla manifattura europea. E serve un piano industriale per la crescita economica e sociale europea“.
Poca roba, vien da dire, ma “vasto programma”… Chiamare in causa la burocrazia, infatti, nel linguaggio confindustriale significa sempre “meno controlli”, sia contabili che sull’attività produttiva (emissioni e sversamenti inquinanti, componenti dannosi, sicurezza sul alvoro, ecc). Sono cose che angosciano già ben poco le imprese e non sarò difficile ottenere ancora più “briglie sciolte”.
Ma un “piano industriale per la crescita economica e sociale europea” è un sogno impossibile, visti i criteri costitutivi della comunità economica continentale, orientati alla più cinica concorrenza anche interna.
Ma anche questo appello contraddittorio – “più libertà alle aziende, ma con una programmazione continentale” – rende bene la confusione che regna da queste parti con l’avvento del “ciclone Trump” e la rottura ormai plateale dell’”asse euro-atlantico”.
Anche perché è ormai evidente che le vecchie ricette su cui era sopravvissuta tutta l’industria europea – salari bassi o congelati ai livelli di venti anni fa, aiuti pubblici alle imprese e alle esportazioni, riduzione dei diritti del lavoro, ecc – ormai non bastano per mantenere la “competitività” con le produzioni degli ex paesi del “Terzo Mondo”.
E’ di questi giorni, per esempio, l’allarma che arriva dalla Francia, dove Michelin – uno dei principali marchi di pneumatici e “orgoglio nazionale” – va chiudendo uno stabilimento dopo l’altro, mettendo in strada qualche migliaio di lavoratori, nonostante i 3,6 miliardi di profitti registrati nel 2023. Lo stesso sta accadendo a Valeo, ArcelorMittal, Auchan.
I miliardi concessi sotto forma di agevolazioni fiscali (per la ricerca e sviluppo o per altre motivazioni “creative”) possono, come nel caso di Michelin, gonfiare i profitti aziendali, ma non risolvono il problema e non invertono dunque il declino industriale. Una prova empirica viene dal panorama delle industrie dominanti ancora oggi in Europa: sono le stesse di 25 anni fa. E’ rimasto tutto fermo, senza innovazione né ricerca di nuovi settori (informatica e intelligenza artificiale, qui, sono parole esotiche, dopo la chiusura della francese Bull o dell’italiana Olivetti).
L’inevitabile riduzione delle esportazioni verso gli Usa, in conseguenza dei dazi, si abbatte come una tempesta su una nave già rabberciata e mai progettata.
La UE prepara “piani”, cerca soldi e promette investimenti. Ma avviare nuovi settori produttivi richiede anni (mancano le competenze, tanto per cominciare), e certamente non impiegheranno i lavoratori che oggi o nei prossimi anni perderanno il lavoro (difficile che un operaio della gomma o della Renault possa diventare ingegnere informatico…).
E’ la fine di un modello di sviluppo fondato sulla “furbizia”. Che somiglia molto da lontano all’intelligenza, finché non viene scoperta…
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m
i grandi tecnocrati dell’europa che faranno, a parte le solite azioni di marketing e comunicazione “siamo pronti”, ma pronti a cosa?, la UE è impreparata a tutto… e non da oggi.
RIDO.
Maurizio
tutti ad accanirsi su Tramp, quando i responsabili si chiamano prodi monti e compagnucci di merenda loro, forza Donald dalle ceneri della vecchia Europa forse finalmente nascerà qualche cosa di buono
Bruno
forza Donald?? Questo ci compra…
Redazione Contropiano
sei sicuro di aver letto?
Giovanni Scavazza
L’Europa deve ora fare i conti con la sua disfatta: Disfatta militare, disfatta politica ma soprattutto disfatta morale. L’Unione europea si chiede come salvare l’onore e la democrazia liberale: La democrazia liberale e’ fottuta. Una dopo l’altra le capitali europee si convertono al nazional-liberismo di Musk e di Bannon. Quanto all’onore, 😆🤣…mi scappa da ridere. Piu’ che salvare l’onore d’Europa, il gruppo dirigente francese, inglese e tedesco deve salvarsi la pelle!…e l’Unione europea e’ un morto che cammina.
Ai posteri l’ardua sentenza. Prosit.
Bruno
redazione,era un commento al commento,non all’articolo.
Jacomo
bah che dire ….i dazi sicuramente danneggeranno le industrie europee orientatare all’esportazione ma anche l’America rischia : soprattutto dal punto di vista dell’inflazione . Certo saranno tempi duri , soprattutto per i più poveri e precari. Occorre serrare le fila , compagni.
un abbraccio forte.
Oigroig
Certi fatti attuali ci fanno capire che non siamo affatto nel futuro, ma nel passato che non passa. È una situazione analoga a quella di metà Ottocento, o degli anni Venti del Novecento, e il fascismo si conferma uno dei frutti avvelenati della civiltà capitalistica occidentale. Basta rileggere Orwell e si capisce che siamo sempre allo stesso punto. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Soltanto, dovremo affrontare tuttə molta sofferenza e molta distruzione perché la storia generi una prospettiva diversa e una società più umana (gli opportunismi purtroppo si pagano e «chi fa la rivoluzione a metà…»). E non ci riusciremo se non siamo in grado almeno di pensarla e di volerla ora quella società… Per serrare le fila ci vuole un progetto di rivoluzione, non qualche toppa «di sinistra» (!?) a un sistema che da secoli produce miseria, menzogna e guerra.
Giovanni
Il drago Draghi prepara l’ economia di guerra, i governi europei si eclissano e le poverta’ arrivano. La generazione 2.0. e successive avranno un buio futuro se non si schiodano dalla grande illusione. Tutto tace, ora c’ e’ il Carnevale, poi la Pasqua, il calcio e festivals vari a rincitrullirli ancor piu’ e noi adulti a fare gli schiavi- servitori…
Mara
Poiché si stanno organizzando manifestazioni in appoggio a questa organizzazione europea guidata da persone come Ursula Von der Lyen, Kallas Metsola. Macron, Merz. che ci stanno portando incontro al disastro nucleare, mentre a quello economico lo stanno già facendo, occorrerebbe una contromanifestazione di piazza a testimoniare che il popolo, i cittadini non sono d’accordo con questa politica fallimentare dell’Europa.
Giovanni Scavazza
Ce stanno milioni de persone in Europa (la maggioranza) che alle elezioni europee nun ce so’ proprio andati a vota’ sto gregge de mal nati… Milioni de cittadini europei senza futuro, de tutte le eta’ che stanno alla canna del gas… Secondo voi stanno a pensa’ all’Ucraina? 🤔