Menu

Rapporto Censis: il lavoro (sfruttato e malpagato) non è il fulcro della vita dei più giovani

Il rapporto che il Censis ha pubblicato il 26 settembre, dal titolo “Engagement e produttività. Più produttività attraverso la leva della motivazione e del coinvolgimento sul posto di lavoro“, coglie un elemento importante, quello della motivazione nell’attività che si svolge. Coglie, però, anche un altro nodo: il lavoro sfruttato e sottopagato offerto da questo sistema è ormai rifiutato dai più giovani come fulcro della propria vita.

Nell’indagine del Censis, commissionata da Philip Morris Italia, la linea di faglia è chiaramente generazionale. Infatti, quasi l’80% degli occupati si dichiara abbastanza o molto motivato a dare il meglio nel proprio lavoro, ma solo uno su quattro tra i lavoratori che hanno meno di 45 anni.

Nel rapporto viene scritto nero su bianco che questo divario “riflette condizioni e percezioni lavorative diverse, maturate in una società in cui i più giovani spesso affrontano instabilità, scarso riconoscimento e aspettative non soddisfatte, mentre gli adulti trovano maggiore stabilità e significato nel lavoro, avvertendolo come parte della loro identità“.

Per chi ha avuto una vita lavorativa più lunga e magari, pur affrontando condizioni di lavoro difficili, la fatica giornaliera ha permesso di elevare la propria condizione, mentre nell’incontro con gli altri lavoratori trovava un senso di appartenenza a una determinata categoria, una funzione nella comunità, per i più giovani il lavoro è diventato un motivo di frustrazione.

Salari insufficienti a raggiungere una piena autonomia, mancanza di riconoscimento dell’impegno profuso e delle competenze acquisite, magari pagando fior fior di tasse per andare all’università. “Solo il 27,2% [dei lavoratori tra i 18 e i 44 anni] percepisce competenze pienamente allineate al ruolo che ricopre“, si legge sul sito del Censis.

E allora il lavoro perde quel ruolo centrale nella vita, nella formazione dell’identità di una persona, e diventa un elemento di frustrazione e fastidio, ma tuttavia uno strumento inevitabile per assicurarsi la sopravvivenza, facendo poi ritirare il lavoratore nell’individualismo o – purtroppo in meno casi, per ora, se si parla di politica – nella ricerca di un senso di comunità altrove.

È questo che emerge dai modi in cui gli intervistati indicano la possibilità di aumentare la motivazione sul lavoro. Ben il 54,0% degli occupati chiede maggiori retribuzioni. Allo stesso tempo, quattro persone su dieci vogliono condizioni di lavoro migliori, il 32,0% benefit aziendali e oltre un quarto chiedono più flessibilità oraria e smartworking.

Risulta chiaro come i nodi del lavoro sottopagato e dello sfruttamento (inteso come livello di coercizione e di abuso del proprio lavoro per un tornaconto altrui) segnino la percezione del lavoro nelle giovani generazioni. Ma quell’accenno che il Censis fa alle “aspettative non soddisfatte” impone un passaggio ulteriore del ragionamento.

Il Censis scrive che oltre uno su due degli intervistati tra i 18 e i 44 anni afferma che il lavoro ha perso centralità o non è mai stato una priorità. Leggiamo: “emerge con forza la sensazione di disincanto, che mette sempre più in discussione il concetto tradizionale di lavoro come fulcro della vita sociale e personale“.

L’istituto lo chiamo disincanto, noi lo chiameremmo consapevolezza di una crisi di aspettative che si realizza il dramma dei giovani, o per essere più chiari potremmo dire di coloro che sono cresciuti dagli anni Novanta in poi. A loro era stato promesso un mondo di pace e sviluppo, dopo il 1989, e si sono ritrovati un Occidente genocida, che vive di sfruttamento e di doppi standard, e che, per di più, sta distruggendo l’ambiente stesso in cui viviamo.

Il futuro che gli era stato tratteggiato è diventato un presente in cui non c’è via di miglioramento delle proprie condizioni di vita, non c’è via di autorealizzazione libera, autonoma. Anzi, c’è la minaccia di morire per sopraggiunta inospitalità della terra oppure in una trincea al fronte.

Su questo terreno è possibile e anzi necessario dare ai giovani un nuovo orizzonte di senso, che si identifica poi in una nuova visione del mondo, alternativa a questo sistema in cancrena. Ne va del loro futuro, così come di quello dell’ambiente.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • L

    ci avete distrutto
    rubandoci anni di contributi regalati al presunto studio ed a dei titoli anche complessi per fare lavori che di fatto bastava qualche mese o anno di corsi non retorici.
    saccheggiando i risparmi anche di chi è fuori sede o fuori corso o necessitava di qualcosa da portare a casa.
    hanno tolto la dignità alle fatiche ed al martirio con salari ridicoli, facendo sempre dell’apice di certi posti dirigenziali un ‘isola economica felice ma con fondamento di un prestigio basato sulla pastafrolla.
    schiavi di un mondo nuovo informaticamente profuso di nulla, distratto, tecnocratico. con obblighi nuovi e nessun incentivo.
    tutto dovuto.
    come la morte di chi non riesce più.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *