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Dati Inps: gli operai, sottopagati, rimangono la spina dorsale del paese

Il 18 novembre l’Inps ha pubblicato l’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato – non agricolo, esclusi i lavoratori domestici – con i dati aggiornati allo scorso anno. Si tratta di un’analisi che ha censito la situazione di 17,7 milioni di lavoratori (in leggero aumento rispetto al 2023), tra i quali la retribuzione media annuale si attesta a 24.486 euro.

Basta tener presente che a gennaio 2025 l’Istat calcolava poco più di 24 milioni di lavoratori per comprendere come questi numeri possano dare una fotografia piuttosto nitida delle condizioni dei lavoratori in Italia. Ma è importante soprattutto non fermarsi ai dati aggregati: essi nascondono delle profonde disuguaglianze e una verità che per anni e anni le classi dirigenti hanno provato a nascondere.

Sul gradino più basso degli stipendiati italiani si trovano gli apprendisti. Guadagno in media circa 14.610 euro ogni anno, cifre che non sono di certo sufficienti a una vita dignitosa. E difatti, nonostante questa sia una di quelle formule contrattuali pensate per l’ingresso nel mondo del lavoro, il numero degli apprendisti è diminuito del 2,4% nel 2024 (649.396 unità). È chiaro che usato più per le scarse tutele e sicurezze che offre, che per formare davvero un nuovo lavoratore.

Ci sono poi gli operai, che non guadagnano molto di più degli apprendisti: hanno una retribuzione media di 18.227 euro annui. Ma la cosa davvero interessante è il loro numero. Gli operai sono il 56% del totale dei lavoratori dipendenti del settore privato (9.850.462 unità). Con un rapido calcolo risulta che quasi il 45% della forza lavoro italiana è costituita da operai che lavorano per il privato.

A loro va aggiunto l’altro grande gruppo dei dipendenti, ovvero gli impiegati: essi sono 6.490.467 lavoratori, il 37% del totale. Con gli operai rappresentano il 93% dei settori analizzati dall’Inps. La loro retribuzione media è nettamente più alta di quella degli operai (27.797 euro all’anno), ma parliamo comunque di cifre che sono il minimo indispensabile per avere una certa stabilità economica e poter affrontare con serenità il futuro.

Infine, ci sono quadri e dirigenti. I primi sono poco più di mezzo milione e toccano i 72.279 euro annui, ovvero più di due volte e mezzo lo stipendio di un impiegato. I dirigenti, infine, sono 141.718, meno dell’1% del totale, e la loro retribuzione media raggiunge i 163.643 euro all’anno, e dunque ben due volte in più dei quadri.

Ma andiamo a vedere i paragoni che contano davvero. Un dirigente guadagna, in un anno, quasi quanto sei impiegati, o nove operai o più di undici apprendisti. È evidente che se non si prendono i numeri semplicemente come fotografie di un dato momento, ma come risultato di un processo, allora quelli ora presentati esprimono una forte e irriducibile polarizzazione della società, espressione di interessi contrastanti e in cui una parte si appropria in maniera ingiusta della maggior parte della ricchezza prodotta socialmente.

È l’Inps a rappresentare in maniera chiara la “questione operaia”. Che non è solo la massa numerica degli “operai” – chiaramente diversi dagli operai di mezzo secolo fa, ma anche, e soprattutto forse, il peso sociale ed economico che ha il lavoro dipendente privato come spina dorsale della forza lavoro del Belpaese. E specialmente, il peso che hanno alcuni comparti di questo lavoro dipendente, in virtù dei meccanismi odierni di produzione e circolazione di beni e servizi.

E dunque, è anche la questione del peso politico che gli operai possono acquisire se si organizzano e lottano con chiara consapevolezza dei propri interessi, senza affidarsi a concertazioni e ad organismi corporativi. Innanzittutto, potrebbero imporre una diversa distribuzione della ricchezza prima accennata, a partire dall’introduzione del salario minimo.

La recente proposta dell’Unione Sindacale di Base, nella piattaforma dello sciopero generale del 28 novembre, parla di 2 mila euro al mese per ogni lavoratore. Sembra assurdo in un paese abituato a stipendi e pensioni da centinaia di euro, ma parliamo di un ammontare annuo che si attesta sullo stesso livello della retribuzione media degli impiegati. Come detto, il minimo indispensabile per una vita dignitosa.

Le ragioni dello sciopero, così come di altre proteste come quella in atto in questi giorni da parte dei lavoratori dell’ex Ilva, si rafforzano a guardare l’analisi dell’Inps, ed è giusto rafforzarle ulteriormente in piazza.

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