Si finisce l’assemblea al campo della “libera Repubblica di Fossoli” a tarda sera, dopo che alcuni nostri vecchi amici conosciuti durante il terremoto aquilano ci fanno sapere che la Di.coma.c è dormiente ed è posizionato a Bologna. Suona strano a tutti che ci siano due strutture d’intervento della protezione civile, una della Regione e dei Sindaci ed una dello Stato. A differenza dell’Aquila in Emilia la Regione ed i Comuni hanno assunto su di se la gestione dell’emergenza, ci troviamo quindi di fronte per la prima volta alla neutralizzazione del modello aquilano sperimentato in questi anni. Penso che dare in mano il coordinamento della protezione civile ai comuni ed alla regione sia una cosa giusta, che va sostenuta perchè da ai cittadini la possibilità di confrontarsi con istituzioni democraticamente elette, e perchè permette di gestire in maniera più trasparente il terreno dell’emergenza fin dai primi momenti. Ci troviamo pertanto di fronte ad una gestione dell’emergenza che pur nelle contraddizioni sperimenta una via differente dal modello aquilano anche se rimangono le vecchie incrostazioni e recinzioni. Girando per i campi però mi è sembrato di notare che alcuni comuni siano “lasciati soli” di fronte ad un “terremoto prolungato” che apre uno scenario d’intervento del tutto differente rispetto a quello aquilano. Su questo penso che sarebbe utile riflettere, non vorrei infatti che alla prima crepa del modello emiliano rientrasse in pompa magna quello aquilano ora parcheggiato a Bologna. Per rendersi conto del rischio che la situazione sfugga di mano basta semplicemente notare quanti campi autorganizzati improvvisati esistono nelle zone colpite dal sisma privi di assistenza. Questi campi sono composti da persone che hanno la casa distrutta dal sisma, ma in gran parte da persone che hanno la casa in attesa di verifica di agibilità, e che hanno paura. L’errore che i comuni modenesi colpiti dal sisma non devono assulutamente fare nei confronti di queste persone in questi giorni è quello di non considerarli come soggetti ai quali deve essere destinato l’intervento. Chi ha paura di rientrare in casa, fino a quando continuano le scosse ha il diritto di essere assistito al pari degli altri e va quindi considerato a tutti gli effetti uno sfollato. Per questo la miriade di micro campi deve avere voce ed ascolto, e non può essere lasciata nell’invisibilità aspettando che passi la nottata. Con questo spirito ad esempio si è costituito a Fossoli un modello di campo autorganizzato che in rapporto dialettico con il Comune di Carpi può diventare nell’immediato un modello d’intervento replicabile in molti luoghi. In questo campo nonostante l’emergenza è stata messa al centro la democrazia, e l’assemblea è il luogo decisionale principale delle scelte. Un modello completamente differente dagli altri che sta da giorni funzionando senza troppi intoppi. Il terremoto fa saltare tutti gli schemi, ed obbliga a guardare con altre lenti quello che capita intorno. Ridisloca i quartieri, livella temporaneamente le condizioni sociali, obbliga ad una vicinanza di spazi persone distanti sulla scala sociale. Ogni terremoto è una storia a se, ma la storia dei terremoti in Italia è la storia del paese e delle sue fasi storiche, dal Belice all’Aquila passando per il Friuli abbiamo visto comunità subire l’intervento dello stato e dei poteri o delineare modelli di partecipazione e democrazia. Dove lo Stato ha schiacciato la comunità in nome dell’emergenza questa logica ha preso il sopravvento sulla democrazia del territorio, sulla sua economia, sul suo futuro. I primi tempi sono sempre quelli fondamentali, già dalla gestione dell’emergenza si inizia a comprendere come sarà la ricostruzione.
* controlacrisi.org
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