Una interpellanza parlamentare sulle torture inflitte a prigionieri iracheni da parte di militari italiani a Nassirya, è stata presentata da alcuni parlamentari del M5S. Nel frattempo si aggiunge, alle notizie diffuse dal programma “Le Iene” dalle interviste con due militari italiani, la testimonianza della vedova di Massimiliano Bruno, di uno dei carabinieri italiani rimasti uccisi a Nassirya durante la guerra in Iraq. “Ho visto il carcere di questi iracheni, una cosa squallida, bruttissima, nudi”, mi aveva raccontato mio marito. Quando ha visto certe cose, era proprio stravolto. Massimiliano ha informato i suoi superiori, ma senza alcun esito». La vedova di Massimiliano Bruno, non ha dubbi su questo punto. Pina Bruno venne intervistata dal Tg3 pochi giorni dopo i funerali di Stato. “Massimiliano mi disse che ognuno aveva un compito. C’era una persona che comunicava quello che aveva visto, quello che succedeva e quello che stava per succedere. Tutte le informazioni arrivavano all’Italia. Tutte. È assurdo che dicono che non sapevano niente”. “Non credeva a quello che aveva visto: se me lo raccontavano non ci credevo. Trattati peggio degli scarafaggi, mi ha detto”.
Qui di seguito il testo integrale dell’interpellanza parlamentare presentata il 10 aprile:
Atto Camera
Interpellanza 2-00503
presentato da DI BATTISTA Alessandro
testo di Giovedì 10 aprile 2014, seduta n. 209
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
a più di 10 anni dalla strage di Nassiriya, e senza alcun intento da parte degli interroganti di voler infangare la memoria dei 17 italiani che hanno perso la vita nel famigerato attentato, sono apparse gravi e inquietanti testimonianze su avvenimenti raccapriccianti che gettano un’ombra sulla presenza italiana in Iraq e potrebbero costringere a rivederne criticamente gli esiti;
infatti, le due puntate del programma televisivo Le Iene, trasmesse il 2 e 9 aprile 2014, hanno riportato le testimonianze dirette di un ex militare a viso scoperto e di un altro invece a viso coperto e con voce contraffatta (un «esecutore» come abitualmente vengono chiamati nell’ambiente militare coloro che vengono selezionati per interrogare i prigionieri sospettati di terrorismo);
le immagini trasmesse e i dettagli raccontati sono apparsi sconcertanti e eloquenti squarciando il velo di omertà sulla presenza dei militari italiani inviati in Iraq nel 2003, come era già accaduto in Somalia, ad esempio, nel corso della missione «Ibis», poiché, secondo il racconto di uno dei due militari, a Nassiriya ci sarebbe stata una vera e propria centrale per portare avanti brutali interrogatori, sistematiche torture e umiliazioni su detenuti iracheni (feci e urine sui prigionieri, mutilazioni, elettricità ai genitali, waterboarding – simulazione di annegamento), forse membri della resistenza all’occupazione delle truppe straniere;
la sede della tortura, chiamata White House, sarebbe stata allestita in una zona periferica top secret di Nassiriya, a poca distanza dalla base fatta saltare in aria e dalla stessa sede dove si trovava il comando della «Sassari» in quell’area;
a quanto pare, queste sarebbero le prassi che i militari italiani avrebbero portato avanti in Iraq (e non solo) durante le varie «missioni di pace»; per la cronaca, qualcosa era già venuto fuori già nel 2004. In un articolo apparso su La Repubblica (firmato da Carlo Bonini) si apprendeva che: «Nelle camere di sicurezza della galera di Nassiriya, la polizia irachena ha sistematicamente torturato e abusato dei prigionieri che in quei fetidi stanzoni venivano scaricati. Non era un segreto per nessuno. Non in Iraq, perché di quelle violenze erano stati più volte testimoni i carabinieri italiani del Msu (Multinational spedalised unit). Non a Roma, al Comando Operativo di vertice interforze (Coi) del ministero della Difesa, dove, dal giugno del 2002, siede il tenente generale Filiberto Cecchi. Almeno uno dei comandanti che si sono avvicendati al comando dell’unità del Msu dell’Arma, il colonnello Carmelo Burgio, di quelle violenze ripetute informò infatti nel tempo la sua catena gerarchica che al ministero della Difesa faceva riferimento. A Nassiriya, il comandante della task force italiana, generale Gian Marco Chiarini (e prima di lui il generale Bruno Stano). A Bassora, il comandante del nostro contingente, generale Francesco Paolo Spagnuolo» (…);
come è noto, tutto è stato poi lasciato lentamente cadere nell’oblio malgrado le pur pesanti dichiarazioni del colonnello Burgio che, di ritorno dall’Iraq, a proposito delle camere di sicurezza di Nassiriya, aveva rilasciato un’intervista al Corriere della sera in cui affermava, riferendosi al maresciallo Massimiliano Bruno (deceduto nel famigerato attentato): «…Assisteva a scene disumane… Legnate sugli arrestati, bruciature di ferri da stiro sui corpi, uomini in fin di vita in spazi angusti infestati da topi»; quanto bastava perché il procuratore Intelisano si interessasse del caso per chiedere conto a Burgio di quelle circostanze alle quali lo stesso prontamente rispose affermando che informò per tempo i suoi superiori gerarchici nel teatro di operazioni consegnando alla procura militare documentazione definita di interesse –:
quali informazioni intenda fornire a seguito delle interviste rilasciate dagli ex militari evidenziate in premessa soprattutto con riferimento alla eventuale partecipazione attiva dei militari nell’esecuzione delle torture e quali verifiche intenda condurre per acclarare le responsabilità di quanti hanno assistito alle torture della polizia locale senza impedirle e senza adottare o promuovere le conseguenti iniziative disciplinari.
(2-00503)
interpellanza firmata dai deputati: Di Battista, Rizzo, Nesci, Manlio Di Stefano, Spadoni, Basilio, Paolo Bernini, Artini, Scagliusi, Del Grosso, Grande, Frusone, Corda, Sibilia, Tofalo
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