È finita con la Germania che ha alzato la coppa al cielo di Rio de Janeiro. Una nuova sfumatura del concetto di ‘sobrietà’: tutti composti, i teutonici, soddisfatti per una vittoria che sfuggiva da anni, ma non pazzi di gioia come, forse, sarebbe stato lecito aspettarsi.
Un mondiale che, in fondo, ha palesato una certa povertà di gioco, in via generale: la frase «non esistono più squadre materasso» non significa che le nazionali più deboli abbiano improvvisamente imparato a giocare a pallone, ma che quelle più grandi sono calate un bel po’ rispetto a non troppo tempo fa. Basta facile retorica, il pallone sarà pure rotondo e pieno d’aria, ma di campioni in campo se ne sono visti pochi. Grande gioco di squadra da parte di (quasi) tutti, per carità, ma i lampi di genio sono stati pochissimi.
La Germania ha vinto per la sua grande forza mentale e per un’organizzazione invidiabile, quasi da squadra di club. Intendiamoci: dopo aver segnato il secondo gol al Brasile, chiunque sarebbe riuscito a farne altri cinque, pure l’Ascoli. I carioca erano crollati, spariti dal campo, distrutti sul piano mentale, sopraffatti dai fantasmi di una sconfitta che non poteva assolutamente essere. Sconfitta. Termine impronunciabile nell’ultraretorica pallonara che da sempre avvolge un po’ tutta l’America del sud. Questo mondiale era del Brasile, per diritto divino. Poi però le partite le devi giocare per davvero, e non sempre Pinilla prende la traversa all’ultimo minuto dei supplementari.
Germania campione, dunque. Agli altri le briciole. L’Argentina ha fatto legna per tutto il campionato, affidandosi a un attacco fuori dal comune ma che non ha mai dato l’impressione di poter fare veramente male. L’Olanda resta la squadra favorita dalla critica che però non vince mai. Il Brasile, fuori dal podio, si è presentato con quella che probabilmente è la sua peggiore nazionale di sempre. Senza talenti, senza qualità, senza nemmeno la voglia di combattere.
L’Italia, per concludere un attimo il discorso, è rimasta schiacciata dal proprio nervosismo. Parliamoci chiaro: la squadra non era male, ma in Brasile ci siamo arrivati abbondantemente bolliti, guidati da un tecnico mediocre, con i cosiddetti senatori che hanno deciso di caricare tutta la responsabilità sulle spalle dei più giovani che, alla prova definitiva, hanno sentito le proprie gambe troppo molli per poter combinare qualcosa di buono. L’apparato del pallone tricolore è in mano all’ultimo scampolo di gerontocrazia democristiana, vecchi loschi figuri che qualche decennio fa si limitavano a fare massa tra Camera e Senato, oggi occupano tutte le posizioni di rilievo ancora disponibili. E ora che si va al rinnovo dei vari organi, tutto somiglia a una delle care vecchie lottizzazioni della Prima repubblica. Allegria!
Un altro mondiale è andato e noi pallonari ci siamo scoperti, ancora una volta, un po’ peggiori di quello che ci ricordavamo. Le partite le abbiamo viste tutte, lasciando il resto della cosiddetta attualità fuori per un mese circa. È evidente che il mondiale sia un teatrino allestito da un branco di canaglie che si chiama Fifa. Che decidono tutto gli sponsor e le televisioni. Che l’ultracapitalismo non offre panem ma di circenses quanti ne vuoi. Tutte le nostre contraddizioni esplodono quando sentiamo il fischio d’inizio di una partita, alla tivvù, alla radio o allo stadio. Eccetera eccetera eccetera.
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