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Uno sciopero “balneare”

Nei mesi scorsi abbiamo più volte e pubblicamente sottolineato come lo sciopero generale rischiasse di diventare un totem intorno a cui danzare ed inebriarsi per esorcizzare gli spiriti e i demoni di cui, purtroppo, è pregna la realtà.
Il primo “demone” sono i provvedimenti che entro marzo verranno adottati dall’Unione Europea in termini di rispetto obbligato del Patto di Stabilità. Se il debito pubblico va portato entro il 60% del PIL, per un paese come l’Italia dove tale livello è quasi il doppio, le misure economiche antipopolari che saranno adottate faranno rimpiangere le lacrime e sangue versati finora sull’altare del Trattato di Maastricht.
Il secondo è la fine della contrattazione collettiva nazionale e della rappresentanza democratica anche sul piano sindacale (oltre a quella sul piano politico già annichilita in nome della governance). Il contratto collettivo nazionale viene attaccato sia nella versione Marchionne sia in quella “federalista” che dopo sanità, scuola e fisco punta a regionalizzare anche i contratti di lavoro ed a introdurre le gabbie salariali.
Il terzo demone è il patto sociale neocorporativo tra sindacati e Confindustria al quale la Camuffo e la Cgil puntano esplicitamente e pubblicamente con le numerose e ripetute uscite pubbliche insieme alla Marcegaglia.
Di questi tre “demoni”, non c’è traccia nella piattaforma su cui la Cgil chiamerà allo sciopero del 6 maggio. Anzi, nella migliore tradizione tafazziana (nel senso dell’autolesionismo) lo sciopero della Cgil diventerà un viatico proprio per il patto sociale con la Confindustria e i poteri forti che intendono sostituirsi a Berlusconi.
In tale contesto, non sappiamo se fanno più rabbia o tenerezza i “peana” alla Cgil e allo sciopero balneare del 6 maggio innalzati da Loris Campetti su Il Manifesto o da Luca Casarini nelle reti di movimento.
Le mobilitazioni di massa sono importanti, sono il segno della vitalità del conflitto sociale. Ma il loro contenuto e i loro obiettivi sono decisivi e non secondari.
Lo sciopero generale su contenuti adeguati alla posta in gioco in questa fase del conflitto di classe c’è già ed è quello convocato per venerdi 11 marzo dai sindacati di base. Al momento sono questi che hanno saputo mandare i necessari segnali unitari (la lotta contro Marchionne alla Fiat e lo sciopero del 28 gennaio dei metalmeccanici) e i dovuti segnali di indipendenza dal teatrino della politica e dal patto sociale con lo sciopero dell’11 marzo.
Fuori da questi due parametri – convergenza e indipendenza – c’è solo la subalternità e un pervicace autolesionismo del quale è ormai opportuno fare decisamente a meno.

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