Tra i punti chiave della “riforma”:
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separazione delle carriere tra giudici e pm.
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doppio Csm e limiti all’azione penale (sarà il parlamento, non più i magistrati, a stabilire le priorità su quali reati perseguire e su che cosa indagare).
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responsabilità dei pm per eventuali errori giudiziari.
È evidente che questi tre assi rispondono a un solo bisogno: blindare il potere – qualunque potere, presente, passato e futuro – da ogni controllo del potere giudiziario, in barba ai princìpi di ogni società liberale.
Ciò non significa, naturalmente, che la giustizia, così com’è strutturata, funzioni bene. La separazione delle carriere – per esempio, impedirebbe che lo sguardo del magistrato inquirente (costitutivamente “colpevolista”) possa a un certo punto diventare anche lo sguardo del magistrato giudicante (costitutivamente “terzo” rispetto alle ragioni di accusa e difesa). Tutto starebbe nel vedere come questo principio di separazione può esser regolato. Nel contesto attuale, è scontato che il ramo “inquirente” sarebbe immediatamente preso in consegna dal governo attraverso il ministro di grazia e giustizia.
Così si potrebbe dire del principio di responsabilità dei magistrati. In astratto è ragionevole che un giudice sia attento al rischio di scambiare le proprie convinzioni per “prove”, sottovalutando gli elementi a discarico. Con un governo capeggiato da Berlusconi, però, è chiaro che gli unici giudici a correre seriamente il rischio di “pagare per i propri errori” sarebbero quelli che hanno osato – qui e là – mettere sotto indagine gli interessi o i reati della “cupola” al potere. Mentre quei magistrati che magari tirano avanti per dieci anni una causa civile, facendo infine vincere un “soggetto forte” (una banca, un’assicurazione, una grande impresa) contro un normale cittadino, potranno dormire sonni tranquillissimi.
L’opposizione parlamentare (Idv, Pd e nemmeno tutto) strepita e minaccia comunque il ricorso al referendum nel caso questa riforma passi.
I effetti, sembra però abbastanza difficile che l’iter di riforma costituzionale possa esser portato a termine entro la fine della legislatura. Sono infatti necessari ben due passaggi per ogni ramo del Parlamento, che possono diventare anche di più in caso di modifiche, emendamenti, ecc.
Il governo dispone della maggioranza alla Camera solo in virtù del neonato “gruppo dei responsabili” (o dei “disponibili”), mentre la presidenza è come nota in mano a Gianfranco Fini. Difficile dunque che l’iter proceda veloce quanto vorrebbe Berlusconi. In ogni caso – come dimostra l’episodio di ieri, col governo finito sotto sul decreto voluto dalla Lega, sugli “alpini docg” – anche quel gruppazzo di “insieme per caso” pretende posti da ministro, sottosegretario, prebende e codicilli ad hoc. Non basta insomma “comprare” un deputato una volta; quello pretende di esser ricompensato ad ogni singolo passaggio.
Strada impervia, dunque, per la riforma costituzionale. Anche se dovesse arrivare in porto in tempo, prima della fine naturale di questa legislatura (aprile 2013), non avrebbe comunque la maggioranza qualificata necessaria, ovvero i due terzi di ogni ramo. E quindi finirebbe di sicuro al vaglio di un referendum che – al contrario di quelli “abrogativi” di singole disposizioni di legge (come quelli di giugno per acqua pubblica, nucleare, legittimo impedimento) – sono validi anche se il quorum (la maggioranza degli aventi diritti al voto) non viene raggiunto.
Tranquilli, dunque? Niente affatto. Rischiamo seriamente di trovarci davanti due anni di discussione pubblica su temi che distraggono tutti dai temi veri (lavoro, salario, reddito, casa, precarietà, ecc). Con un’opposizione “borghese-perbenista” che si eccita – e occupa i pochi media non controllati dalla destra – solo per questioni costituzionalmente importanti ma lontane dalla “sensibilità immediata popolare”; e un governo “borghese di malaffare” che continua a camminare su un percorso golpista senza troppi impedimenti concreti. Ovvero senza un’opposizione sociale forte.
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