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Ministri da spiaggia

Guglielmo Ragozzino
MINISTRO DA SPIAGGIA

 

Tremonti lo ha detto e Tremonti è un uomo d’onore: «Nessuna vendita delle spiagge. La spiaggia rimane pubblica». Quando poi, d’estate, tenteremo di appoggiare un asciugamano sulla riva del mare, il bagnino ci manderà a spasso. «Torni alla scadenza del mio diritto di superficie – ci dirà – torni tra novanta anni». Proprietà nostra, come italiani fieri di esserlo, ma nessun diritto di goderne, nessun bagno libero, nel nostro pezzo di mare. Non per noi, non per i figli, non per i figli dei figli. Nessuno osi dire però che la proprietà delle spiagge non è più pubblica. Sarebbe il solito comunista malevolo.
A ben vedere, la spiaggia con i suoi novanta anni di esclusione assicurata è un simbolo esplicito dell’assetto sociale che il governo ha previsto. Chi paga, ottiene l’accesso, la cabina, la sdraio, il sole, le chiacchiere sotto l’ombrellone; gli altri, fuori. Allargato all’impianto complessivo della convivenza nazionale, della cittadinanza, il criterio è micidiale: il modello-spiaggia, esteso all’intera popolazione, sarà esclusione della gente più povera dal mondo dei ricchi benestanti.
Nessun bene comune, nessuna casa di tutti gli italiani, nessuna piazza libera, nessun paesaggio aperto. Non una scuola per tutti, non cure gratis. Tutto disponibile, con perfino qualche livello di efficienza. Tutto a pagamento. Anche le altre misure del decreto legge finalizzato allo sviluppo e al rilancio dell’economia sono classiste, speculative, aprono varchi al malaffare, a ogni sorta di traffici. 
Nessuna però ha l’effetto tragico di espropriazione di quello che è per diritto comune di ciascuno di noi, un pezzo di libertà, di riposo; di vita, per riassumere tutto in una parola.
Sulle spiagge protesta l’Europa. Essendole ben noto quel che avviene in tutti gli altri paesi: «libera spiaggia in libero stato»; ma d’altro canto conoscendo Berlusconi e i suoi, svolge una sottile critica da destra. Così, osserva l’Europa, fingendosi preoccupata, si tolgono al mercato le giuste gare per i diritti di spiaggia!
La questione delle spiagge e dell’assalto alle coste rimanda a quella dell’acqua, anch’essa pubblica, come lo è – dice il governo nel suo comunicato – «il servizio locale idrico integrato», pur attribuito in gestione ai privati. Con ipocrisia anche in questo caso il governo dice: certo che l’acqua è pubblica; e chi neghi che il governo ne è convinto, è un comunista malpensante. La gestione invece, quella sì, non è pubblica, comune, ma di chi ha vinto la concessione. Il governo promette però un’Agenzia nazionale «indipendente» con compiti di regolazione del «mercato nel settore delle acque pubbliche». L’acqua dunque è pubblica, ma affidata al mercato. Non per novant’anni, per sempre. Siccome del mercato non c’è poi da fidarsi e incombono i referendum, ecco la magnifica pensata dell’Agenzia. Privatizzare, moltiplicando poltrone e stipendi: un obiettivo del governo. Un popolo intero è stato derubato di quello che era suo, ma ha avuto l’Authority. Si pensa così aver risolto tutto, in vista dei referendum. E poi, di quali referendum stiamo parlando? Perché di quelli di giugno nessuno ha il permesso di fiatare, in televisione. Questo è il furto di democrazia, che completa gli altri: il furto di spiaggia e il furto d’acqua.

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Albergo in spiaggia? Si può
 

Paolo Berdini
I commenti a caldo sul decreto per il rilancio dell’economia si sono concentrati sul fatto – davvero inaudito – della svendita delle spiagge. Con il testo sotto gli occhi si può purtroppo affermare che essa sia addirittura il male minore: è prevista infatti la cementificazione delle coste italiane.
Ma prima è utile sottolineare un’altra vergogna. Invece dei 500 mila euro attuali, le amministrazioni pubbliche potranno affidare appalti a trattativa privata fino ad un importo di 1 milione di euro (articolo 3, lettera l). Bertolaso santo subito. Il sistema di potere della cricca si è basato, come noto, sull’assoluta discrezionalità nell’affidare appalti. Un numero ristretto di imprese veniva prescelta non sulla base delle capacità imprenditoriali ma sulla fedeltà assoluta e sull’inevitabile ritorno di favori e prebende. Con il decreto il sistema viene esteso a tutto il paese. Salvo pochi casi gli appalti pubblici sono infatti prevalentemente al di sotto del milione di euro o possono essere facilmente disaggregati per ricondurli a una sommatoria che singolarmente non superano quella cifra.
Con i livelli di mancanza di etica dei nostri amministratori non è difficile pensare alle conseguenze di questa scelta: la fine della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Sul Sole 24 Ore non sono state versate lacrime.
Ma torniamo ai territori costieri. Con il primo comma dell’articolo 5, al fine di «rilanciare l’offerta turistica nazionale» si cedono le spiagge ai privati per novanta anni. È da tempo che il segmento del turismo marino è in crisi rispetto a un’offerta internazionale che possiede qualità ambientali e d’impresa migliori delle nostre: la risposta è la svendita del demanio. Nel comma 4 si afferma poi che «possono essere istituiti nei territori costieri, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta delle imprese di settore che operano nei medesimi territori», i Distretti turistico-alberghieri, che vengono (comma 6) equiparati alle «zone a burocrazia zero» istituite con decreto legge 78/2010.
L’articolo 43 di questo decreto affermava che per favorire l’economia potevano essere istituite zone in cui le richieste di attività produttive sono approvate da un Commissario di governo che provvede mediante una conferenza di servizi a consentirne l’attuazione. Se questo non avviene entro 30 giorni, la proposta si intende comunque approvata. Quell’articolo permette dunque di poter fare ciò che si vuole dove si vuole: costruire un albergo, un villaggio turistico e tutto ciò che salterà alla mente ad una classe dirigente incapace di pensare ad un futuro che non sia la speculazione edilizia. Si possono infatti superare vincoli urbanistici e paesaggistici: ci pensa l’accordo di programma.
Il meccanismo, come abbiamo visto, potrà partire su richiesta delle imprese: le grandi lobby del turismo internazionale e nostrano ringraziano il presidente imprenditore e i suoi ispiratori. Le prove generali di questo nuovo trionfo del mercato senza regole erano state fatte proprio dal primo ministro nella sua più riuscita comparsata a Lampedusa. Nel promettere alberghi e campi da golf, disse: «Abbiamo la possibilità anche di fare delle zone a burocrazia zero. Cosa significa? Che mentre adesso per aprire un ristorante, per aprire un negozio ci vogliono autorizzazioni su autorizzazioni, in quelle zone si potrà far tutto, rispettando i regolamenti edilizi, rispettando le norme igieniche sanitarie, e il Comune manderà soltanto successivamente alla realizzazione dell’opera un suo incaricato a verificare che siano state costruite le opere in osservanza a tali regolamenti e se è il caso chiederà che vengano apportate le opportune modifiche».
Anche in questo caso il Sole 24 Ore non ha fiatato. Forse perché le norme sono state scritte da qualcuno che frequenta via dell’Astronomia. Ma i Distretti turistico-alberghieri insieme alle zone a burocrazia zero rappresentano un’altra tappa, l’ultima forse, del processo di dissoluzione del governo pubblico del territorio e del cammino italiano verso l’inciviltà. E, purtroppo, non c’è opposizione parlamentare in grado di scuotere il paese dal torpore.
* da “il manifesto” del 7 maggio 2011

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