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Confindustria disegna il (nostro) futuro

Un po’ di spettacolo horror – gli applausi per l’.d. Di Thyssenkrupp, “onorato” per la condanna dopo la strage di Torino – e molta sicumera, mentre dal convegno blindato alla stampa e alla politica usciva solo qualche twitterata annoiata di imprenditori al passo con la tecnologia (davvero pochi: 15 su 5.800, il che spiega molto della crisi industriale italiana).

Ma gli imprenditori italiani non mostrano mai incertezze, nemmeno quando cambiano strada senza mettere la freccia. E questo è avvenuto a Bergamo.

 

Hanno sfiduciato “la politica” in quanto tale, prima ancora che una particolare configurazione – pietosa – dell’establishment di Montecitorio. Ovvero un assetto costituzionale e istituzionale che prefigura un’”altra repubblica”, se ancora potrà essere così chiamata.

Emma Marcegaglia non c’è andata leggera: “gli imprenditori devono fare i conti con la delusione di una maggioranza che non ci ha levato l’Irap e di una opposizione che minaccia di mettere la patrimoniale. C’è un problema di fondo di regole da riscrivere a tutti i livelli, dai codici alle norme amministrative, dalle leggi ordinarie alla Costituzione, dalla forma di governo alla forma di Stato”.

Non si è vista l’investitura diretta di Luca di Montezemolo per portare a termine questa missione.Ma anche Confindustria deve attendere il risultato delle amministrative, e soprattutto di Milano, prima di aprire le danze per superare Berlusconi e il suo “liberalismo da furbetti del quartierino”.

 

Ma la sfiducia, come detto, va oltre le deficienze “riformistiche” degli schieramenti che si contendono il governo del paese. Come ha riassunto il direttore generale dell’associazione, Giampaolo Galli, “c’è poco da aspettarsi dalla politica, visto che da qui al 2014 la spesa pubblica al netto degli interessi dovrà essere ridotta del 7% in termini reali”.

Lo Stato – “la politica” ridotta ad amministrazione – non può più dare una lira a nessuno. Siamo entrati in una fase in cui il controllo del debito pubblico è passato nelle mani dell’Unione e europea, che fissa i saldi delle “finanziarie” (ora “leggi di stabilità”), mentre ai governi nazionali non resta che ripartire discrezionalmente l’entità dei tagli sui vari settori. La sintesi più efficace di questo nuovo rapporto tra imprenditori e “politica” arriva da Dario Di Vico, sul Corsera: “no budget, no lobby”.

Una sintesi che illumina anche sulla funzione di Confindustria fin qui e sul futuro, non più monopolizzato dai “professionisti della rappresentanza”. Tempi magri per viale dell’Astronomia, zeppa di funzionari e uffici replicati a ogni livello territoriale o di categoria, impegnati a preparar convegni e a fare “lobby” – per l’appunto – sugli amministratori pubblici, dal governo centrale all’ultimo dei comuni.

 

In quest’ottica, Confindustria non vede più tanto bisogno di una “rappresentanza”, evidentemente, nemmeno per la forza lavoro. Il sindacato previsto dall’”accordo del 2009” – quello che ridisegna il “modello contrattuale” introducendo addirittura la “derogabilità” dai contratti, e non firmato dalla Cgil guidata allora da Guglielmo Epifani – è l’unico con cui gli imprenditori vogliono avere a che fare. Un sindacato aziendale, responsabile, disponibile a orientare il consenso dei dipendenti, sanzionabile; una struttura di “servizi a pagamento”, stile Caf o patronato, ma non un “rappresentante dei lavoratori”. Certo, sono consapevoli che non si può lasciar fuori dai giochi la Cgil, ma non sono disposti a tornare indietro: sarà la Camusso a dover convincere i suoi, con i mezzi che preferisce. Su questo Marcegaglia non ha lasciato spazi alle interpretazioni riduttive: “Confindustria non è interessata a dividere i sindacati. Va avanti sulla strada dell’accordo interconfederale del 2009, con contratti nazionali ma derogabili, più flessibili. Anzi, direi di andare ancora più avanti”. Al di là di un contratto al tempo stesso “flessibile” e “derogabile” (solo dall’azienda, sia chiaro; nei confronti dei lavoratori deve essere invece sempre “esigibile”) c’è solo il “contratto individuale”; ossia nessun contratto.

 

Cosa significa, sul piano politico, questa “svolta” degli imprenditori?

Il risvolto costituzionale appare chiaro: lo Stato, una volta rimosso definitivamente il problema della “rappresentanza” di interessi diversi dai propri, dev’essere poco più che una macchina coercitiva o dedita a quei compiti che nessun imprenditore vuole realizzare con proprio capitale di rischio: infrastrutture, servizi orientati alle imprese più che ai cittadini, ecc. Per farsi capire ancora meglio, si sono offerti per la privatizzazione dell’Istituto del commercio estero, fin qui filiazione della Farnesina. Oltre che una serie di parti dello stato sociale (pezzi di istruzione, sanità, ecc) che possono dar margini di guadagno. Per loro il “pubblico” è solo quello che può essere profittevolmente ricondotto al “privato”. Il resto, polizia a parte, è spesa inutile.

Buon futuro, gente!

 

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Alcuni articoli utili:

da IlSole24Ore, La crisi della borghesia e dei consumi:

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-05-09/borghesia-rischio-estinzione-063752.shtml?uuid=AaX2QVVD

da Il Sole24Ore, il distacco tra imprenditori e politica:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-05-08/coraggio-sapersi-mettere-gioco-081024.shtml?uuid=AamcGKVD&fromSearch

da IlSole24Ore, centralità assoluta dell’impresa:

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-05-08/imprese-tengono-piedi-paese-142050.shtml?uuid=Aa0C7NVD&fromSearch

da IlSoe24Ore, “vogliamo sempre di più”:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-05-07/assise-confindustria-imprenditori-votano-154838.shtml?uuid=Aa9lgCVD&fromSearch

dal Corriere della Sera, “no budget, no lobby”:

http://www.corriere.it/editoriali/11_maggio_08/divico_modello-manchester_a9c2fc8a-7942-11e0-a4a7-62dea3e056bc.shtml

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