Le prime analisi quantitative sono arrivate dall’Istituto Cattaneo, e sono state immediatamente riprese da diversi analisti della stampa italiana. Ne riportiamo alcune.
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Uno su quattro non vota più il Pdl
MarcoCastelnuovo (La Stampa)
Alle elezioni si vince, si perde, e come ha spiegato Verdini ieri, si può pure pareggiare. Ma è evidente che al di là di Comuni più o meno grandi conquistati, di ballottaggi raggiunti o no, di sindaci vincenti o rimandati, ci sono i numeri. Per esempio prendiamo Milano. Il candidato del centrosinistra
Giuliano Pisapia è uscito trionfatore dal primo turno con il 48% dei voti trascinando al ballottaggio e da una posizione di vantaggio il sindaco uscente Letizia Moratti: ma in termini assoluti Pisapia ha preso 4.000 mila in meno del candidato sindaco del centrosinistra alle precedenti elezioni, Bruno Ferrante. Lunedì a Milano ha più che altro perso la Moratti: da 353.409 voti è precipitata a 273.401: settantamila voti in meno. La sconfitta di Milano dunque, a guardare bene i dati, è tutta interna al centrodestra che perde nel complesso in città 1.500 voti. Ma è un bagno di sangue per i partiti maggiori. Il Pdl in un anno ha perso 13.696 suffragi, la Lega 17.003.
Come si vede dunque, l’erosione di voti del Pdl non finisce per ingrossare le liste del Carroccio come è successo più volte. Anzi. Rispetto alle regionali dell’anno scorso, dice l’Istituto Cattaneo che ha svolto un’attenta analisi dei flussi dei voti delle tredici maggiori città al voto, la Lega Nord perde 25 mila voti (–16,0%), concentrati a Milano e Torino. E il risultato potrebbe essere addirittura peggiore se non ci fosse stato l’exploit di Bologna (5.242 voti in più, +2,52%) dovuti al traino del leghista Bernardini candidato sindaco.
Il Pdl perde molti consensi ovunque: meno 164 mila voti rispetto ai voti raccolti da Fi e An nelle precedenti elezioni comunali (–24,6%). L’emorragia è forte sia al Nord (–116 mila voti, –29,8%) sia al Centro-sud (–68 mila, –28,7%), mentre la dinamica è positiva in Emilia-Romagna (+20 mila voti, +52,2%), dove i consensi rimangono comunque bassi. I risultati sono analoghi anche se si confrontano gli esiti delle comunali del 15-16 maggio con le regionali 2010 (–22,3% nel complesso), con un arretramento meno marcato al Nord (–12,8%) e analogo al Centro-Sud (–32,1%). Ma anche in Emilia-Romagna si riscontra un forte calo (–31,4%). E il calo del Pdl – spiega ancora l’Istituto Cattaneo – non può certo essere attribuito alla presenza di liste del Fli, che non hanno avuto un’affermazione forte in queste elezioni.
Il centrosinistra invece continua a perdere voti rispetto alle precedenti comunali del 2006: meno 175 mila voti (–14,4%). E al netto dell’Udeur alleata al centrosinistra nel 2006. Rispetto alle regionali, tuttavia, il centro-sinistra si è rafforzato, raccogliendo 66 mila voti in più (+6,8%) con un avanzamento marcato al Nord (+16,6%), tenue in Emilia-Romagna (+6,1%), calo al CentroSud (–6,7%).
Secondo i dati delle principali tredici città al voto elaborati dal Cattaneo, il Pd rispetto a un anno fa ha ottenuto 39 mila voti in più, +7,3%, dovuto al buon andamento del voto al Nord (+77,5 mila voti, 29,9%), attutito da una tenuta in Emilia-Romagna (–1,0%) e da un calo al CentroSud (–26,0%). Ma il dato più eclatante rispetto ai risultati dello scorso anno è il flop dell’Italia dei Valori: Rispetto alle precedenti regionali, il partito di Di Pietro perde 62 mila voti (–40,7%), ovunque ma specie al Nord e in Emilia-Romagna.
Sempre rispetto al 2010, tiene Casini che perde l’1,4% anche se viene sorpassato in tutte le città del Nord (Emilia compresa) dai Grillini che migliorano la performance dell’anno scorso di 26 mila voti.
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La Lega gregaria e lo specchio infranto
Per Bossi e i suoi il consenso è sempre stato molto fluttuante: sale e scende sulla spinta degli elettori “infedeli” che li scelgono e li usano a seconda dei momenti, per rivendicare o protestare. Il Carroccio ha assecondato l’etica relativa del Cavaliere anche perché ne condivide il retroterra culturale. Anche per questo ha ottenuto un risultato deludente a Milano e un po’ ovunque
di ILVO DIAMANTI
La “strategia della sineddoche”, questa volta, non ha funzionato. O meglio: ha funzionato al contrario. La sineddoche. Una parola usata per identificare la parte per il tutto. O viceversa. Milano, Italia: come evocò, per primo, Gad Lerner vent’anni fa. E viceversa. Oggi: Berlusconi riassunto di Milano. E viceversa. La guerra personale fra Berlusconi e i Magistrati e ai Comunisti. Riassunta nella consultazione amministrativa di Milano. E viceversa. La strategia della sineddoche, al primo turno delle amministrative, ha travolto l’inventore, Silvio Berlusconi. Insieme alla sua candidata milanese, Letizia Moratti. E ha annichilito il suo non-partito: il Pdl. Neanche il 29%, a Milano. Un calo di oltre 7 punti rispetto alle Regionali del 2011. Addirittura 12 rispetto alle precedenti Comunali del 2006 (considerando insieme Fi e An). La “strategia della sineddoche”. Ha proiettato i suoi effetti all’esterno. Coinvolgendo il suo principale alleato. La Lega Nord. Fino a ieri anello forte del Centrodestra. Ora non-si-sa-più. Perché la Lega, a Milano, si è fermata al 10%. Quasi 5 punti al di sotto rispetto alle Regionali del 2010. Meno che a Bologna. Indubbiamente pochino per la Lega Padana nella Capitale della Padania.
Il fatto è che la sineddoche milanese, nella costruzione di Berlusconi, ha ridotto la realtà a uno stereotipo banale. Con l’esito di scoraggiare una componente ampia degli elettori di centrodestra. E di far scomparire la Lega e i leghisti.
Provo a spiegarmi meglio. Fra i segreti del successo di Silvio Berlusconi c’è la capacità di rappresentare una parte del sentimento del Paese. Trascurata e rimossa da altri attori politici, soprattutto dalla Sinistra. L’individualismo, lo spirito imprenditivo, l’insofferenza verso le regole, lo Stato e il pubblico. Un’etica relativa, intrisa di gallismo e omofobia. Berlusconi ha “rappresentato” tutto questo. L’ha messo in scena sui (suoi) media. Ne è divenuto il campione esemplare. La Lega l’ha assecondato. Anche perché, in parte, condivide questo retroterra socioculturale. Marcato dalla personalizzazione. Se Berlusconi è il Pdl, la Lega si riconosce in Bossi. Anche se ha un radicamento sociale ben diverso, rispetto al Pdl. Di suo, la Lega ha aggiunto altri tratti del “carattere nazionale”, particolarmente sviluppati nel Nord. Il localismo, le paure verso gli stranieri e la globalizzazione. Il distacco nei confronti di Roma, dell’Europa, del Mondo. “Insieme”, Pdl e Lega, Berlusconi e Bossi, hanno conquistato Roma. Partendo da Milano. Padrona di Roma e dell’Italia. Insieme? Qui sta il problema. Perché lo specchio berlusconiano, negli ultimi tempi, si è deformato in modo rapido e violento. Berlusconi ha ridotto, per intero, la sua rappresentazione politica e sociale intorno a se stesso. Tutti i problemi del governo e del Paese: ridotti ai suoi personali problemi con la giustizia. Alla sua guerra contro i magistrati. Milanesi. Così, Berlusconi ha usato una volta di più le elezioni, queste elezioni – amministrative – come una resa dei conti – politica. E ha trasformato Milano nel teatro simbolico della battaglia. Tra se stesso e i “suoi” nemici. Si è “imposto” come capolista del Pdl alle comunali. Ha “imposto” alla candidata Moratti il suo linguaggio e i suoi argomenti. Ha, di fatto, sponsorizzato il candidato Lassini. Quello che: “fuori le Br dalla Procura di Milano!”. Ha occupato la scena milanese. Ogni lunedì davanti alla Procura, un comizio. Assecondato da una claque “grigia”, aizzata dalla Santanché.
Una parte dell’Italia berlusconiana, però, ha guardato lo specchio e non si è riconosciuta. Così, la Moratti ha perso 11 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni. Finendo sotto di quasi 7 punti rispetto a Pisapia. Lassini, il campione del neo-berlusconismo aggressivo, ha racimolato 800 preferenze. Ventesimo in graduatoria. Lui, Silvio, ha quasi dimezzato le preferenze personali rispetto a cinque anni fa (e questa volta non potrà accusare i sondaggisti comunisti di aver taroccato i dati sulla sua popolarità). Allargando lo sguardo agli 11 capoluoghi delle Regioni del nord dove si è votato, il Pdl ha perduto dappertutto rispetto alle Regionali del 2011 (unica eccezione Novara) e, in misura ancor più ampia, rispetto alle Comunali del 2011. Insomma, Berlusconi è andato troppo oltre. Il suo specchio, ieri, rifletteva, in parte, il sentimento popolare. Oggi invece riflette solo i suoi interessi. Ma lui non se n’è accorto. Continua a considerarlo e a considerarsi il riassunto del senso comune.
La Lega, in questo gioco, è apparsa gregaria. Le sue bandiere – il Nord, il Federalismo – si sono allineate dietro all’unico stendardo issato dal Cavaliere. La giustizia. E poi, la responsabilità di governo rende difficile fare anche l’opposizione. Ma oggi la Lega governa. In centinaia di Comuni, 14 Province, 2 Regioni. E a Roma. Accanto a Berlusconi. Come spiegare ai suoi elettori che “non c’entra” con gli effetti della crisi? Come spiegare agli ascoltatori incazzati di Radio Padania che è giusto giustificare le avventure erotiche del Presidente del Consiglio? E assecondarne le battaglie per una giustizia giusta (per se stesso)? Difficile. Così, anche così si spiega il risultato deludente della Lega in queste elezioni. Non solo a Milano. Un po’ dovunque. Non tanto in termini di amministrazioni conquistate o perse. In 40 dei 49 comuni maggiori (di 15 mila abitanti) del Nord in cui è presente si va al ballottaggio. Ma di peso elettorale. La Lega è scesa in misura significativa, rispetto a un anno fa. Quasi dovunque. In 9 capoluoghi di provincia su 11. Unica vera eccezione: Bologna, dove però presentava il candidato sindaco della coalizione. Il che evoca l’ombra inquietante del passato. La Lega fluttuante, che passa dal 10% al 3%, nel corso degli anni Novanta. Dopo il 1996. E negli anni 2000 risale. Faticosamente. Al 4% nel 2006. Per impennarsi, dopo il 2008 e fino al 2010. Quando supera il 10%. E tocca il 12%, secondo i sondaggi degli ultimi mesi. La Lega fluttuante. Radicata, dal punto di vista organizzativo e dell’elettorato “fedele”, sale e scende sulla spinta degli elettori “infedeli”. Che la scelgono e la usano in base ai momenti. Per rivendicare e/o protestare. Perché è il sindacato del Nord e delle province produttive. Il partito del federalismo che garantisce meno tasse, più servizi, risorse e poteri. Non il contrario, come si comincia a temere. Di certo non è votata per difendere Silvio, i suoi interessi, le sue battaglie personali con i magistrati.
Per questo il futuro della coalizione è difficile da decifrare. Perché Berlusconi, ormai, è prigioniero della propria sindrome autistica. Perché la Lega, senza Berlusconi, rischia di ritrovarsi fuori gioco. Lontana da Roma. Improduttiva. Un amplificatore dei disagi e del malessere che finisce ai margini della scena politica. Perché insieme a Silvio rischia di apparire schiava di Roma, alleata del Sud (unica zona dove il Pdl abbia mantenuto i suoi consensi). E poi è difficile fare la Lega “responsabile”. D’altronde, oggi, fare i “responsabili” accanto a Berlusconi, nel senso comune significa essere “reclutati”. Ma è difficile anche fare gli estremisti. Perché lo spazio estremo l’hanno occupato Berlusconi, La Russa, la stessa Moratti. Così la strategia della sineddoche di Berlusconi rischia di lasciare senza parole i due leader del Centrodestra. Bossi e Berlusconi. Non parlano, per ora. E parlarsi tra loro, in futuro, sarà difficile.
La Repubblica
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Sarà l’«elettore mobile» a decidere la partita di Milano
La sinistra conquista (ex) astenuti, il Pdl soffre il «non voto». Uno su 8 ha scelto nell’ultima settimana
Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni amministrative? Di certo, si è assistito ad una significativa sconfitta, anche personale, di Berlusconi nelle consultazioni cardine, quelle di Milano. Ma, più in generale, sono stati puniti i partiti maggiori, sia per la diminuzione dei consensi in assoluto, sia per il successo, in diversi contesti, delle forze politiche più radicali e più legate all’antipolitica.
Ha invece vinto soprattutto la rinnovata capacità di molti elettori di scegliere autonomamente, sulla base della propria valutazione della figura dei candidati, al di là (o talvolta contro) l’appartenenza o la simpatia di partito. Lo mostra, tra l’altro, il fatto che, ad esempio nel caso milanese, più del 35% ha dichiarato di avere effettuato la propria scelta soprattutto sulla base dell’immagine (e della comunicazione) del candidato. È un fenomeno indicato anche dalla pratica così diffusa del voto disgiunto, nel quale l’elettore ho optato per un candidato sindaco diverso dalla propria indicazione di partito.
Proprio questa ritrovata indipendenza della valutazione personale ha spinto molti a procrastinare nel tempo la scelta definitiva, valutando e soppesando i diversi messaggi emersi nella campagna elettorale. Nel capoluogo lombardo, il 13% dei cittadini ha deciso infatti cosa votare solo nell’ultima settimana prima della consultazione. E un altro 4% ha definito il proprio orientamento solo nell’ultimo mese. Si tratta dei famosi indecisi (frequenti soprattutto tra chi dichiara di sentirsi politicamente di centro ma anche tra chi – e sono tanti – afferma di non avere una precisa posizione politica), corrispondenti a quasi il 20% dell’elettorato, che sono giunti ad una decisione solo alla fine (o quasi) della campagna elettorale. A costoro va aggiunto forse quel terzo di astenuti che ha deciso invece di disertare le urne proprio all’ultimo momento. Tutti costoro sono stati dunque fortemente influenzati nella loro scelta dalla campagna elettorale. La quale, almeno per ciò che riguarda i due candidati principali, è stata giudicata in modo differenziato. Nel caso della Moratti, le valutazioni negative sulla comunicazione (39%) superano quelle positive (32%). Viceversa, la campagna elettorale di Pisapia fa riscontrare una prevalenza dei giudizi di plauso o, quantomeno, di sufficienza (38%) su quelli di critica più o meno intensa (30%). Già questi dati sulla percezione della campagna possono spiegare in buona misura l’insuccesso della Moratti. Il fatto poi che, come si è detto, una quota significativa abbia deciso all’ultimo momento dimostra come l’errore finale della comunicazione del Sindaco uscente (in occasione del dibattito televisivo con il suo avversario) abbia contato non poco nella sua sconfitta in questo primo turno.
Ma cosa hanno comportato queste scelte, spesso tardive e/o difformi dall’appartenenza di partito? Come hanno votato oggi gli elettori rispetto alle elezioni regionali dell’anno scorso? Le stime dei flussi elettorali rilevabili a Milano forniscono diverse indicazioni. Le più significative sembrano riguardare l’intensità dei movimenti da e per il non voto: intendiamo con questa espressione chi, in questa elezione o nella precedente, si è astenuto, ha votato scheda bianca o ha scelto di manifestare la propria preferenza solo al candidato senza indicare alcuna lista di partito. Ad esempio, ciò può spiegare in parte il calo (14.000 elettori circa) degli elettori del Pdl. Molti (secondo le nostre stime quasi 40.000) di quanti avevano scelto il partito l’anno scorso si sono rifugiati in questa alternativa. È vero che il Pdl ha conquistato, al tempo stesso una parte di chi si era astenuto invece l’anno scorso, ma il saldo rimane negativo.
Lo stesso fenomeno ha investito, sia pure in misura minore la Lega (che ha ottenuto in queste elezioni circa 14.000 voti in meno rispetto all’anno scorso) anche se, in questo caso, i flussi sono stati molteplici: è indicativo notare che una piccola parte di ex leghisti, forse più vogliosa di protesta, ha scelto addirittura di spostarsi sul Movimento 5 Stelle. Il Pd ha invece guadagnato consensi rispetto alle ultime regionali. Anche per questo partito hanno contato molto gli (ex) astenuti, sebbene esso registri flussi a suo favore da parte dei partiti di tutto l’arco politico.
In definitiva, queste elezioni sembrano mostrare la diffusione di un elettorato più mobile e pronto a spostarsi da una forza politica all’altra e da e per l’astensione. Ciò che potrebbe segnare l’avvio di una nuova e diversa fase nella vicenda politica del nostro paese.
Renato Mannheimer
Corriere della sera
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