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Gli aerei italiani bombardano pesantemente la Libia. I No War si mobilitano

L’omertà del governo e dei comandi militari italiani vorrebbero tenere nascosta la vergogna, ma la realtà conferma che gli aerei italiani stanno partecipando attivamente e pesantemente a bombardare la Libia, né più né meno che quelli francesi, inglesi, qatarioti, statunitensi. I raid aerei italiani sulle città e le infrastrutture libiche sono stati già oltre mille sulle circa 8.300 della Nato, di cui 3.175 sono state missioni di attacco a terra. I Tornado e i Sea Harrier italiani (questi ultimiimbarcati sulla portaerei Garibaldi) hanno sganciato oltre 200 tra bombe e missili in tutti i quadranti della Libia, incluso il Fezzan lontanissimo dal fronte dei combattimenti. Sono stati lanciati dai Tornado anche i costosissimi missili Storm Shadow (una cosetta da 300.000 euro ognuno), mentre le bombe sganciate variano da quelle da 227 a quelle da 454 chili.

Ma non sono solo gli aerei a fare il lavoro sporco. Fonti della Nato riprese dal Sole 24 Ore di oggi, confermano che si stanno preparando all’escalation anche sul piano dell’intervento militare terrestre. Elicotteri da combattimento sono stati approntati per attaccare a terra mentre la nave da sbarco “San Giorgio” con a bordo i lagunari del battaglione San Marco si è unita alle navi francesi e inglesi Ocean e Tonnerre con a bordo truppe da sbarco.

Insomma l’Italia sta mani e piedi dentro una sporca guerra che somiglia sempre di più ad una “guerra sporca”. La conferma viene dalla grande banca Unicredit e non solo. In Italia oltre al 7,6% di Unicredit, 2% di Finmeccanica e circa 1% di Eni, sarebbero bloccati sui conti Unicredit depositi libici per circa 3 miliardi di euro, mentre altri 1,5 mld in Ubae, la banca libico-italiana controllata da Tripoli e sottoposta a commissariamento dalla Banca d’Italia in forza del congelamento. E’ quanto scrive Il Sole 24 Ore che cita fonti finanziarie. La Lybian Investment Autority , il fondo sovrano libico che ha in portafoglio il 2,6% di Unicredit attualmente congelato, come le altre partecipazioni in tutto il mondo a seguito della guerra civile in Libia, ha accusato perdite colossali su una serie di prodotti sofisticati acquistati da istituzioni fiannziarie internazionali. E’ quanto scrive il ‘Financial Times’, secondo il quale, il regime di Gheddafi avrebbe investito oltre 5 miliardi di dollari (3,5 miliardi di euro circa) in fondi e hedge fund, il cui valore, al 30 giugno 2010, era sceso a 3,5 miliardi. Fra questi, tre fondi gestiti da Societe’ Generale, il cui valore si e’ ridotto dagli iniziali 1,8 miliardi di dollari a 1,05 miliardi. Alla stessa data, gli investimenti totali di Lia ammontavano a 53 miliardi di dollari, di cui quasi 4 miliardi in fondi bancari o speculativi gestiti da societa’ private, tra le quali SocGen e Jp Morgan (171 milioni). Il portafoglio in derivati su valute ed equity, pari a 1,2 miliardi, sarebbe stato decurtato di ben il 98,5%. Il tesoretto libico si sta dunque asciugando anche grazie al suo sequestro e alla immobilizzazione nelle banche britanniche, statunitensi, francesi e italiane.

Il movimento No War dal canto suo ha deciso di non recedere da una battaglia di denuncia contro la sporca guerra in Libia, il pieno coinvolgimento dell’Italia e il tentativo di caricare su lavoratori e settori popolari – oltre i costi della crisi – anche i costi della guerra che vedono un continuo aumento delle spese militari.

Per mercoledi 1 giugno i No War romani si sono dati appuntamento per una manifestazione davanti al COI (Comando Operativo Interforze) all’ex aereoporto di Centocelle, una struttura strategica integrata nella Nato e che ha compiti operativi sia in Afghanistan che in Libia. Iniziative analoghe sono previste anche in altre città come Bologna e Napoli, ma altre potrebbero aggiungersi nei prossimi giorni.

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