Giulio Tremonti frena sulla riforma fiscale che sta tanto a cuore al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e mette un paletto chiaro: «non la possiamo fare in deficit, non possiamo fare una riforma che crea deficit». «Dobbiamo trovare i soldi senza scassare i conti – spiega il ministro, che di fisco parla anche all’arrivo, in un colloquio riservato con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia – perchè ci porterebbe ad aumentare i tassi di interesse e di conseguenza ad alzare le tasse. Abbiamo un’enorme base di evasione fiscale che oggettivamente è un grosso serbatoio, il suo recupero può servire per la riduzione della pressione fiscale. Il dividendo va messo su giovani e anziani».
Tremonti aggiunge: «io sono un pò all’antica, non ho intenzione di tassare la prima casa e il risparmio delle famiglie». Poi indica tra le cose «da studiare» l’innalzamento delle aliquote Iva «per trasferire la tassazione dalle persone alle cose» (non una grande idea: restituirebbe poco in busta paga alzando i prezzi delle merci, e quindi riducendo comunque i consumi) e spiega che il Tesoro sta lavorando sulla «Torre di Babele» delle esenzioni fiscali: «470 deregulation che rubano 150 miliardi».
Sulla riorganizzazione del fisco «è tutto scritto – ricorda il ministro – a pagina 6-7 del Programma nazionale di riforma. Non pretendo sia un best seller da tenere sul comodino, ma lì c’è già scritto tutto su tempi e numeri». Agli industriali, ai quali rivolge un invito «a continuare a sognare», il ministro dell’Economia chiede che si metta un limite all’uso eccessivo della flessibilità perchè c’è stato un «abuso» dei contratti a termine. «Il nostro sistema produttivo – osserva – sarebbe più moderno se fosse più aziendale nella contrattazione e, per compensazione sociale, meno arbitrario nella sequenza del tempo determinato. Servirebbe un limite a quegli strumenti contrattuali, un conto è la flessibilità e un conto è l’abuso». Posiamo immaginare le facce: un governo (come quello pecedente, ma con qualche “liberalità” in più), permette di fare carne di porco di ogni diritto per quanto riguarda i nuovi assunti e poi pretende di “far la predica” se le imprese ne approfittano.
Tremonti, alla fine, se ne va prima dell’intervento conclusivo della Marcegaglia, che sembra proprio replicare a brutto muso: «La soluzione del precariato non passa da una trasformazione in massa di contratti flessibili in contratti indeterminati, come avvenuto nella scuola. È il contrario di quello che serve, mentre bisogna fare un ragionamento serio. Il mercato del lavoro va riequilibrato perchè c’è troppo dualismo: eccessive garanzie per alcuni da un lato e per i giovani un futuro incerto». Insomma, la solita ricetta: “meno diritti per tutti i lavoratori, così ricostruiamo l’egualianza”.
E la presidente di Confindustria non la manda a dire, sposando una vulgata che vorrebbe essere populista ma è solo la sempiterna solfa del “siamo tutti nella stessa barca”.
Premette di condividere la linea del ministro dell’Economia, con cui in mattinata ha avuto un colloquio riservato: «Il tema dell’equilibrio dei conti pubblici è essenziale», dice, «dal rigore non si può prescindere», «l’obiettivo del governo di portare il bilancio in pareggio nel 2014 è alto, complesso e va portato avanti. Questo vuol dire pensare a una manovra importante da 35-40 miliardi di euro. Va fatta» subito «non dopo le elezioni da un altro governo». Ma non allenta il pressing sulla riforma fiscale. «Si può fare», dice Marcegaglia, «a parità complessiva di pressione», Quindi, è il suo ragionamento, pur mantenendo la pressione «invariata», si può aumentare «gradualmente l’Iva», intervenire sulle rendite finanziarie e sulle detrazioni. Punti su cui è possibile lavorare «per incassare soldi e utilizzarli per abbassare l’Irpef sui lavoratori e diminuire una parte della componente del costo del lavoro sull’Irap» per le imprese. «Tremonti – afferma ancora Marcegaglia – ha detto anche che una parte degli introiti provenienti dalla lotta all’evasione può essere utilizzata per abbassare la pressione fiscale. Lo chiediamo da tempo, è importante che adesso si faccia».
Al convegno interviene anche il direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni (candidato dall’istituto a governatore al posto di Mario Draghi, ma osteggiato da Berlusconi), sostenendo che «alleggerire l’onere fiscale sui lavoratori e sulle imprese oneste darebbe un ulteriore contributo di stimolo alla crescita, ma a una condizione: che si prosegua, di pari passo, nel recupero dell’evasione fiscale»; l’economia italiana «deve accelerare il passo, se vuole restare nel novero delle economie avanzate».
Sulla necessità di «rimettere al centro» la crescita torna anche la leader degli industriali: l’Italia non può andare avanti con i «bassi tassi degli ultimi 15 anni. Continuare a crescere dello 0,8%-1% non ci permette di fare le cose che dobbiamo». È «venuto il momento di scegliere dove tagliare e dove investire», perchè «non si possono fare tagli lineari» e «c’è una differenza tra gli investimenti in ricerca e innovazione e tra gli enti inutili ed i costi della politica». Così come bisogna ridisegnare «i confini tra Stato, mercato e società. Lo Stato spesso fa troppo e male, faccia meno cose e bene, lasciando più spazio al mercato» (per esempio lasciandogli l’acqua, il nucleare, le municipalizzate; magari). E sui costi della politica «in un momento in cui siamo chiamati a fare grandi sacrifici è inaccettabile che la politica non sia la prima a dare il buon esempio. Ho parlato con il ministro Tremonti, andrà in questa direzione», aggiunge Marcegaglia.
Affronta poi «il problema» della disoccupazione giovanile e delle donne su cui si «è scaricata la crisi» e del «ritardo con cui entrano nel mondo del lavoro». E ritorna sul tema delle regole del lavoro sostenendo che anche sulla flessibilità in uscita «vada aperto un dibattito senza ideologie». Risponde, infine, alle critiche di «chi afferma che Confindustria dice sempre agli altri cosa fare. Non è vero. Ragioniamo anche su noi stessi», replica Marcegaglia.
Ma il tributarista di Sondrio sembra ora entrato in conflitto anche con il suo miglior alleato, la Lega. «Tremonti dice che serve prudenza. È giusto». Ma «in questi momenti io credo che serve più il coraggio che la prudenza, o tutti e due». Parola del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che magari economia non mastica molto, ma che sa come far pesare il parere dei “lumbard”. «La prudenza sì ma anche il coraggio di guardare e di mettere in campo una riforma significativa – ha continuato Maroni – il coraggio di sfidare la congiuntura, il coraggio di un gesto importante, atteso e che noi dobbiamo impegnarci a prendere per portarlo a compimento entro i due anni della legislatura. Sono due modi di vedere la stessa cosa da due punti di vista leggermente diversi». Uno più attento alla stabilità dei conti, l’altro agli umori dell’elettorato di riferimento. Ma se ci si preoccupa ora dell’elettorato – a due anni di distanza dalla scadenza ufficiale della legislatura – vuol dire che gli equilibri interni alla maggioranza stanno smottando molto più velocemente di quel che si vuole ammettere
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