Si apre oggi a Genova la Conferenza nazionale del Pd sul lavoro. È una notizia di rilievo che i democratici si occupino di una questione un tempo identitaria, almeno per una delle storie che hanno dato origine al partito guidato da Bersani. 600 delegati, usciti da decine di assemblee in tutt’Italia e tanti ospiti illustri, a partire dai segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e persino Ugl, più i big delle associazioni imprenditoriali. Il fatto che ci siano Camusso, Bonanni e Angeletti non sorprende, semmai l’aspetto che merita qualche riflessione è che tutte le linee possibili sul lavoro sono presenti dentro il Pd. Ne parliamo con Sergio Cofferati, eurodeputato, l’ex segretario della Cgil che ha guidato il movimento sindacale e di popolo in difesa dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18. Roba che ora viene rimessa in discussione, anche nel suo partito. In un Pd scarsamente radicato nelle fabbriche e nel posti dl lavoro, convivono anime e soprattutto opzioni diverse, c’è chi sta con Landini e chi con Bonanni, per non dire addirittura con Marchionne.
Cosa ti aspetti da questa conferenza sul lavoro?
Fammi cominciare con una nota positiva: che questo appuntamento sia stato organizzato rappresenta una scelta importante e impegnativa, ed è ancora più importante che abbia uno sviluppo. Definirei non brillantissimo il radicamento del Pd nel mondo del lavoro, dunque serve un rilancio di una questione che dev’essere identitaria, una forza di sinistra deve avere le sue radici nel lavoro. Colpisce che dopo un’articolazione capiliare del dibattito nelle città, che ha prodotto qualche punto dl sintesi, alla vigila della conferenza venga presentato un documento ispirato da !chino e firmato da Veltroni e altri parlamentari il cui titolo è un programma: «Pd, sul lavoro non c’è un pensiero unico». È evidente, convivono orientamenti diversi. Quello di Veltroni più altri è di natura schiettamente liberaldemocratica e non ha niente a che spartire con qualsivoglia linea riformista. Ripropone un impianto fatto proprio dai paesi del nord Europa che è fallito, anche i suoi propugnatori se ne sono resi conto. Flexicurity e riduzione dei diritti per dame qualcuno a chi ne è totalmente sprovvisto sono ricette che hanno qualcosa a che vedere con la crisi sociale europea. C’è un problema di metodo, un documento presentato a prescindere dai lavoratori e dal gruppo dirigente che hanno costruito l’iniziativa, e uno di sostanza: io ritengo la posizione di quel documento ideologica, «nuovista» come se i diritti fossero preistoria di cui liberarsi, e in fin dei conti lo reputo incompatibile con un’idea di sinistra sul lavoro.
II lavoro non è l’unico aspetto si cui li Pd si divide…
Certo che no. Ma un conto è avere idee diverse sulla legge elettorale, altro conto contrapporsi su un aspetto identiario, ripeto, come il lavoro. La questione «dl metodo» non è meno importante: mentre riparte un’onda spinta dalla partecipazione di chi, soprattutto I giovani, tenta di riappropriarsi delle scelte politiche, nel Pd si ignora l’orientamento del suoi lavoratori. L’irruzione di quel documento nella conferenza configura un’idea di vita interna del partito francamente inaccettabile. Nel merito, la proposta di Veltroni più altri è generica su tutto, mentre è dettagliata sulla legge che dovrebbe regolare la rappresentanza sindacale. Ha al centro la cancellazione di tutti i criteri che garantiscono l’esistenza e la prevalenza del contratto nazionale di lavoro, che verrebbe sostituito da accordi aziendali. Non ci vedo molte differenze dalle intenzioni del ministro del lavoro, che peraltro assume il modello Marchionne. Si va ben al di là dell’attacco all’articolo 18. Questi parlano di riunificazione del mercato del lavoro frantumato e precarizzato ma hanno in testa un livellamento al ribasso. È un giudizio molto duro.
Come è possibile, In questo contesto, che dalla conferenza sul lavoro il Pd ritrovi – uso le tue parole – un cammino riformista?
Ci vuole convinzione e pazienza, a partire dal gruppo dirigente del partito che deve liberarsi dalle nuove ideologie, che tanto nuove non sono. Non è la dialettica che mi preoccupa, anzi. E che c’è chi vuol far passare anche al nostro interno un’idea bassa di competizione basata su bassa conoscenza e bassa qualità, mentre bisognerebbe tornare a interrogarsi sul cosa, come, con chi, a quali condizioni, con quali diritti produrre. Intanto Confindustria, con Cisl, UII e la benedizione del governo, lavora alacremente a con-trorlformare le relazioni sindacali. Mi chiedo cosa ci sia da discutere con una Confindustria che convoca alcuni sindacati su un documento che cancella i contratti nazionali.
da “il manifesto” del 17 giugno 2011
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