Il governo italiano chiede ufficialmente le dimissioni di Lorenzo Bini Smaghi dal board della Bce in modo da consentire alla Francia di fare entrare un suo esponente e dare l’appoggio per la nomina di Mario Draghi alla presidenza.
Parigi, con l’uscita di Trichet, rimarrebbe infatti senza esponenti nella Bce a fronte di due italiani. La richiesta arriva così nel primo pomeriggio direttamente dal premier Berlusconi, che incontra a Palazzo Chigi il banchiere centrale. Questi lascia la sede del governo senza fare dichiarazioni, ma rimanda a quanto detto in mattinata in un convegno al Vaticano. Lì il banchiere fiorentino aveva espresso a chiare lettere la sua ostilità all’ipotesi di sue dimissioni, citando il martire dell’indipendenza verso il potere politico Tommaso Moro e ricordando come il mandato per i componenti del board della Bce, che sono indipendenti, sia di 8 anni e il suo scade solo il 31 maggio 2013.
Precedenti di dimissioni prima del mandato a Francoforte peraltro ce ne sono, come quando appunto Christian Noyer si fece da parte al momento dell’elezione di Trichet. Nelle scorse settimane il rischio di una impasse e della creazione di un caso internazionale aveva già fatto emergere le ipotesi di dimissioni di Bini Smaghi in cambio di un posto di prestigio. Fra le ipotesi anche quella di governatore della Banca d’Italia al quale però ambirebbero l’attuale direttore generale Fabrizio Saccomanni, ben visto dalla struttura interna e attualmente con maggiori chance, e il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli. Ma non è un mistero per nessuno che lo stesso Berlusconi e anche Tremonti vedano come il fumo negli occhi la nomina dello stesso Saccomanni, troppo “indipendente” – come rivendicato all’istituo da Mario Draghinel crso delle ultime “Considerazioni finali” del 31 maggio scorso – per essere sopportato da un potere con l’acqua alla gola.
La nomina per Via Nazionale, che l’esecutivo potrebbe voler risolvere entro il Consiglio europeo di giugno, spetta al presidente del Consiglio ma è disposta dal Presidente della Repubblica in un quadro di concordia istituzionale che mira a preservare l’autonomia e l’indipendenza dell’istituto centrale. Le parole del Premier Berlusconi sono nette: «Io e Letta abbiamo un appuntamento con Lorenzo Bini Smaghi. Stiamo parlando del fatto che per ottenere dalla Francia l’assenso alla candidatura di Mario Draghi ci deve essere nella Bce la presenza di un francese che potrebbe avvenire con le dimissioni di Bini Smaghi dal board. C’è quindi una richiesta ufficiale del Governo a Bini Smaghi di dimissioni».
Quindi l’incontro con il banchiere, che dura una decina di minuti. Nel suo discorso della mattinata Bini Smaghi è stato però altrettanto esplicito e si è appoggiato a uno dei capisaldi della Bce: l’indipendenza. «Vi è una dottrina consolidata per valutare l’indipendenza della Banca centrale secondo 4 criteri fondamentali», spiega: uno di questi è «l’indipendenza personale, che garantisce la permanenza in carica dei membri degli organi decisionali per tutto il periodo prestabilito dalla nomina (otto anni nel caso della Bce, e un minimo di 5 per le banche centrali nazionali) e tutela contro la loro revoca arbitraria».
Da Bini Smaghi anche una citazione di Tommaso Moro, lo statista inglese, poi proclamato santo, che «con la sua indipendenza di giudizio e la ferma convinzione nella supremazia dell’interesse pubblico» riuscì a resistere alle pressioni del re Enrico VIII«, fino al punto di «essere costretto alle dimissioni, incarcerato e poi condannato a morte». Più concretamente: esser lasciato senza un incarico di prestigio, visto che dalla Banca d’Italia vedrebbero malissimo un governatore “nominato” in contrasto con il candidato “natuale”: Saccomanni, appunto.
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Antonietta Calabrò
Corriere della Sera, 11 giugno 2011
Lorenzo Bini Smaghi siede al vertice dell’Eurotower, a Francoforte, dal 2005; ieri era nella capitale per partecipare a un summit del Pontificio Consiglio perla giustizia e la pace sull’«Etica per il mondo degli affari», cui hanno partecipato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il cardinale Peter Turkson, esponenti di Goldman Sachs, Deloitte e di altre istituzioni internazionali, e ha concesso questa intervista prima di sapere di essere convocato a Palazzo Chigi dal premier, che ha sollecitato le sue dimissioni dal board della Bce.
Nel suo intervento al summit vaticano lei ha affermato che «non è un caso che i banchieri centrali hanno adottato come loro protettore San Tommaso Moro, che con la sua indipendenza di giudizio e la ferma convinzione nella supremazia dell’interesse pubblico riuscì a resistere alle pressioni del re». Non è ardito associare una banca centrale alla Chiesa e ad un santo?
«Eppure è proprio ciò che ha fatto monsignor Heinrich Mussinghoff, vescovo di Aquisgrana, esattamente due settimane fa nella sua omelia in occasione della consegna del premio Carlomagno a Jean-Claude Trichet».
Ma Tommaso Moro fu poi costretto a dimettersi, fu incarcerato e alla fine condannato a morte…
«Fortunatamente l’indipendenza delle banche centrali non dipende più dall’eroismo dei suoi esponenti. In Europa è il trattato di Maastricht a definire e proteggere l’indipendenza della Bce e delle banche centrali nazionali. Ma oltre all’indipendenza funzionale, istituzionale e finanziaria c’è anche l’indipendenza personale, che garantisce la permanenza in carica dei membri degli organi decisionali per tutto il periodo stabilito della nomina (otto anni nel caso della Bce e un minimo di cinque per le banche centrali nazionali) e tutela contro la loro revoca arbitraria».
Riparliamo del caso Grecia. Etica in economia vuol dire solidarietà?
«Non c’è solidarietà senza rigore. Tutti devono seguire le regole, bisogna aiutare i Paesi come la Grecia ad aiutarsi. Il rigore infatti non è altro che una solidarietà intertemporale, rivolta alle generazioni future. Ma l’opinione pubblica deve capire che il bene comune coinvolge anche il futuro e le future generazioni, questa è etica in economia. Il fattore tempo richiede una serie di regole, un comportamento meno istintivo, meno basato sulla prociclicità».
Dopo la crisi dei mercati del 2008 è tornata l’attenzione all’aspetto etico dell’attività economica e finanziaria. Perché?
«Quando tutto va bene nessuno ci pensa, si vogliono rendimenti brillanti e magari gli operatori che seguono criteri più etici vengono spiazzati e penalizzati da rendimenti e risultati meno brillanti. Uno dei punti forti dell’enciclica Caritas in Veritate è proprio la ricerca della verità come guida perla responsabilità individuale, esercitata ogni giorno dai singoli, in particolare sul lavoro. La verità non può però essere a piacere dei singoli, ma deve avere una dimensione sociale, con il fine della carità, che è il valore supremo della convivenza civile. Il linguaggio del Papa — forse perché è tedesco — nell’enciclica è effettivo e diretto proprio sui problemi dell’economia».
La crisi ha indebolito le famiglie e il concetto stesso di famiglia. Tutti oggi invocano politiche di sviluppo oltre che di rigore: lei cosa suggerisce?
«Le famiglie si erano indebolite ancor prima della crisi, a causa della stagnazione dei redditi delle classi medie nel corso del decennio precedente, in particolare a causa delle trasformazioni tecnologiche e della globalizzazione. Le famiglie si sono poi ulteriormente indebolite cercando di sostenere il livello di consumi attraverso l’indebitamento, incentivato da un sistema finanziario un po’ troppo innovativo e dalla deregolamentazione dei mercati, voluta da tutti. La crisi dimostra che lo sviluppo senza rigore dei conti non è sostenibile, provoca squilibri che in ultima istanza peggiorano le condizioni delle classi più deboli».
In concreto?
«Per difendere queste ultime e dare loro la possibilità di migliorare le condizioni di vita è necessario innanzitutto puntare sull’istruzione, non solo delle nuove generazioni ma durante tutto l’arco della vita lavorativa. Negli ultimi anni la qualità media dei sistemi educativi dei Paesi avanzati è fortemente peggiorata rispetto ai Paesi emergenti, come mostrano i principali indicatori. Questo spiega la difficoltà delle nuove generazioni di inserirsi nel mercato del lavoro e di difendere la prosperità acquisita». L’Europa invecchia: il crollo demografico in Occidente è una causa della crisi? «Alcuni Paesi in stagnazione demografica, come il Nord Europa, sono riusciti a crescere e a creare lavoro per i giovani, perché hanno investito in istruzione e ricerca. Il mercato del lavoro è inoltre sufficientemente flessibile, e al contempo in grado di proteggere i più deboli, da incoraggiare le aziende ad assumere senza remore».
Alcuni padri fondatori dell’Europa erano cattolici. I cattolici hanno ancora qualcosa da dire in Europa?
«I cattolici hanno qualcosa da dire se hanno la speranza di un mondo migliore, più giusto, con maggiori opportunità per i più deboli, e al contempo danno l’esempio, nella loro vita quotidiana, per realizzarlo. In questa Europa spesso sfiduciata, incerta sul da farsi, è nostro compito indicare la via per costruire un’unione più stretta tra i popoli europei, mettendo l’interesse comune al di sopra di quello individuale. E il nostro impegno quotidiano in Bce».
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