Atene brucia di nuovo, come era accaduto dopo l’omicidio a freddo del sedicenne Alexis Grigoropoulos il 6 dicembre 2008. Nel mese successivo, a mettere a ferro e fuoco le citta’, erano stati alcune decine migliaia di giovani e soprattutto giovanissimi, che hanno sfogato contro lo stato, I suoi apparati repressivi e i suoi simboli la propria rabbia e il proprio sdegno per l’assassinio immotivato di un proprio coetaneo. L’immagine dell’enorme abete addobbato in occasione del Natale dato alle fiamme dai manifestanti poco prima del 25 dicembre in piazza Syntagma ha fatto il giro del mondo. Stavolta pero’ a scendere in strada e a contestare il sistema politico nel suo complesso sono centinaia di migliaia di persone di tutte le eta’, di tutte le condizioni sociali, di tutti I credi politici. Tutti arrabbiati, delusi, stufi di subire una ingiustizia dopo l’altra. “Dicono che abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilita’, e che ora dobbiamo stringere la cinghia, ma io ho sempre campato del mio lavoro e non ho certo vissuto nel lusso!” chiarisce Elena, un’insegnante in pensione che presidia Piazza Syntagma fin dal primo giorno. E se anche avessero vissuto al di sopra delle proprie possibilita’ – e non e’ cosi’! – i greci hanno solo avuto l’ingenuita’ di credere nelle progressive sorti di un capitalismo finanziarizzato che si e’ rivelato ora una truffa, una speculazione andata male, un castello di carte. Esattamente come gli spagnoli, I portoghesi, gli irlandesi. E gli italiani. “I maiali sono i governi, non i popoli “ chiarisce uno striscione piazzato proprio all’edificio neoclassico sede del Parlamento. I greci sono arrabbiati, non c’e’ dubbio. E da tempo, ormai. Ieri sera alcuni neofiti della protesta, evidentemente frustrati da un piccolo difetto delle democrazie borghesi – la liberta’ di opinione e’ concessa a tutti, basta non tentare di farla valere! – ai poliziotti a guardia del palazzo gridavano di tutto, compreso “Domani ritorno col Kalashnikov!”. E poi giu’ parolecce e improper vari.
Si chiamano gli indignati greci, sull’onda del movimento nato qualche giorno prima a Madrid. Ma non tutti qui ad Atene si riconoscono nell’etichetta. “Non siamo indignati, siamo determinati” recita uno striscione appeso proprio in mezzo a Piazza Syntagma. Determinati a non farsi rubare il futuro e a difendere la propria dignita’ di popolo e di persone. Quella determinazione tipica di chi non era mai sceso in piazza prima, o non mai aveva scioperato, e che dal 23 maggio non manca un appuntamento, una protesta. “I primi giorni venivano dai noi e ci chiedevano: cosa dobbiamo fare? Diteci cosa dobbiamo fare!” mi racconta Nikos mentre a 10 metri parte l’ennesima battaglia tra incappucciati e reparti antisommossa. Nikos, militante di una delle organizzazioni della sinistra radicale, attivista dei forum sociali e ora animatore dell’assemblea permanente di Piazza Syntagma, mi spiega come dall’inizio di questa nuova mobilitazione permanente I toni e i linguaggi sono cambiati. “I primi giorni sentivi ‘kleftes, ladri’, mentre ora tutti gridano ‘Pane, cultura, liberta’, la Giunta non e’ caduta nel 1973’”. La Giunta di cui parlano e’ quella di Papandreu, l’Americano. Un appellativo pesante per un governo socialista, odiato quanto lo fu quello dei militari fascisti padroni della scena fino al ’74. Molti di quelli che protestano con piu’ veemenza, che si accalcano sulle transenne e che urlano insulti ai poliziotti sono ex elettori socialisti, in certi casi anche ex militanti di quel partito. Vicino al Pasok era sicuramente Andonis Stamatopoulos, presidente della Federazione dei lavoratori della Metropolitana di Atene, che raccoglie il 90% degli addetti e che nonostante le pressioni del governo ha deciso di non scioperare, per permettere alle persone di arrivare a Syntagma per unirsi all’assedio del Parlamento. “Le minacce dei dirigenti contro gli attivisti sindacali sono quotidiane, le intimidazioni contro chi sciopera pure. Non si respirava un clima cosi repressivo neanche durante gli anni della dittatura” ci racconta poco prima che un gruppo di fascisti cerchi di infiltrarsi nel corteo dei sindacati generando una reazione che dara’ l’occasione alla Polizia di iniziare le cariche. “E’ positivo che tante nuove forze si siano messe in movimento, ma avrebbero dovuto farlo almeno un anno prima, quando i lavoratori scioperavano da soli nella quasi indifferenza del resto della societa’” recrimina il leader sindacale. Per anni i greci si sono mobilitati a compartimenti stagni: prima studenti e professori contro I tagli all’istruzione, poi decine di migliaia di giovanissimi dopo l’assassinio del sedicenne Alexis Grigoropoulos, poi ancora i sindacati del pubblico e del privato man mano che le manovre lacrime e sangue del governo socialista investivano settori sempre piu’ di massa della societa’. Per la prima volta nel centro di Atene manifestano assieme lavoratori di tutti i settori, studenti e intellettuali, anziani e giovani, commercianti e precari. Tutti uniti in una Piazza che chiede ‘che se ne vadano tutti’ e che esprime una sfiducia totale verso l’intera classe politica incapace di indicare una via di uscita dalla crisi che non siano il dimezzamento degli stipendi o le privatizzazioni. In piazza le bandiere rosse sventolano accanto a quelle nazionali, a segnare un recupero in chiave progressista di una sovranita’ nazionale/popolare svenduta ai tecnocrati di Bruxelles o ai banchieri di Parigi e Francoforte. Per ora un’alternativa politica all’esistente non si vede. Nessun partito puo’ aspirare a diventare il punto di riferimento di masse scontente e arrabbiate, neanche quelli che con abnegazione e umilta’ si sono messi al servizio della piazza (qualcun altro tenta semplicemente di mettere il cappello o di fare qualche iscritto in piu’) . Ma su alcuni striscioni accanto alla scritta ‘Abbasso la Giunta’ campeggia un elicottero, mentre un enorme pallone aerostatico che volteggia su una piazza avvolta dai gas tossici israeliani sparati ad altezza d’uomo si puo’ leggere: “Il taxi dal Parlamento all’aeroporto costa solo 10 euro’. “Quello delle vostre bandiere e’ l’elicottero che decollo’ dal tetto dell’ambasciata USA in Vietnam per evacquare gli ultimi diplomatici e militari USA?” chiedo. “Forse – mi risponde Yiota – ma sicuramente e’ quello con cui il Presidente Fernando de la Rua scappo’ di fronte alla rabbia del popolo argentino”. Poco piu’ in la una nuvola di fumo acre avvolge I manifestanti, ma la gente non scappa. Arretrano di qualche passo e battono le mani, gridano ironicamente ‘ancora, ancora’. Il movimento sara’ pure non violento, ma a migliaia esultano quando le Molotov lanciate dagli incappucciati in tuta nera raggiungono i cordoni della Polizia. La parola d’ordine, da settimane, e’ non abbandonare la piazza, non permettere alle forze di sicurezza di sgomberarla. La giustificata indignazione di qualche settimana fa forse sta lasciando il posto a qualcosa di diverso, di piu’ costruttivo. “Pane, cultura, liberta’ – scandiscono a squarciagola attempate signore e ragazzini alla prima manifestazione con la faccia cosparsa di Maalox– Piazza Syntagma sara’ la vostra tomba”.
Fare la cronaca della giornata di oggi, che non e’ ancora finita, e’ difficile se non impossibile. Alle 8.30 i reparti antisommossa della Polizia hanno bastonato a sangue un gruppo di lavoratori che aveva bloccato una strada nei pressi della fermata della metropolitana di Evangelismos, proprio dietro al parlamento. Parecchi I feriti. Le immagini prontamente trasmesse dalla tv non hanno fermato l’afflusso di gente a Syntagma e nei dintorni. Un afflusso che intorno a mezzogiorno e’ diventato una vera e propria inondazione umana. Centianaia di migliaia hanno occupato la piazza e tutto il centro, tenendolo e resistendo alle violentissime cariche e ai ripetuti lanci indiscriminati di gas. Una giornata cosi’ non si vedeva da anni, mi dicono alcuni attivisti navigati. A Syntagma I manifestanti erigono anche barricate di fuoco. Non era mai successo prima d’ora. La polizia ha l’ordine di sgomberare la piazza e agisce con brutalita’. I fermata non si contano, e cosi’ I feriti e I ricoverati negli ospedali. Ieri, nella giornata piu’ tranquilla dei due di sciopero generale e di assedio al Parlamento, le persone medicate erano state 400, i feriti seri una ventina, gli arrestati e I fermata 15. Oggi il bilancio – lo sapremo solo a tarda note – sara’ sicuramente piu’ grave. Al contrario di ieri gli scontri iniziano davanti al Parlamento, quando centinaia di manifestanti (non le tute nere ) cercano di oltrepassare le transenne ed avvicinarsi al Palazzo, e poi si estendono nel raggio di chilometri per tutto il centro della citta’. Padri di famiglia rilanciano verso la polizia I lacrimogeni, ragazzi accendono fuochi agli angoli delle strade per alleviare l’effetto dei gas. Pare che il calore degrade alcune delle sostanze piu’ irritanti contenute nelle polveri sparate dalla Polizia. Gli scontri non si interrompono neanche per la ‘pausa pranzo’, come era successo ieri. Anzi si fanno piu’ violent e piu’ estesi proprio mentre nell’aula va in scena il teatrino del voto sul memorandum ‘concordato’ da Papandreou con i veri padroni del paese, quelli di Bruxelles. Un deputato socialista aveva annunciato che avrebbe votato contro, ma poi ci ripensa e ha la bella pensata di affacciarsi sulla piazza. Solo la sua scorta lo salva dalla rabbia dei manifestanti; un altro, noto perche’ cieco, vota contro e viene subito espulso dal Pasok. Una deputata della collaborazionista opposizione di destra, invece, vota a favore. E piange. Piange come gli ateniesi aggrediti dai lacrimogeni, o come I lavoratori e I pensionati spremuti come limoni… Il memorandum ottiene cosi’ il consenso di un Parlamento sempre piu’ lontano e subalterno agli interessi delle banche e delle grandi potenze europee. Anche una parlamentare del Partito Comunista, raggiunta al viso da un vasetto di Yogurt mentre tenta di entrare in Parlamento, in tv parla di ‘provocazione’ (!). Domani nuova seduta dei deputati per approvare la legge che traduce in provvedimenti concreti le ‘raccomandazioni’ di FMI, BCE e Commissione Europea.
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