La sfiducia di S & P arriva «puntuale», anche, se ieri l’Istat ha confermato che i conti pubblici italiani nel primo trimestre del 2011 sono migliorati: l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (comunemente definito deficit) in rapporto al Pil è sceso infatti al 7,7% dall’8,5% del 2010. Il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato , invece, negativo per 13.109 milioni di euro, in diminuzione di oltre 3 miliardi rispetto al primo trimestre 2010.
I dati trimestrali sull’indebitamento non hanno molto significato: sono dati grezzi (non tengono conto della stagionalità delle uscite e soprattutto delle entrate) ma forniscono indicazioni nel confronto con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente. In questa ottica emerge che il miglioramento dei conti deriva da una accelerazione delle entrate totali cresciute del 3,8% su base annua (soprattutto grazie al rialzo delle imposte in conto capitale) con una incidenza sul Pil salita al 40,6% rispetto al 40,2% del corrispondente trimestre del 2010. Le sole entrate correnti sono aumentate del 3,4%, grazie alle imposte dirette (+4,9%), alle indirette (+3,6%), ai contributi sociali (+1%) e alle altre entrate correnti (+6,2%). Le entrate in conto capitale hanno registrato una crescita tendenziale del 62,1% dovuta soprattutto ai versamenti una tantum relativi all’imposta sostitutiva delle imposte ipotecarie e catastali. Le uscite totali sono invece aumentate dell’1,9% (un tasso superiore a quello registrato nel corso dei vari trimestri del 2010) e la loro incidenza sul Pil si è ridotta di 0,4 punti percentuali al 48,3% contro 48,7% del primo trimestre del 2010.
Ma torniamo ai «dubbi» di Standard & Poor’s che aveva già tagliato il rating dell’Italia a maggio. Nel valutare l’efficacia della manovra di rientro approvata ieri sera dal Consiglio dei Ministri, S&P sottolinea che «molte delle misure annunciate potrebbero indirettamente favorire la competitività del sistema Italia», come ad esempio i tagli decisi per le pensioni d’oro del settore pubblico e la prevista razionalizzazione del complesso sistema di deduzioni fiscali in vigore nel Paese. E l’intenzione di anticipare di un anno, dal 2015 al 2014, l’agganciamento dell’età pensionabile alle speranze di vita, «ci convince ulteriormente che la spesa pensionistica futura legata all’andamento demografico per l’Italia sarà tra le più basse in Europa». S & P cita anche l’accordo raggiunto da Confindustria e i tre principali sindacati nazionali su contratti e rappresentanza, con la maggior enfasi attribuita alla decentralizzazione dei negoziati salariali, e sostienen che è «un passo importante a favore della flessibilità salariale».
Nondimeno, aggiunge l’agenzia, «alla luce del debole tasso di crescita italiano (-0,9% il Pil pro capite tra il 2005 e il 2011), riteniamo che saranno necessarie riforme micro e macroeconomiche ben più incisive per incentivare gli investimenti privati e adeguare i livelli salariali alla produttività». Senza misure di questa portata, l’Italia «non riuscirà a realizzare il suo potenziale economico». La ricchezza prodotta dal Paese, quindi, non sarà sufficiente «a dare il via a cali significativi nel rapporto fra debito e Pil», che ha toccato il 119% a fine 2010.
Per questo, S&P «conferma che esiste una possibilità, all’incirca di uno a tre, che i rating sul debito italiano possano essere abbassati nei prossimi 24 mesi, come testimoniato dall’outlook negativo sul rating». Sulla manovra in sé, ritiene che i piani di austerità siano credibili» Il governo tuttavia, «potrebbe essere troppo ottimista circa gli effetti della lotta all’evasione».
I TRUCCHI CONTABILI DI TREMONTI
La pesante eredità della manovra futura
Il testo della manovra economica e del disegno di legge delega sulla riforma fiscale sarà pronto per lunedì quando sarà consegnato al Senato dove andrà in prima lettura: i tecnici ci stanno lavorando sopra per cercare di far quadrare i conti dopo le innumerevoli «manomissioni». Finora non è disponibile neppure uno straccio di tabella che riassuma la cifra complessiva e i dettagli della manovra. Perché tanta fretta nel liquidare il provvedimento che poteva essere discusso in parlamento con calma a partire da settembre?
«La speculazione internazionale ci sta con il fiato sul collo – sostengono molti ministri a cominciare d Berlusconi – e era necessario varare una manovra per non fare la fine della Grecia». Vera la prima parte dell’affermazione, ma non è certamente questa manovra a ridare credibilità all’Italia. La conferma è arrivata ieri dalla minaccia di Standard and Poor’s di dare una ulteriore sforbiciata al rating italiano. E anche sui mercati non è che la manovra abbia impressionato più di tanto: lo dimostra l’aumento dello spread dei Btp rispetto ai Bund tedeschi in un giorno nel quale i mercati hanno preso atto che la Grecia sta cercando di salvarsi, anche «grazie» alle banche tedesche e francesi che hanno accettato di rinnovare i titoli del debito greco in scadenza, allungandone la durata a 30 anni. Il risultato di questa ripresa di fiducia ha prodotto un ridimesionamento dei differenziali di rendimento con i Bund, un po’ in tutti i paesi nell’occhio del ciclone, ma non in Italia.
La fretta nel licenziare la manovra trova il fondamento solo in motivazioni politiche: ottenere il via libera del parlamento entro i primi giorni di agosto. Per farlo Berlusconi e Tremonti hanno già annunciato che ricorreranno al voto di fiducia che sarà posto con maxi emendamenti che accoglieranno alcuni suggerimenti del lavoro parlamentare nelle commissioni. E dalla sua il governo avrà anche la smania dei parlamentari che vorranno «fuggire» da Roma per le vacanze estive. E dopo l’approvazione della manovra, il governo potrà impegnarsi in piena libertà nel togliere le castagne giudiziarie dal fuoco al premier con provvedimenti più o meno ad personam con l’alibi di aver già fatto tutto per stabilizzare l’economia.
In realtà c’è poco da stare tranquilli: la manovra varata giovedì avrà effetti a scoppio ritardato. Ne è consapevole anche Tremonti che nel «monologo» stampa di giovedì ha affermato che chiunque sia al governo dopo le elezioni del 2013 dovrà impegnarsi nel programma di austerità le cui linee sono state tracciate. Il ministro dell’economia ha messo le mani avanti e la manovra approvata lo dimostra: microscopici aggustamenti per il 2011 e il 2012 e stangate per il 2013 e il 2014 quando – si spera – il centro destra non sarà più al governo e i «sacrifici» dovrà vararli (non è la prima volta) il centro sinistra. Come quello dell’innalzamento a 65 anni dell’età di pensione delle donne che Tremonti ha spostato al 2032.
Il peggio è che in questa manovra non ci sono provvedimenti per lo sviluppo, come afferma saggiamente S&P. Secondo alcuni economisti era meglio spingere più a fondo sui tagli della spesa pubblica già da quest’anno, ma destinare i soldi in più agli investimenti e alla crescita. Ma le furbate politiche/elettorali di Tremonti e Berlusconi fanno a pngni con l’efficienza e l’equità. r. t
da “il manifesto” del 2 luglio 2011
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