Il governo dei twitter è scintillante di fesserie, quello dei provvedimenti è un travet incerto, dal passo lento e dalle idee confuse.
La chiusura dei battenti di Palazzo Chigi per le vacanze avviene dopo un frastuono di annunci che – se fossero provvedimenti concreti – definirebbero una rivoluzione. Reazionaria, certo, ma altrettanto terremotante.
Ma, come notano anche gli opinionisti confindustriali, “sotto il tweet, niente”…
Prendiamo il più presenzialista e tonitruante dei ministri, il fascioleghista Matteo Salvini. Se i titoli dei media valessero come atti amministrativi, andrebbe considerato un iper-attivista. E invece il confindustriale IlSole24Ore va a guardare e sentenzia che: “Anche sul tema immigrazione e sicurezza, nonostante l’attenzione giornaliera del ministro degli Interni Matteo Salvini e le relative polemiche, finora non è stato varato alcun provvedimento”.
Certo, ha cambiato la grammatica del discorso politico, sdoganando la feccia vomitevole fin qui tenuta sottotraccia; ma a rigor di atti, non ha fatto ancora nulla. Come per la strombazzata “chiusura dei porti”, per a quale non è stata emessa alcuna circolare…
A settembre, bene che vada, butterà sul tavolo la sua proposta (sempre in via di elaborazione perché esposta a fortissimi problemi di costituzionalità). Mentre più rapido potrebbe essere il percorso della riforma della “legittima difesa”, promessa elettorale molto popolare ma a costo zero, su cui fioccano le proposte di legge dell’intero controdestra, in una ignobile gara a chi la spara più grossa. A ben guardare, però, sono tutte imprintate dalla stessa logica, mirante ad eliminare un altro principio giuridico essenziale: quello della “proporzionalità” tra offesa e reazione. In pratica, se un ladro disarmato è già lontano dalla tua abitazione puoi sparargli tranquillamente alla schiena, senza timore di essere denunciato e processato.
Anche qui i ricorsi alla Consulta potrebbe essere numerosi e anche facilmente vincenti, perché a uno schiaffo è leggittimo rispondere con uno schiaffo, non con una raffica di mitra…
Ma è sul piano della prossima “legge di stabilità” che l’esecutivo grillin-leghista si sta esibendo in equilibrismi che ricordano le “convergenze parallele” morotee.
Abbiamo detto da subito che qui ci sono tre governi in uno: quello leghista (che deve dare soddisfazione alla piccola e media impresa del nord, spesso ormai conterzista delle filiere tedesche, e qualche frangia di lavoratori e pensionati cui è stata promessa l’abolizione della Fornero), quello grillino (che al contrario ha promesso molto a disoccupati, precari e “nuove professioni smart”), e infine i cerberi del rispetto degli impegni con l’Unione Europea (Tria, Moavero Milanesi, ecc).
Il risultato di questa tensione è visibile in una sequela di annunci subito smentiti. “Togliamo gli 80 euro di Renzi per finanziare la flat tax”, “non è vero!”; “tagliamo le pensioni sopra i 4.000 euro netti per aumentare le minime a 780 euro”, “non è vero!” (anche perché la Corte Costituzionale potrebbe bocciare tutto, visto che si andrebbe a varare una legge retroattiva, mettendo in discussione la credibilità stessa dello Stato); ecc.
Senza addentrarci in “indicrezioni” che durano il tempo di essere scritte, l’impressione è che stiano facendo le prove per una manovra “a costo zero” o quasi. Ovvero senza sforare (troppo) i parametri fissati per il 2019 dalla Commissione Europea.
Questo significa che ogni promessa da mantenere comportante spesa pubblica aggiuntiva (o minori entrate, come nel caso della flat tax) va coperta con tagli da qualche altra parte. Quindi è credibile che si pensi a togliere gli 80 euro renziani per finanziare qualsiasi altra cosa.
E allora “si fanno le prove”. Si lascia circolare una voce per testare le reazioni dell’elettorato; se sono troppo negative qualcuno provvede a smentirle. Poi si continua, per vedere cosa può passare relativamente inosservato.
E’ una tattica vecchia come il cucco, ma in questo caso rivela le difficoltà serissime per un governo nato sul sentimento “euroscettico” ma in parte incapace di emanciparsi davvero da quella gabbia, in parte messo immediatamente sotto tutela dalla stessa Ue (con lo stop a Savona e la nomina dei fedelissimi Tria e Moavero Milanesi, ex ministro delle relazioni europee nel governo Monti!). Un po’ come avvenuto per il “decreto dignità”, fin qui votato solo dalla Camera, che non tocca praticamente alcun aspetto strutturale del Jobs Act, anzi ripristina i voucher eliminati dal governo Gentiloni per impedire che si tenesse un referendum abrogativo.
La navicella dei tweett isterici va dunque in vacanza rinviando ogni scelta traumatica alla ripresa autunnale, nella speranza che i margini di manovra possano migliorare. Dall’andamento dell’economia globale, ed europea in particolare, non sembra una speranza fondata. Ergo, ne vedremo delle belle, perché diventerà fondamentale “distrarre il pubblico” con iniziative spettacolari ma poco costose.
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