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Da oppositori politici a “nemici”. Il segno di Genova 2001

Alessandra Fava
REPRESSIONE
Manifestanti o nemici dello stato? Avvocati a convegno

 

GENOVA
Il manifestante pacifico che diventa un criminale, spazi pubblici prima agibili ora vietati alle manifestazioni e la progressiva criminalizzazione delle proteste specie se di una presunta minoranza (dittatura della maggioranza è un termine di De Toqueville – 1835) sono fenomeni che subiamo, spesso inconsciamente, nel quotidiano. In Spagna come in Francia, in Italia come in Grecia, nei Paesi baschi o a Londra come in Svizzera, in questi dieci anni c’è stata un progressivo restringimento dei diritti democratici. Ci hanno ragionato su, decine di avvocati europei ieri in un partecipato dibattito internazionale, organizzato dall’Associazione europea dei giuristi per la democrazia e i diritti umani nel mondo (Eldh), il Legal team italiano e dagli Avvocati europei democratici (Aed), col comitato Genova2011, in occasione del decennale dal G8 genovese. Titolo: «Dieci anni di attacchi ai diritti fondamentali: il ruolo degli avvocati».
Tutti erano d’accordo che Genova 2001 è stata la palestra di questa repressione. «Già allora fu definita una zona rossa dove non si poteva manifestare – ha detto il legale italiano Ezio Menzione – così oggi sono stati vietati alle manifestazioni i luoghi vicino ai centri di conferimento dei rifiuti o alla centrali nucleari». Il diritto alla difesa, da Bolzaneto in poi, non è più un diritto acquisito dal fermato. Lo hanno confermato avvocati francesi, spagnoli e inglesi su situazioni locali meno conosciute. «A Genova c’è stata la prova di una guerra globale permanente», dice Jaume Asens dell’associazione catalana per la difesa dei diritti umani che racconta che anche a Barcellona hanno messo in piedi un Legal team «per difendere manifestanti tramutati in contestatori, violenti, soggetti antisociali, pur di negare la violenza del sistema che colpisce milioni di lavoratori».
Ma gli aspetti preoccupanti della limitazione dei diritti dettata dal neoliberismo tocca anche il mondo del lavoro con l’erosione del diritto allo sciopero, contrattazioni sempre meno collettive e il diritto all’asilo per i profughi, «questi tre aspetti sono segnali della nascita di uno stato d’emergenza, lo stesso decretato alla nascita del nazismo in Germania», ha detto il segretario generale di Eldh, il tedesco Thomas Schmidt. Per non parlare della libertà di circolazione nella Ue, del restringimento della possibilità di immigrazione e infine della privacy. «Bisogna monitorare i diritti strumentali, come la libertà di pensiero, di coscienza, di riunione/associazione/stampa e il diritto a protestare in luoghi pubblici anche se dobbiamo convincerci che il problema è la loro difesa quotidiana – dice la docente universitaria di procedura penale europea e sovrannazionale e diritto penitenziario alla Bicocca di Milano, Silvia Buzzelli – C’è un attacco costante ai diritti elementari alla privacy, mascherati con termini tecnici come body scanner, sistema satellitare ed etichette Rfid (etichette di identificazione a radio frequenza, ndr) grazie ai quali si arriva a un schedatura elettronica di massa». In pratica grazie a quello che viene chiamato “biocapitalismo” un mega-cervello globale scheda tutti e introduce sofisticati marchingegni nel nostro armadio (si è tentato di infilare le Rfid nei vestiti) per monitorare persino le nostre emozioni.
L’invito è scrollarci di dosso tutto questo: «Dobbiamo uscire da questa società carceraria che criminalizza l’indigenza», è il consiglio di Jean Jacques Gandini del sindacato degli avvocati francesi. «I diritti non ci cadono dal cielo, vanno costruiti con pazienza giorno per giorno», dice lo spagnolo Asens.

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