da “il manifesto”
La Stalingrado di Filippo Penati
Luca Fazio
MILANO
F ilippo Penati continua a fare passi indietro e presto sparirà dalla scena. Ieri si è autosospeso dalle cariche che ricopre nel Pd (è il braccio destro di Bersani) e si è dimesso dalla presidenza del consiglio regionale del la Lombardia, «perché la mia vicenda non crei ulteriori problemi al partito».
Più che un problema, l’inchiesta di Monza sulle presunte tangenti intasca te per agevolare la speculazione sull’ex area Falck rischia di terremotare il Pd dalle fondamenta. Il fatto è che la terra, a Sesto San Giovanni, ha cominciato a tremare già da tempo, ed è difficile che nessuno se ne sia accorto, dentro e fuori dal partito che continua a considerarsi «diverso». Giuseppe Valeriano non è un inquirente e non ha beccato nessuno con le mani nella marmellata. Però è stato assessore all’ambiente di Sesto San Giovanni dal giugno 2007 all’ottobre 2008: si è dimesso perché non condivideva il Piano di governo del territorio (Pgt) che riguarda fondamentalmente le aree ex Falck. Oggi è nell’esecutivo sestese di Sel, una voce fuori dal coro, perché sembra proprio che a Sesto nessuno a sinistra abbia il coraggio di rivedere il piano di investimenti previsto su quel 1 milione 300 mila metri quadri che da 16 anni aspetta una colata di cemento.
Valeriano, lo sapevano tutti?
Chi negli anni ha seguito la vita amministrativa di Sesto adesso non può far finta che questa inchiesta sia arriva ta come un fulmine a ciel sereno. Ci sono imprenditori che si sono arricchiti
improvvisamente diventando protagonisti economici della città, questo è strano ed è sotto gli occhi di tutti.
Sono quelli che accusano Penati?
Piero Di Caterina sì, per esempio, è lui il personaggio da cui è partita l’indagine. Era un piccolo imprenditore di trasporto privato e quando Penati era sindaco è diventato il gestore del trasporto pubblico di Sesto San Giovanni. Adesso non lo è più perché ha perso l’appalto ed è in causa con l’Atm: a suo dire deve riscuotere diversi milioni di euro in base al servizio che ha svolto. Ma non è il solo imprenditore che ha approfittato di quello che alcuni chiamano il «sistema Sesto».
Il sistema Penati?
Non entro nel merito delle accuse che gli rivolgono, però tutti sanno che nel suo partito Penati era o amato o odiato, non c’erano mezze misure. Molti, compreso l’attuale sindaco Oldrini, hanno avversato il suo modo molto autoreferenziale di fare politica e di trattare. Diciamo che negli anni a
Sesto la situazione non era delle più limpide e poteva alimentare sospetti.
Lei si è dimesso nel 2008, dopo la fine della giunta Penati. Perché?
Ero e sono contrario al Pgt perché ricalca il progetto presentato dall’imprenditore Zunino che era padrone dell’area prima di fallire. Si tratta di un progetto fortemente sbilanciato sulla speculazione. Sono previsti 6.000 appartamenti di cui 500 ad edilizia popolare, 1.500 ad edilizia convenzionata e
4.000 a libero mercato, con un’ipotesi di vendita del 30% in più rispetto al prezzo di mercato. A chi li vendono? Poi è previsto un centro commerciale da 50 mila metri quadrati, in un territorio circondato da centri commerciali.
E la giunta di Oldrini, sostenuta anche da Sel, lo ha votato così com’è?
Oldrini vuole passare alla storia come il sindaco che riqualificherà l’area Falck, ma si tratta di un progetto che interessa solo la proprietà e non la città. I veri proprietari dell’area sono le banche (Banca Intesa, Unicredit, Bmp), mentre la Nuova Sesto Immobiliare è la società che realizzerà i lavori è di un imprenditore che si chiama Bizzi, uno che ha la residenza a Tallin (le Coop invece possiedono il 10% di questa società). Sel non ha la forza e la spregiudicatezza di opporsi al progetto, il partito si sente sotto ricatto: o vota per la riconversione così com’è o esce dalla giunta. Nel 2008 ero nei Verdi, abbiamo votato contro e ci hanno sbattuto fuori dalla maggioranza.
Non ci ripensano neanche oggi con l’aria che tira?
Quel progetto lo devono approvare per forza, hanno già fissato i consigli comunali per settembre. Ma è pericoloso votare un progetto su cui c’è il rischio che scatti un’indagine. Inoltre, non dimentichiamoci che si dà ormai per scontato che il sindaco Oldrini verrà raggiunto da un avviso di garanzia.
Allora perché lo fanno?
Perché se anche questo tentativo di riconversione dovesse fallire, il centrosinistra teme di perdere le elezioni. Si vota a primavera e credo che in ogni caso la destra non starà con le mani in mano. Il punto è che qui a Sesto troppo spesso la buona amministrazione viene messa in secondo piano rispetto alla perpetuazione del potere del Pd.
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Bersani: «Pd turbato, ora occhi aperti»
Il segretario al Corriere: «Non siamo immuni da rischi». «Una legge sul bilancio dei partiti»
Caro Direttore,
ci si chiede se i recenti fatti giudiziari mettano in discussione qualcosa della natura del Partito democratico. Voglio rispondere con chiarezza. Noi non rivendichiamo una diversità genetica. Noi vogliamo dimostrare una diversità politica.
In primo luogo, a proposito dell’inchiesta di Monza così come in ogni altra occasione, noi diciamo: la magistratura faccia serenamente e fino in fondo il suo mestiere. Abbiamo fiducia nella magistratura. Confidiamo che Penati possa vedere presto riconosciuta l’innocenza che rivendica con forza. Intanto, Penati ha fatto con correttezza e responsabilità un passo indietro. Questo è infatti il nostro secondo criterio: in caso di inchieste le istituzioni e il partito, in attesa che le cose si chiariscano, non devono essere messi in imbarazzo e devono poter agire in piena serenità.
I nostri principi sono dunque: fiducia nella magistratura, rispetto assoluto delle istituzioni, presunzione di innocenza secondo il principio costituzionale. Teniamo altresì fermo il principio secondo il quale, verificata l’assenza di «fumus persecutionis» un parlamentare è un cittadino come gli altri. Se le leggi vanno cambiate, si cambiano. Finché ci sono esse valgono per tutti, per un immigrato come per un deputato o un senatore. Così ci siamo comportati sia nel caso Papa sia in quello Tedesco, per il quale abbiamo indicato l’opportunità di un passo indietro.
Chiediamo una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici, pena l’inammissibilità a provvidenze pubbliche o alla presentazione di liste elettorali. A differenza di altri, noi abbiamo già fatto molto per predisporci autonomamente a quella prospettiva. Abbiamo in vigore un codice etico più restrittivo rispetto alle garanzie del percorso giudiziario. Abbiamo recentemente approvato un codice da sottoscrivere da parte dei nostri amministratori per garantire trasparenza dei loro redditi e nelle procedure di appalto e di gestione del personale. Abbiamo applicato per i candidati alle recenti elezioni il codice suggerito dalla commissione Antimafia. Unico fra tutti i partiti italiani, fin dalla sua nascita il Partito democratico sottopone il proprio bilancio ad una primaria società indipendente di certificazione.
Il Partito democratico (e non solo perché nella vicenda principale non esisteva ancora!) è totalmente estraneo ai fatti oggetto di indagine a Monza e altrove. Ci tuteliamo e ci tuteleremo in sede legale contro chiunque affermi o insinui il contrario. Infine, abbiamo predisposto nel nostro programma un elenco di norme da cancellare e di riforme da fare per dare limpidezza alla gestione pubblica, per evitare gli eccessi di intermediazione amministrativa, per abolire procedure speciali e opache oggi in vigore per la gestione della spesa pubblica. Bisogna approvare la legge anti corruzione, da troppo tempo insabbiata dal governo in Parlamento. Tutto questo, appunto, per togliere l’acqua in cui la corruzione può nuotare.
A prescindere dalle loro conclusioni, non neghiamo dunque il turbamento che ci viene dalle indagini in corso. Sappiamo, anche per il futuro, di non poter essere immuni da sospetti più o meno fondati e da rischi. Sappiamo che anche noi dobbiamo aprire quattro occhi e fare tutto quanto ci è possibile per migliorare procedure di garanzia ed evitare che venga oscurata la nostra missione. I principi ispiratori all’origine del Pd sollecitano comportamenti civici esigenti, sobrietà e rigore nell’azione di governo e sensibilità verso il problema e i rischi della corruzione. La sfida quotidiana della buona amministrazione sta nell’applicare canoni severi anzitutto verso se stessi e i propri amici. Questo è ciò che pensiamo.
Sia altrettanto chiaro tuttavia che tuteleremo con ogni energia e in ogni direzione il buon nome del Partito democratico. Lo dobbiamo innanzitutto ai grandi valori ai quali ci riferiamo, che ci sono stati consegnati dal sacrificio di tanti e che ci impegniamo a non tradire. Lo dobbiamo alle centinaia di migliaia di donne e uomini che ci sostengono con onestà e convinzione, come si può vedere fisicamente in questi stessi giorni nelle feste che organizziamo ovunque; donne e uomini fortunatamente sensibilissimi ai temi del civismo e dell’etica pubblica. Lo dobbiamo in particolare al nostro Paese che ha bisogno per la sua riscossa di una forza politica responsabile, aperta e pulita. È per questo che niente potrà scoraggiarci e nessuno potrà intimorirci.
Al di fuori di una politica che sappia migliorarsi e farsi rispettare, c’è forse un’altra strada per l’Italia? Vogliamo forse continuare sulla strada di soluzioni eccezionali e sconosciute alle altre democrazie del mondo? Vogliamo affidarci ad ulteriori scorciatoie dopo quello che abbiamo visto in questi anni? Sarebbe disastroso. Tocca a noi evitarlo, certamente. Ma non solo a noi. Non c’è bisogno di negare i problemi della politica, in ciascuno dei suoi lati. C’è solo bisogno di non spargere sale sul buono che già vive o che sta nascendo. C’è bisogno che nessuno si senta esentato dal compito di contribuire, in ogni campo, in ogni situazione, alla riscossa civica del Paese.
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da IlSole24Ore
Filippo Penati si dimette da vicepresidente del consiglio regionale lombardo
Filippo Penati si è dimesso dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia con una lettera inviata al presidente dell’assemblea lombarda, Davide Boni. «Caro Presidente – ha scritto nella lettera – ti comunico la mia decisione di rassegnare le dimissioni dalla carica di Vicepresidente del Consiglio regionale, come peraltro annunciato anche alla stampa». L’ex presidente della provincia di Milano e sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati del Pd è indagato per concussione e corruzione dalla procura della repubblica di Monza che ha aperto un fascicolo per presunti illeciti riguardo la gestione dell’ex area Falck di Sesto San Giovanni. Le dimissioni dall’incarico di presidente del consiglio regionale seguono la decisione di autosospendersi presa la scorsa settimana.
Filippo Penati nella lettera inviata al presidente del consiglio regionale ha ribadito la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati dalla Procura di Monza che lo ha indagato per corruzione, concussione e illecito finanziamento dei partiti per le presunte tangenti per le aree Fack di Sesto san Giovanni.
«Caro Presidente, – inizia la lettera – ti comunico la mia decisione di rassegnare le dimissioni dalla carica di Vicepresidente del Consiglio regionale, come peraltro annunciato anche alla stampa. Devo ribadire anche a te la mia totale estraneità ai fatti che mi vengono addebitati. Sono certo che riuscirò a chiarire positivamente la mia posizione e confido di poterlo fare nel più breve tempo possibile, sorretto dalla coscienza di non aver commesso nulla di illegale».
«Ora – aggiunge – il mio primo obiettivo è quello di recuperare il mio onore e di dare serenità alla mia famiglia. Visto il clamore e l’eccezionale esposizione mediatica, penso siano imprevedibili tempi brevi per la chiarificazione dell’intera vicenda e pertanto ritengo opportuno garantire la piena funzionalità dell’Ufficio di Presidenza da cui mi sono autosospeso immediatamente dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia, rassegnando quindi le mie dimissioni dall’Ufficio di Presidenza. Avendo apprezzato te e gli altri colleghi della Presidenza durante il lavoro comune, con rinnovata stima».
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da Repubblica
Di Caterina, nuove accuse a Penati. “Davo 20-30 milioni di lire al mese”
di EMILIO RANDACIOUn “sistema Sesto”, ma non solo a Sesto. Variazioni al Piano regolatore nel Comune alle porte di Milano, eseguite dopo accordi che partono da lontano, dalla fine degli anni Novanta, che coinvolgono la gestione dell’ex sindaco Filippo Penati, più politici dell’attuale Pd, e finiscono ad alcune mosse strategiche della gestione della Provincia di Milano, che ha avuto per cinque anni proprio Penati presidente. In mezzo, finanziamenti non dichiarati agli esponenti locali del Pd, «fino a 30 milioni di lire ogni mese», come accusa l’imprenditore Piero Di Caterina.
Sono venti, in tutto, le persone finite sul registro degli indagati della procura di Monza. Tra queste, il nome di due è legato a doppio filo alla contestatissima scalata che la Provincia di Milano targata Penati effettuò nel 2005 per rilevare il 15 per cento della società Milano-Serravalle. Operazione costosissima (235 milioni di euro), ma soprattutto criticata all’epoca anche per il discusso proprietario di quel pacchetto, Marcellino Gavio. Ora, su quell’operazione la procura di Monza getta pesanti ombre. Sul registro degli indagati, infatti, sono finiti Antonino Princiotta (l’accusa è corruzione), segretario generale di Palazzo Isimbardi in quel periodo, e Bruno Binasco (come riportato dal Corriere della Sera), manager per una vita proprio delle aziende di Gavio.
I contorni e le presunte responsabilità ruoterebbero dietro a passaggi di denaro estero su estero, ricostruiti attraverso una email, da uno dei “pentiti” di questa inchiesta, Di Caterina. Il proprietario della società di trasporti sestese, la Caronte srl, ai magistrati Walter Mapelli e Franca Macchia, avrebbe addirittura raccontato di aver versato all’ex «amico di infanzia» Filippo Penati, fra i 20 e i 30 milioni di lire al mese a partire dal 1995. Passaggi di denaro su cui gli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Milano stanno effettuando da mesi le indispensabili verifiche. Un finanziamento non registrato, secondo il racconto di Di Caterina, necessario per ottenere un occhio di riguardo dal sindaco e dalla sua giunta, per appalti futuri.
«Contro di me — ha però insistito Penati — solo accuse da un indagato che tenta così di coprire i suoi guai con la giustizia. Continuano le ricostruzioni parziali, contraddittorie e unilaterali indotte da altre persone coinvolte nella stessa vicenda giudiziaria e aggravate talvolta anche da una esposizione falsa nei fatti e nelle date di quanto avvenuto». Penati, che si è autosospeso da vicepresidente regionale (carica da cui potrebbe nelle prossime ore dimettersi), ricorda anche come Di Caterina «sia sotto inchiesta per false fatture. Così come nei giorni scorsi anche ora ribadisco la mia totale estraneità anche a questi fatti. Considero queste ricostruzioni lesive della verità».
L’inchiesta crea imbarazzo al vertice del Pd. Senza mai citare la questione di Sesto San Giovanni, il vicesegretario del partito Enrico Letta al Tg3 ha ricordato come «il Pd deve dimostrare di essere diverso dagli altri, che per noi la questione morale, la questione delle regole, l’etica, sono una questione essenziale. Così dobbiamo fare e così stiamo cercando di fare». Per l’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, invece, «la “diversità” va conquistata». Affermando, comunque, che «per come conosco Penati, mi sembra lontano mille miglia da un possibile giro di tangenti».
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Grossi e Zunino, fatture falsi e tangenti. anche loro indagati nell’inchiesta Penati
di EMILIO RANDACIO
È uno schema che sembra ripetersi. Una delle società del “re delle bonifiche” milanesi, Giuseppe Grossi, attraverso operazioni bancarie all’estero «retrocedeva provviste», gonfiando fatture, a favore dell’immobiliarista Luigi Zunino. Poi, la compensazione avveniva sui conti esteri di entrambi. Così, secondo l’accusa, sarebbe avvenuto nella gestione della discarica dell’area milanese Santa Giulia, e la stessa triangolazione sarebbe stata messa in pratica, tempo prima, per Sesto San Giovanni, per il terreno ex Falck, a lungo di proprietà proprio di Zunino e delle sue aziende. Ecco perché sia l’ex principe del mattone (il suo impero a causa dei debiti si è drasticamente ridimensionato), sia l’ex re delle bonifiche Grossi (finito in carcere e attualmente sotto processo proprio per la gestione della bonifica Santa Giulia), risultano indagati dalla procura di Monza nell’indagine che ha per protagonista principale l’autosospeso vicepresidente del Consiglio regionale lombardo Filippo Penati.Stando a quanto è stato accertato dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia, Grossi avrebbe «prestato» a Zunino società a lui riconducibili. Da qui l’accusa di false fatture. L’immobiliarista, dal canto suo, avrebbe attinto da queste riserve occulte per versare tangenti ai politici di Sesto San Giovanni, per le modifiche del piano regolatore necessarie al recupero dell’area Falck. Da qui l’accusa di corruzione per Zunino. Una ricostruzione che i pm avrebbero accertato anche grazie agli esiti di rogatorie internazionali, i cui esiti sarebbero arrivati poche settimane orsono.
Penati, il principale protagonista dell’inchiesta, con una nota passa al contrattacco, intanto, bollando come «ricostruzioni parziali, infondate e contraddittorie», le dichiarazioni che sono state rilasciate in questi giorni dai suoi principali accusatori, gli imprenditori sestesi Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini. «Pare sempre più evidente — dice Penati — la contraddizione tra i due imprenditori sestesi: prima uno dice di aver dato all’altro, in Lussemburgo, 2 miliardi e mezzo di lire, poi l’altro che, in interviste, prende le distanze dal primo e pare smentire l’eventualità liquidandola come “gossip”. Questo tipo di comunicazione è gravemente lesivo della verità e della mia immagine personale e politica».
L’esponente del Pd commenta anche con amarezza il caso giudiziario che lo coinvolge: «Mi pare totalmente contraddittorio e incivile affermare da un lato il principio di non colpevolezza dell’indagato e dall’altro ricostruire in modo parziale e unilaterale fatti ed episodi che solo le regole di indagine giudiziarie sono probabilmente in grado di effettuare». Il leader regionale del Pd garantisce di essere estraneo a questa vicenda. «Per questo — conclude — chiedo a tutti di aver fiducia e rispetto nel lavoro della magistratura. «Ribadisco la mia totale estraneità ai fatti che mi si addebitano. Confido di poterlo dimostrare nel più breve tempo possibile».
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Area Falck, sulle ceneri dell’acciaieria sorgerà il più grande cantiere d’Europa
Una storia di oltre un secolo, che racchiude in sé una parabola discendente che va dagli anni d’oro delle acciaierie Falck fino all’inchiesta per tangenti aperta dalla Procura di Monza. E’ quella dell’area di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, che una volta rappresentava il fiore all’occhiello dell’industria lombarda e adesso è al centro della cronaca giudiziaria. Il vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati, è indagato insieme con altre persone per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Illeciti che sarebbero avvenuti tra il 2001 e il 2002, ovvero quando il sito immobiliare era nelle mani della famiglia Pasini.
L’area al centro dell’inchiesta
La nascita delle acciaierie. Nel 1906 sorgono le acciaierie Falck a Sesto San Giovanni. Nel 1964 gli stabilimenti raggiungono il massimo splendore al punto che danno posto di lavoro a oltre 16 miladipendenti.
La crisi siderurgica. Alla fine degli anni ‘Ottanta, però, inizia una lunga stagione di crisi del mercato, causata soprattutto dalla forte concorrenza dei poli siderurgici extracomunitari. Nel 1996 tutti gli impianti Falck di Sesto vengono smantellati.
La vendita dell’area ai Pasini. Nel 2000 Giuseppe e Luca Pasini (presidente, quest’ultimo, della Pro Sesto) acquistano dalla famiglia Falck 1,3 milioni di metri quadrati di superficie per 400 miliardi di vecchie lire. L’obiettivo è trasformare il ‘vecchio dinosauro’ in un quartiere di uffici per quella che allora era Banca Intesa (oggi Intesa SanPaolo), con un progetto di recupero firmato Mario Botta. Poi la banca cambia idea, però, e i Pasini invertono rotta: quartiere residenziale, case, volumetrie importanti. Un progetto che tuttavia si scontra con il piano regolatore di Sesto, accendendo un braccio di ferro durato due anni. E così, alla fine, non decolla nulla.
L’era Zunino. Nel 2005 l’immobiliarista Luigi Zunino acquista l’area per 88 milioni di euro da Pasini. L’imprenditore di Nizza Monferrato, patron del gruppo Risanamento, si affida a Renzo Piano per rilanciare l’area. Travolto da una montagna di debiti per quasi 3 miliardi di euro e col rischio crack alle porte, però, deve mollare la presa e farsi da parte.
La rinascita con Bizzi. Lo scorso ottobre (2010), Risanamento, ormai di proprietà delle banche creditrici di Zunino, vende per 405 milioni di euro l’intera area alla cordata immobiliare capitanata da Davide Bizzi, denominata Sesto Immobiliare. Il progetto, ambizioso, decollerà entro fine 2012. Nel piano la creazione del più grande progetto europeo di riqualificazione urbana di ex aree industriali che punta a ridisegnare l’intero territorio di Sesto. Il cantiere comporterà nuova occupazione per circa 3.000 lavoratori per un periodo di dieci anni. Una volta completata la riqualificazione, sull’intera area dovrebbero trovare lavoro più di 3.500 addetti.
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