Il contrattacco della Finanza
“Da sette anni Tremonti non dorme da noi”
Nel 2004 il ministro dormiva nella foresteria della caserma di via Sicilia a Roma. La rottura nel dicembre del 2010 avviene su Milanese
di CARLO BONINI
ROMA – Sostiene il ministro dell’Economia Giulio Tremonti di essere stato “pedinato” e “spiato” nel suo lavoro. E, a un certo punto, di non essersi più sentito tranquillo nemmeno durante i suoi lunghi anni da ospite di una caserma della Guardia di Finanza. La situazione era così pesante, denuncia il ministro, che l’ultima cosa che aveva voglia di fare “era di tornare a dormire in una caserma”. E per questo di aver accettato nel febbraio del 2009, l’offerta dell’onorevole Milanese per l’appartamento di via di Campo Marzio. Adesso la Finanza contrattacca e dà la sua versione. Secondo fonti del Corpo, il ministro Tremonti non avrebbe più dormito in un letto di una caserma delle Fiamme gialle dal giugno-luglio del 2004. Sette anni fa. La Guardia di Finanza che doveva proteggere la sua sicurezza e la sua privacy ha violato l’una e l’altra? E quando? In che circostanza?
Il ministro non dorme in caserma da sette anni. Per quanto la Guardia di Finanza è in grado di documentare, “l’ultima volta che Giulio Tremonti fu ospite con cadenza regolare di una struttura del Corpo fu quando, nei primi mesi dell’estate del 2004, alloggiava in una delle foresterie al secondo piano della caserma di via Sicilia”. Nemmeno un chilometro in linea d’aria dagli uffici del ministero, in via XX Settembre. Da allora, la sua scorta di finanzieri, nei giorni in cui il ministro si tratteneva a Roma, lo accompagnava altrove. Alberghi, o residenze private. “Naturalmente – spiega una fonte qualificata del Corpo – tenendone traccia, come è normale e come la legge prevede per qualunque personalità sia sottoposta a un massimo livello di vigilanza come un ministro”. Dunque, se si sta a quanto la Finanza sostiene di poter documentare, Tremonti, nel febbraio del 2009, quando accetta la proposta di Milanese, si è già liberato da molto tempo degli occhi e delle orecchie da caserma. E la scelta di un appartamento privato, sembra dunque legata al desiderio di una privacy assoluta che, evidentemente, neppure un albergo può garantire.
I due verbali ai pm Napoletani. Il 16 dicembre del 2010, Giulio Tremonti rende un primo interrogatorio alla magistratura napoletana. Due giorni prima, “Repubblica” ha dato conto che il suo consigliere politico Marco Milanese è indagato. Tremonti dunque è conscio di quanto sta accadendo e avrebbe l’occasione per riferire il sospetto sulla Guardia di Finanza che lo tormenta. Ma non ne fa cenno. Neppure indirettamente. La chiacchierata è sbrigativa. Gira intorno ad orologi di pregio che Milanese avrebbe acquistato a scrocco per farne dono al ministro. Passano sei mesi. Il 17 giugno, Tremonti siede nuovamente di fronte ai pm napoletani Woodcock e Curcio. Appena quattro giorni prima, il 13 giugno, Marco Milanese, nel suo ultimo interrogatorio, nel raccontare la guerra per bande che avvelena lo Stato Maggiore della Finanza, ha genericamente riferito che “il ministro aveva la percezione di essere seguito”. Ma anche stavolta, Tremonti di pedinamenti e caserme non parla. Soltanto quando viene sollecitato con l’ascolto di un’intercettazione telefonica tra il capo di stato maggiore Michele Adinolfi e il presidente del Consiglio, decide di aprire uno squarcio su quanto accade negli uffici dello Stato Maggiore in viale XXI aprile. “Gli ufficiali, nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo, che non trovo opportune. C’è il rischio di competizione. (…) Ho suggerito al Comandante Generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli ho detto: “Meno salotti, meno palazzi, più caserma”. I pm insistono. E Tremonti, allora, evoca l’esistenza di “cordate” nel corpo. E una, almeno, decide di “battezzarla” con il nome del suo capobastone, il generale Michele Adinolfi, intimo di Gianni Letta e del presidente del Consiglio. Nessun accenno a pedinamenti, a spionaggio ai suoi danni. Anzi, a Woodcock e Curcio, il ministro decide di offrire un’interpretazione morbida di quanto ha appena detto. “Ribadisco che non ho mai detto a Berlusconi che lui mi voleva far fuori attraverso la Guardia di Finanza”.
Il grande gelo con il generale Di Paolo. 16 dicembre 2010, 17 giugno e 28 luglio 2011. I ricordi di Tremonti si “drammatizzano” in assoluta coincidenza temporale con l’aggravarsi della posizione processuale e politica di Marco Milanese, con l’impossibilità di togliersi d’impaccio dalla vicenda di via di Campo Marzio con una scrollata di spalle, o rapide scuse. Soprattutto, dai ricordi del ministro viene cancellata una circostanza di cui, in queste ore, si raccoglie conferma da fonti qualificate del Comando Generale. La “rottura” tra il ministro e lo Stato maggiore della Guardia di Finanza ha una data: dicembre 2010. Un mese cruciale, perché è quello che precipita Milanese nell’abisso dell’inchiesta per corruzione del pm Vincenzo Piscitelli. Raccontano oggi della “furia di Tremonti in quei giorni”. Dei modi bruschi che riservò al comandante generale Nino Di Paolo, nella certezza che quell’indagine fosse figlia della macchinazione di Michele Adinolfi, allora capo di Stato Maggiore.
La rottura della pace tra le due cordate. La “pace” tra le cordate di viale XXI Aprile si rompe allora, nel dicembre del 2010. Anche perché, come il ministro riferirà solo il 17 giugno di quest’anno ai pm, le cordate, appunto, sono due. E quella che lui non ha nominato a verbale fa capo proprio a Marco Milanese, nella persona del generale di corpo d’armata Emilio Spaziante, creatura di Nicolò Pollari, suo facente funzioni, già fedele alleato di Speciale nell’agguato a Padoa-Schioppa e Visco, nel loro breve intervallo all’Economia. Come Adinolfi, Spaziante lavora per diventare comandante generale della Guardia di Finanza nel giugno del 2012. E come Adinolfi, con il suo accordo e la benedizione di Milanese, ha convenuto nel giugno del 2010 che il primo Comandante generale proveniente dai ranghi del Corpo debba essere Di Paolo, perché “ufficiale più anziano” e più prossimo alla pensione. I guai di Milanese costringono i due generali a prendere le armi l’uno contro l’altro. E Spaziante, a verbale con i pm napoletani, carica Adinolfi anche di una seconda accusa per fuga di notizie. Quella sugli accertamenti fiscali a Mediolanum.
La guerra non è finita allora. Non finirà domani. Ma agli occhi degli Stati Maggiori, da oggi, il ministro Tremonti, a dispetto della telefonata fatta ieri al generale Di Paolo, non ne è più uno spettatore. Ma un protagonista.
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Le carte – Il ministro lasciò la foresteria della caserma già nel 2004
«Complotto» e conti della casa
Il titolare del Tesoro sarà risentito
I pm vogliono chiarimenti sulla presunta opera di «spionaggio». Milanese: mi disse che veniva spiato
ROMA – Per due volte il ministro Giulio Tremonti è stato interrogato dai magistrati di Napoli, ma non ha mai raccontato di essere stato seguito o controllato. Né risulta che abbia mai presentato una denuncia su quello che ha invece rivelato ieri per giustificare la sua scelta di trasferirsi, due anni fa, nell’appartamento affittato dal suo consigliere politico, il parlamentare Pdl Marco Milanese: «Prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l’offerta di Milanese». E dunque dovrà essere nuovamente ascoltato, soprattutto per chiarire diverse circostanze che al momento non trovano riscontro. Una su tutte: secondo quanto filtra dal comando generale della Guardia di finanza, il ministro ha lasciato l’alloggio in caserma – la foresteria di via Sicilia a Roma – nel luglio del 2004. Vale a dire, quasi cinque anni prima del trasloco dal suo collaboratore.
Milanese e il «piano»
Nell’indagine su Milanese – accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazioni di segreto – il filone legato al ruolo del titolare dell’Economia torna dunque in primo piano. Anche perché rimangono discordanti le versioni su chi abbia effettivamente pagato il canone di quella casa, e questo ha già portato a una nuova contestazione di corruzione per lo stesso Milanese in concorso con Angelo Proietti (il costruttore che la ristrutturò e in cambio avrebbe ottenuto appalti dalla Sogei) e con l’ex presidente della Società generale informatica Sandro Trevisanato. Bisogna dunque tornare al 16 dicembre scorso, quando Tremonti viene convocato per la prima volta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli. Risponde a tre domande sul ruolo di Milanese, ma nulla dice su possibili minacce o pressioni.
Ne avevano invece riferito i giornali agli inizi di giugno e il 13 dello stesso mese, davanti ai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio che chiedono chiarimenti, Milanese afferma: «Ho visto il ministro Tremonti qualche giorno fa e mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi perché aveva saputo che lui, il ministro, era seguito o comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il “metodo Boffo” anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. E che quindi si utilizzi i miei problemi giudiziari per contrastare l’ ascesa politica del ministro Tremonti. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando “cose” per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi come partecipanti al piano ordito nei suoi confronti».
I conti per la casa
Quanto basta perché i magistrati decidano di ascoltare la versione del diretto interessato, convocato alla Procura di Napoli quattro giorni dopo. Tremonti racconta la sua lite con Berlusconi, conferma di avergli «manifestato refrattarietà a campagne di stampa tipo quella “Boffo”» spiega che «quando dissi a Berlusconi “chiedi conferma ad Adinolfi” si trattava di uno sfogo non avendo io gli elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico». Ma non cita alcun episodio specifico che lo riguardi. A che cosa si riferisce dunque adesso, quando parla di caserme, pedinamenti e spiate?
La scelta del ministro di effettuare una denuncia pubblica segue di qualche giorno la consegna della memoria difensiva di Milanese a Montecitorio. Nel documento, scritto con gli avvocati Franco Coppi e Bruno Larosa, il parlamentare afferma che Tremonti gli ha versato 1.000 euro a settimana in contanti per pagare l’affitto (che ammontava a 8.000 euro mensili) per un totale di 75.000 euro. Sino ad allora il ministro aveva dichiarato semplicemente di essere stato «ospite». A quanto risulta dagli atti processuali, per almeno due anni nessuno dei due avrebbe versato neanche un centesimo all’Ente proprietario del lussuoso appartamento.
Lo scomputo dei lavori
Il 28 giugno scorso viene interrogato da Piscitelli Alfredo Lorenzoni, il segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni, che afferma: «Milanese ha stipulato il contratto nel febbraio 2009 per l’appartamento di via di Campo Marzio che necessitava di lavori di circa 250/260 mila euro e concordammo l’esecuzione a suo carico per una cifra di 200 mila euro dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone d’affitto».
Il resto lo aggiunge il costruttore Proietti, che si incaricò dei lavori: «Fui io a far avere a Milanese un piccolo appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, ma la feci a titolo gratuito». Dunque, se è vero che Tremonti ha versato 4.000 euro al mese, quei soldi potrebbero essere rimasti nella disponibilità di Milanese.
Fiorenza Sarzanini
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Presto un nuovo interrogatorio per chiarire i timori di Tremonti
Il ministro sarà chiamato a spiegare perché non voleva stare in caserma
GUIDO RUOTOLO
ROMA
Da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato». Dichiarazioni inquietanti del ministro dell’Economia. Che porteranno inevitabilmente il ministro stesso, Giulio Tremonti, a essere di nuovo sentito dagli inquirenti. E probabilmente, il presidente del Consiglio (o il sottosegretario Gianni Letta) a doverne riferire al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, presieduto da Massimo D’Alema.
Gli inquirenti napoletani, indagando due generali delle Fiamme Gialle per la fuga di notizie sull’inchiesta della P4, avevano già sentito il ministro Tremonti. E la sua deposizione aveva già allarmato. Davanti ai pm Woodcock e Curcio, aveva parlato di «cordate» interne alla Finanza che avevano straripato in città, frequentando politici e non solo in grado di sponsorizzare candidature per diventare comandante generale della Guardia di Finanza. In quell’occasione, siamo al 17 giugno, il ministro rivelò che in un incontro molto animato con il presidente del Consiglio, agli inizi del mese, si scontrarono sulla politica di bilancio. Ed espresse a Berlusconi le sue paure: «Su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza a una spinta per le mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. E a Berlusconi manifestai la mia refrattarietà a essere oggetto di campagne stampa tipo quella “Boffo”».
Secondo «Libero», in quell’incontro del lunedì ad Arcore, Tremonti sbottò contro Berlusconi: «Tu mi hai fatto spiare… hai messo i servizi segreti alle mie calcagna…».
Cordate per sostenere candidati generali, e poi campagne stampa ricattatorie e fabbriche del fango. E ora, controlli illegittimi di un ministro della Repubblica. Napoli dovrà approfondire anche l’ultima denuncia spedita per mezzo stampa dal ministro Tremonti.
Nelle carte di Woodcock e Curcio, c’è anche un verbale di Marco Milanese, braccio destro del ministro, del 13 giugno. Pochi giorni dopo quella sfuriata tra Tremonti e Berlusconi, Milanese incontra il ministro: «Mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi, perché aveva saputo che lui – il ministro – era seguito, o comunque negli ambienti politici si diceva che stavano attuando “il metodo Boffo” anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando “cose” per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi, come partecipanti a questo piano ordito nei suoi confronti».
Sempre Milanese dice il 17 giugno ai pm napoletani: «Il presidente Berlusconi gli ha negato che ciò potesse essere vero e ha detto che nessuno sta ordendo (tramando, ndr) nei suoi confronti. Il ministro (al contrario, ndr) è convinto che tutto questo sia vero e che tra le questioni ci sia anche la nomina del futuro comandante generale della Gdf, dove è il ministro che propone il nominativo del comandante».
Caserme e alberghi, luoghi insicuri. Se dovessero approfondire la denuncia per mezzo stampa del ministro, gli inquirenti dovrebbero acquisire le relazioni di servizio della scorta di Giulio Tremonti, per vedere se sono stati annotati episodi particolari, e acquisire il calendario delle permanenze del ministro nelle foresterie delle caserme della Gdf e negli alberghi. E, infine, dovrebbero verificare se Tremonti ha mai sporto denuncia all’autorità giudiziaria.
Gli inquirenti potrebbero scoprire così che Tremonti potrebbe aver pernottato per l’ultima notte nella foresteria della Gdf di via Sicilia a Roma, nel lontano giugno del 2004. Cioè da quando si dimise dal governo Berlusconi eletto nel 2001 (il suo posto fu preso da Domenico Siniscalco).
Come è possibile che un ministro dica oggi di essersi sentito insicuro in una caserma della Gdf che l’ospitò fino al giugno del 2004, o che si sentiva insicuro ospitato in un albergo? Tutti gli addetti ai lavori, dicono che un’abitazione privata è più insicura di un albergo o di una caserma. Ieri, Tremonti ha spiegato a «Repubblica» che chiese ospitalità a un amico, Milanese, «presso una abitazione che non riportava direttamente» al suo nome: «Questa mi era sembrata la soluzione più sicura».
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