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Fiducia sulla manovra. Il governo prova un altro golpe

Il Senato voterà la fiducia sulla manovra economica intorno alle 20. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo che ha fissato per le 12 il dibattito sul maxi emendamento e per le 18, con la diretta televisiva, le dichiarazioni di voto. Dopo le 19 è prevista la prima chiama dei senatori sulla fiducia.

Non c’è molto da aggiungere, come giudizio politico  sociale, a quanto già deto in questi giorni.

Per i dettagli, invece, cerchiamo di darvi un quadro delle ultime ore, ben sapendo che nel testo “definitivo” potranno esserci decine di altre sorprese. Del resto, gli stessi senatori ieri sera si “lamentavano” di esser “costretti a lavorare” su misure che intanto venivano riscritte da Tremonti & co. nelle stanze di palazzo Chigi. Ma naturalmente mica vorrete mettere in dubbio che siamo una democrazia, no?

Un quadro delle “novità” nei resoconti della stampa mainstream.

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da Il Sole 24 Ore

novita-maxi-emendamento.pdf

Rialzo dell’Iva, contributo di solidarietà e pensioni. Ecco le ultime novità della manovra

Schede a cura di Nicoletta Cottone

 

Il Governo ha rimesso ancora una volta mano al testo della manovra approvato domenica dalla commissione Bilancio del Senato e ha deciso l’introduzione di alcune novità concordate nel corso di un vertice di maggioranza a palazzo Grazioli con il premier Silvio Berlusconi, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. Al termine della riunione un comunicato ufficiale del governo ha reso noto che nel maxiemendamento, che dovrebbe essere approvato entro domani da palazzo Madama con voto di fiducia, saranno inserite queste tre novità di peso:

1) L’aumento di un punto dell’Iva dal 20 al 21% «L’Iva andava preservata come ultima carta ma il jolly è stato giocato subito» (di Barbara Fiammeri)

2) Un contributo di solidarietà del 3% sopra i 300mila euro Così la prima versione del contributo di solidarietà (di Gianni Trovati)

3) L’anticipo dell’aumento dell’età di pensionamento delle donne nel settore privato già dal 2014Ecco il puzzle delle pensioni, a partire dalle regole per le donne (di Giampiero Falasca)

Inoltre il consiglio dei ministri varerà un ddl costituzionale per:

4) Inserire in Costituzione l’obbligo al pareggio di bilancio Il pareggio di bilancio in Costituzione: ecco in 16 punti come cambierà l’articolo 81 di Marco Mobili

5) Attribuire alle Regioni le competenze delle ProvinceL’inutile tentativo delle Province: una proposta di legge per accorpare Comuni e sopprimere gli Enti territoriali (di Nicoletta Cottone)

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Coperture e navigazione a vista

di Guido Gentili

 

Riformare significa cambiare, rimettersi in gioco, e non a caso le riforme sono tanto faticose quanto impopolari. Una classe politica abituata a governare con i sondaggi elettorali alla mano (vale per l’Italia del berlusconismo e del suo opposto, ma vale in parte anche per la Germania di Angela Merkel e per la Francia di Nicolas Sarkozy) finisce inevitabilmente per restare prigioniera della sua inazione, bloccata dai veti politici incrociati e dalle pressioni, in sé legittime, delle più diverse lobby. Per non dire dei rancori personali che attraversano e avvelenano ogni terreno di confronto.

L’avventuroso viaggio della manovra dall’inizio di luglio a oggi ha messo impietosamente in mostra un deficit politico-decisionale che ha pochi precedenti. Abbiamo dovuto registrare anche i rimproveri della Spagna, che certo non ha brillato per virtuosismo economico e finanziario.

Italia e Grecia non fanno il loro “dovere” di risanamento e creano “sfiducia” sui mercati, ha ammonito Madrid. Sgradevole e improprio, il richiamo coglie però un punto di realtà. La Manovra da 45 miliardi (sulla carta) in attesa di essere approvata al Senato e di transitare alla Camera per l’approvazione definitiva, non rispondeva ai criteri basici di credibilità che soli possono assicurare all’Italia un sentiero meno pericoloso di quello che stiamo percorrendo tra una scivolata e l’altra.

Ieri si è così materializzato un nuovo aggiustamento. Torna in campo un “contributo di solidarietà” del 3% per i redditi sopra i 300 mila euro/anno, si mette mano all’aumento di un punto dell’Iva, si riapre il capitolo dell’età di pensionamento delle donne del settore privato, anticipando di due anni (al 2014) il percorso di parificazione rispetto al già toccato settore pubblico. A parte l’Iva (il cui maggiore gettito servirà a rendere più stabile la copertura finanziaria della Manovra e non in chiave pro-crescita) niente che abbia un significato davvero consistente. Insomma un ritocco, una accelerazione di governo in extremis che risolve almeno il problema delle coperture dentro una navigazione che resta a vista e che comunque rincorre il responso dei mercati. Che facciamo nella malaugurata ipotesi di una nuova grandinata di vendite dei titoli italiani? Una manovra tris da ricorreggere strada facendo tra un “no” e l’altro?

All’Europa, che pure ha le sue gravi responsabilità in termini di incompiuta governance politica, avevamo già fornito un carico rigoglioso di ragioni per alimentare perplessità e critiche. Misure che vivono, muoiono e resuscitano da un giorno all’altro, tra un vertice e l’altro, si sono alternate a passo di corsa. Naturalmente sotto la bandiera strappata dei “saldi invariati”, che tutto erano meno che invariati e inviariabili. E fermo restando il solito “no” di fondo sulle pensioni della Lega di Umberto Bossi, che da fattore innovativo nella politica italiana si sta trasformando in un blocco di interessi conservativi.

L’Italia è “in codice rosso”, potrebbe essere la porta da scardinare per poi stritolare l’euro, ma i medici distratti o in lite continua tra loro ciabattano di qua e di là somministrando e prospettando cure improbabili o poco incisive. Siamo appesi sui mercati al sostegno supplente della Banca centrale europea (Bce) che acquista i nostri titoli pubblici e che, in cambio, ci ha chiesto il pareggio di bilancio nel 2013. Lo spread tra i Btp decennali italiani e i bund tedeschi ieri è arretrato, ma non c’è alcun segnale che indichi che la tempesta stia per finire, come testimoniano i livelli record raggiunti dai credit default swap sull’Italia, i contratti che proteggono da una possibile insolvenza.

Conviene tenere a mente che abbiamo un debito di 1900 miliardi di euro e che da qui alla fine del 2011 (oltre al fabbisogno) dobbiamo finanziare titoli in scadenza per 130 miliardi, di cui circa la metà in questo mese di settembre (i soli titoli in circolazione da rinnovare nel 2012 ammontano a 250 miliardi). Non solo. Il Paese cresce dello “zerovirgola” (la Germania farà quest’anno +3%) e a due anni dall’avvio della ripresa, come certificato dalla Banca d’Italia, siamo cinque punti di Pil sotto i livelli precedenti la crisi. Meno crescita significa maggiore difficoltà per raggiungere il pareggio di bilancio e corsa più lenta nella flessione del debito pubblico.

Abbiamo insomma bisogno di tutto: del sostegno della Bce, della fiducia dell’Europa e dei mercati, della coesione interna politica e sociale (che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non si stanca di richiamare) per far fronte con tempestività e rigore ad una condizione di allarme e, insieme, per ritrovare la bussola della crescita. Non abbiamo invece bisogno della pioggia acida dei veti incrociati, degli scioperi in chiave politica, di un confronto tra maggioranza ed opposizione che trova un accordo facile sulla questione dei ponti festivi e non riesce a scrivere una pagina nuova, e condivisa, sulle pensioni.

Possibile che tra quasi mille parlamentari di Senato e Camera, siano solo il gruppetto dei radicali eletti nelle liste del Pd e pochi altri senatori e deputati di maggioranza ed opposizione ad insistere sul riassetto del nostro sbalestrato welfare?

Le riforme sono faticose ed impopolari, certo. Ma possono diventare anche popolari (e dunque buone per i sondaggi) se servono ad evitare l’infarto generale di un Paese restituendogli un orizzonte con meno tasse e più fiducia nel futuro. Naturalmente, ammesso che la politica lo capisca.

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da Repubblica

Una manovra rivoluzionata
ROMA – La manovra finanziaria si presenta al voto in Senato con una vesta ancora nuova. L’ultima versione è uscita dal lungo vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli: rientrano il contributo di solidarietà, l’Iva e l’equiparazione dell’età pensionabile per uomini e donne.

Il contributo di solidarietà. Torna il contributo di solidarietà del 3% sui redditi oltre i 300mila euro l’anno, lo ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa. La soglia era stata fissata in precedenza a 500mila, ma avrebbe interessato solo 11mila contribuenti su 41,5 milioni complessivi (lo 0,02%). Adesso il provvedimento varato dall’esecutivo riguarderà 34mila persone. Aumenterà quindi l’introito per lo Stato prima stimato in 35 milioni nel 2012 e 87,7 milioni dal 2013. Il contributo interessa il reddito complessivo: fondiario (esclusi i redditi da prima casa), da lavoro dipendente, di impresa, autonomo, da capitale.

Contributo di solidarietà per i parlamentari – Il contributo di solidarietà per i parlamentari che oltre all’indennità percepiscono anche un reddito da lavoro: “pagheranno il doppio dei loro colleghi che svolgono solo il ‘mestiere’ di deputato, e quindi il quadruplo di un dipendente pubblico soggetto al contributo”.

L’Iva. L’aumento dell’aliquota al 21% colpirà giocattoli, televisori, auto e moto, abbigliamento e calzature, taglio e piega dal parrucchiere, caffè, vino e cioccolato con molte voci che riguardano la spesa per la casa. Rientrano nel computo anche i detersivi, ma persino gli stabilimenti balneari e i pacchetti vacanza con conseguenze negative – secondo Confcommercio – per i consumi.  Questo incremento porta l’Italia in testa alla classifica dei vari regimi di aliquote ordinarie praticati dai maggiori Paesi europei: la Germania è al 19,6%, la Francia al 19,6%, la Spagna al 18% e la Gran Bretagna al 20%. Il governo spera in questo modo di incassare almeno 4 miliardi.

Le pensioni. L’equiparazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a 65 anni porterà a regime risparmi per quasi 4 miliardi di euro l’anno. L’anticipo della partenza del percorso dal 2016 al 2014 deciso oggi porterà l’andata a regime della misura dal 2028 al 2026 con un risparmio per quell’anno valutato in 3,9 miliardi e 334 mila donne in più al lavoro rispetto alla normativa attuale. La manovra prevedeva un incremento di un mese per accedere alla pensione nel 2016 per poi crescere negli anni successivi: con l’anticipo alla misura deciso oggi l’aumento dell’età necessaria per la pensione di vecchiaia partirà nel 2014 con la stessa velocità.

Restano in vigore i tagli agli enti pubblici, a cominciare dalle province (ma con legge costituzionale), il dimezzamento dei parlamentari e l’articolo 8 sui licenziamenti. 

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da La Stampa

 

L’ira del premier: dal Colle: “un intervento a gamba tesa”

 

Retromarcia per evitare una censura pubblica del Quirinale

 

AMEDEO LA MATTINA, UGO MAGRI

 

ROMA
«Siamo rimasti basiti». Nei piani alti del governo, riconoscono che l’intervento di Napolitano sulla manovra («servono misure più efficaci») è stato uno choc. Ancora niente, però, a confronto di quello che il Cavaliere ha passato nella memorabile notte a cavallo tra il 5 e il 6 settembre. Quando i soliti canali diplomatici l’hanno avvertito che dal Colle l’indomani sarebbe arrivato di molto peggio: una pubblica dichiarazione nella quale Napolitano avrebbe denunciato l’inerzia del Cavaliere davanti a una crisi così drammatica.
In pratica, il «de profundis» per un governo incapace di assumersi le proprie responsabilità su Iva, pensioni e rispetto degli impegni assunti con l’Europa. «Avrebbe potuto ricorrere alla moral suasion, invece Napolitano è entrato a gamba tesa», si lamentano a Palazzo Chigi. Pare certo che dietro ci fosse pure Draghi, futuro presidente della Bce, stanco di attendere quanto da due settimane aveva suggerito al governo. Sta di fatto che la minaccia dal Colle ha ottenuto il suo scopo. Berlusconi ha alzato finalmente la testa dalle carte giudiziarie, s’è attaccato al telefono, è volato a Roma dove non metteva piede da 23 giorni, ha riunito il vertice di maggioranza e il Consiglio dei ministri, tutto a tempo di record proprio per scansare i fulmini presidenziali. Dopodiché, Silvio ha avuto il coraggio di sostenere con gli amici che era tutto merito suo. «Ho pilotato io la manovra», si è vantato a sera, «è stato il sottoscritto a convincere Bossi e Tremonti». Napolitano? Sì, certo, il presidente «mi ha dato un aiuto…».
Adesso l’interrogativo è: la terza versione del decreto sarà sufficiente? Oppure l’offensiva contro l’Italia proseguirà imperterrita? Nell’entourage del premier incrociano le dita. Si attendono che la Bce, finalmente accontentata, riprenda a comprare i nostri poveri Btp. Spiegano l’ottimismo: «Lo spread viene deciso a Francoforte». Tremonti, dicono, è alquanto scettico. Anche per questo lui puntava i piedi, non avrebbe cambiato una virgola dell’ultimo decreto. Non ha detto, sia chiaro, che Draghi tira le fila di una congiura politica contro il governo; né Giulio ha indicato in Soros il manovratore dietro le quinte dell’assalto speculativo. Eppure il ministro, durante il vertice a Palazzo Grazioli, ha evocato «manine» e «manone», ambienti politico-finanziari cui non dispiacerebbe che questo governo finisse a zampe per aria. Argomenti che sul nostro premier esercitano sempre una certa suggestione. Giusto ieri gli hanno dato fastidio le critiche dalla Spagna, ma soprattutto quelle della Merkel. «A Berlino non si rendono conto che, se salta l’Italia, crolla l’euro e ci va di mezzo pure la Germania».
L’unica vera certezza (salvo dietrofront) è che «non ci sarà una terza manovra di qui a un mese», giurano tutti i protagonisti della giornata di ieri. «A questo punto basta così», sparge assicurazioni il Cavaliere. Il portavoce Bonaiuti fa due conti: «Ci chiedevano il pareggio di bilancio, ora i saldi saranno perfino meglio di quelli prefissati». Che altro possono pretendere gli investitori? Estratti del Berlusconi-pensiero raccolti: «Abbiamo raschiato il fondo del barile, tutto quello che ci era possibile fare, eccolo qui. Abbiamo tolto alla speculazione ogni alibi. Se si insiste con certe critiche, vuole dire solo che c’è una manovra contro il Paese, contro di noi». Qualunque cosa accada sui mercati, Berlusconi sa di non poter più modificare neppure una virgola, specie sulle pensioni. Bossi lo manderebbe a quel paese, la maggioranza andrebbe in briciole. L’anticipo di due anni per le lavoratrici nel settore privato è il massimo che Berlusconi è riuscito a strappare in una concitata battaglia con la Lega.
Nella telefonata con l’Umberto, lunedì sera, s’era trovato di fronte un muro. Durante il vertice di ieri idem, con l’emissario del Carroccio Calderoli che aveva sul collo il fiato del Senatùr. Nel giro leghista si narra di una telefonata ringhiosa piovuta da Gemonio a Palazzo Grazioli, «che diavolo state combinando lì?». In compenso Berlusconi ha ottenuto dalla Lega disco verde all’aumento dell’Iva. Tremonti è rimasto isolato. Si è arreso solo quando il collega di governo Frattini è uscito di mattina dal Quirinale mettendo in chiaro: «L’appello di Napolitano va preso sul serio». L’accerchiamento di Tremonti è stato completo allorché da Bruxelles ha incominciato a premere perfino Tajani, vicepresidente della Commissione Ue (messo sapientemente in moto da Gianni Letta).
Una trattativa caotica che Berlusconi tenta di minimizzare: «Confusione? Quando il governo si regge su una coalizione di partiti, non può essere diversamente». E poi, teorizza da politologo Quagliariello, «una manovra così importante nella Prima Repubblica avrebbe travolto non uno ma tre governi, mentre noi siamo ancora vivi». Ancora per quanto? Incombe sul Cavaliere lo spettro del governo tecnico, guidato da Monti, o istituzionale (l’attivismo di Schifani viene visto dai «berluscones» con crescente sospetto). Si dà coraggio il premier: «Siamo un governo legittimo, abbiamo la maggioranza nel Parlamento, nessuno può permettersi di far saltare il banco».


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Se qualcuno si illude che dall'”opposizione parlamentare” possa venire un qualche sollievo, una vlta che il Cavaliere abbia esaurito le sue tre carte, è bene dare un’occhiata alla nota pubblicata dal vero maitre a pensereconomico del P

http://www.lavoce.info/articoli/-conti_pubblici/

I NUMERI DELLA MANOVRA OGGI AL SENATO

di Tito Boeri 06.09.2011

La quarta manovra fa gravare l’aggiustamento ancora di più sul lato delle entrate, peraltro più incerte, perché è difficile stimare i proventi dalla lotta all’evasione. E, malgrado il Governo si fosse impegnato a un aggiustamento prevalentemente sul lato della spesa, i tagli stanno scomparendo con il passare dei giorni. Difficile rassicurare i mercati se, a quasi un mese dall’intervento della Bce, non è ancora chiaro come raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013.

La quarta manovra fa gravare ancora di più sul lato delle entrate l’aggiustamento. E si basa su entrate più incerte perché la Ragioneria dello Stato ha posto il bollino su stime quantomeno azzardate dei proventi dalla lotta all’evasione. Più prudente sarebbe stato stimare entrate pari a zero per questi provvedimenti. Metà della manovra rimane indeterminata dato che resta la clausola di salvaguardia sulla delega fiscale e assistenziale.

I TAGLI NON CI SONO PIÙ

La tabella qui sotto documenta i nuovi numeri. I saldi sono, sulla carta, rimasti invariati perché era requisito per presentare l’emendamento. Cambia la composizione: più entrate e meno tagli di spesa. Il contributo delle tasse sale al 68 per cento (dal 61 per cento) nel 2012. Se teniamo conto che gli enti locali si rifaranno dei tagli ai trasferimenti aumentando le addizionali Irpef, come loro consentito già nel 2012 dalla manovra, la quota delle entrate sale addirittura all’84 per cento. Spariscono del tutto i tagli ai costi della politica a livello provinciale e comunale che erano comunque talmente esigui da non venire quantificati dalla relazione tecnica. Insomma, i tagli di spesa si sono ormai ridotti al lumicino. Si noti che nei documenti presentati alle autorità europee, il Governo si era impegnato a un aggiustamento “prevalentemente sul lato della spesa” e che il ministro Tremonti nell’anticipare la manovra alla Camera aveva parlato di “obiettivi che si devono raggiungere attraverso riduzioni della spesa”.

ENTRATE PIÙ INCERTE

Sono entrate più incerte. Stupisce che la Ragioneria dello Stato quantifichi in più di un miliardo gli effetti di misure dall’esito aleatorio e da molti ritenute inefficaci come l’obbligo di fornire le coordinate bancarie in dichiarazione dei redditi (perché non fornire anche i saldi di conti corrente?), la prigione per chi evade più di 3 milioni (quanti sono i contenziosi di quella entità, quanti i grandi evasori che rischiano di andare in prigione? Perché l’Agenzia delle entrate non ce lo dice?). Le stime fanno riferimento al solo effetto di dissuasione che è molto difficile da valutare. Più prudente sarebbe stato non contare su queste entrate. Tra l’altro, in Commissione alcune di queste misure sono state depotenziate, a partire dalla comunicazione obbligatoria delle coordinate bancarie che doveva servire per quegli accertamenti selettivi che nella relazione tecnica venivano valutati fino a 665 milioni.

METÀ DELLA MANOVRA ANCORA DA DEFINIRE

Quasi metà della manovra (20 miliardi) continuano a venire affidati alla norma capestro sul taglio delle agevolazioni fiscali: se la delega per la riforma fiscale non venisse esercitata entro il settembre 2012 si procederà a un taglio automatico del 5 per cento di agevolazioni e deduzioni Irpef e Iva, a scapito soprattutto delle persone con redditi più bassi. Il taglio salirebbe al 20 per cento nel 2014. Sono più tasse e sono regressive e colpiscono soprattutto le famiglie a basso reddito. È una norma che lo stesso governo dichiara di non voler mettere in pratica e di tenere solo come extrema ratio nel caso non si arrivasse all’approvazione di una imprecisata riforma fiscale e assistenziale. Insomma, a più di due mesi dall’apertura di una crisi di credibilità drammatica per il nostro Paese, a quasi quattro settimane dalla decisione della Bce di intervenire a sostegno dei nostri titoli di Stato a fronte dell’impegno del nostro governo ad anticipare l’aggiustamento e a tre settimane dal Consiglio dei ministri che ha impegnato il nostro paese al pareggio di bilancio entro il 2013, il nostro governo non è ancora riuscito a chiarire come raggiungerà questo risultato, varando una manovra dell’entità richiesta.

 

 

 

 

 

 

2011

2012

2013

2014

Maggiori entrate

2,3

16,2

31,0

34,9

di cui

 

 

 

 

   imposta deposito titoli

0,7

1,3

3,8

2,5

tasse sui giochi

0,4

0,5

0,5

0,5

accise benzina/tabacchi

0,0

5,4

3,5

3,5

  IRAP su banche/assicurazioni

0,0

0,9

0,5

0,5

taglio agevolazioni fiscali (1)

0,0

4,0

12,0

20,0

rendite finanziarie

0,0

1,4

1,5

1,9

norme antievasione (2)

0,0

0,4

1,2

1,2

altre (3)

1,2

13,6

16,1

13,0

 

 

 

 

 

Minori spese

-0,1

7,6

18,8

20,4

di cui

 

 

 

 

sanità

0,0

0,0

2,5

5,0

altri trasferimenti EELL (4)

-0,4

3,8

6,7

7,4

pensioni

0,0

0,7

1,5

1,6

pubblico Impiego

0,0

0,0

0,0

0,6

ministeri

0,1

7,7

6,9

6,0

altre (5)

0,2

-4,6

1,2

-0,1

 

 

 

 

 

TOTALE

2,3

23,8

49,8

55,3

Contributo entrate

104%

68%

62%

63%

 

 

 

 

 

 

(1) Clausola salvaguardia delega fiscale

 

 

 

 

 

 

 

 

(2) Comunicazione anagrafe di operatori finanziari, controlli IVA, prigione evasori, etc.

 

 

 

(3) Ticket sanità, contributo solidarietà pensioni, aumento accise, precedenti provvedimenti lotta ad evasione, etc.

 

(4) Al netto di dotazione fondo trasporti

 

 

 

 

 

 

 

(5) Provvedimenti “sviluppo”, dotazione fondo ISPE, riduzione finanziamento partiti, etc.

 

 

 

Un segno negativo su minori spese significa che le spese aumentano

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