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Napolitano-Draghi: un governo di “livello europeo”

Draghi va da Napolitano per fare il punto sulla crisi. Tremonti filosofeggia
Gran consulto al Quirinale
Non sarà carino da dire, ma il vero governo italiano si è riunito ieri mattina al Quirinale, quando il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è entrato per un colloquio di due ore con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il secondo è l’ultimo garante di una credibilità nazionale sprofondata nel ridicolo: il primo è l’uomo che dovrà dirigere la Bce da novembre, il coordinatore della politica monetaria continentale, l’uomo con cui tutti dovranno fare i conti e che è stato scelto all’unanimità o quasi proprio perché non ragiona e non decide nei termini cui l’italietta ci ha assuefatti.

L’anello di congiunzione tra la scialuppa che affonda e la nave europea passa da questo tandem. Specie dopo il duro segnale dato dalla Germania con le dimissioni del membro tedesco della Bce, Juergen Stark e il drammatico crollo delle borse – Btp italiani compresi – che ne è seguito. Non a caso le preoccupazioni per l’apertura dei mercati lunedì mattina sembra aver dominato la discussione a due. Anche se la domanda principale è se la Bce continuerà o no a comprare i titoli di stato italiani e fino a quando. Logica «politica» vorrebbe che al momento dell’insediamento di Draghi a Francoforte (novembre) il programma fosse già terminato.
È ormai chiaro che subito dopo l’approvazione della «manovra» si comincerà a discutere della prossima, «quella vera». Ma il motore pensante di questa terza e – nelle intenzioni, almeno – definitiva mazzata al welfare italiano sarà con ogni probabilità un altro esecutivo. Naturalmente «di salvezza nazionale» e con il sostegno unanime di tutte le forze politiche che aspirano alla qualifica di «responsabili». Una dimostrazione? Il ministro dell’agricoltura Saverio Romano (che tanti grattacapi etici aveva provocato a Napolitano) ha ammesso «non sappiamo se la manovra è risolutiva, quello che sta accadendo è fuori controllo». E quindi «speriamo che basti». Scientifico, non c’è che dire.
Nel frattempo, il ministro dell’economia ancora in carica, Giulio Tremonti – impegnato a Marsiglia per il G7 – sembra aver preso atto che nel suo dispositivo manca qualsiasi seria misura atta a promuovere «la crescita». Siccome è uomo colto e arguto, ha subito promesso «un test sulla crescita dell’economica italiana, come un tagliando per la macchina dell’economia. Se ci sarà qualcosa da cambiare nei provvedimenti sulla crescita del governo lo faremo e, se necessario, ne aggiungeremo altri».
Da Confindustria agli organismi internazionali, del resto, è tutto un coro: «se la crescita resta zero, tutti i tagli o gli aumenti di tasse che varate non migliorano la situazione». Calcolo facile da fare, una semplice divisione. La spesa è il denominatore, la «crescita» fa da numeratore. Ma se la seconda – ipotizzata dal governo a oltre l’1% nel 2011 – si rivela inferiore alle attese, ecco che tutti i tagli effettuati perdono la loro «efficacia contabile» (non certo il carattere antisociale tragico). Non ci vuole insomma molto a criticare la logica del «manovratore».
Ma anche da parte «padronale» le uniche indicazioni concrete riguardano l’eliminazione delle pensioni e la libertà di licenziare. Non proprio due incentivi all’aumento dei consumi interni e quindi della produzione…
Tremonti, dunque, può tranquillamente esibirsi tautologie giuridiche («se il mercato è globale, il diritto non può essere locale»), magari riferite alla regolazione dell’attività delle banche («è stato un errore enorme salvare le banche sistemiche senza riformarle separando le attività di banca da quelle più finanziarie»). Ma il meglio di sé lo dà pur sempre nelle metafore filosofico-automobilistiche: «se vuoi fare un viaggio devi avere la strada, la meta e la macchina». Ma se la meta, invece che lo sviluppo del paese, è il «pareggio di bilancio in Costituzione» – parole sue – il rischio è di arrivarci cadaveri.

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