Menu

Nuovismo, giovanilismo e politica dell’ignoranza

 

Ignorante sul terreno che dovrebbe controllare (democrazia, regole, composizione dei legittimi interessi diversi di settori sociali che traggono da fattri diversi il proprio reddito, ecc), e che quindi si avventura in fughe populistiche all’unico scopo di restare – individualmente – in sella. Lega o Berlusconi, Vendola o Di Pietro, in misura doversa rappresentano la stessa vena povera di ungimiranza e sovradotata di ballon d’essai.

Anche nella “sinstra dei movimenti” si è fatto largo un qualunquismo nutrito di ignoranza e di rifiuto del confronto. Basti pensare al criterio di “nuona educazione frmale” per cui, in  una discussione pubblica,  “ognuno dice la sua” e  non è affatto detto che si possa cambiare opinione. Il che rende obbligatoria una decisione per “convergenze casuali” e impossibile una decisione “all’altezza del problema” afrrontato. “Giovane” e “anziano” sono diventate categorie dense di “valore”, al punto che i reazionari di destra e di centrosinistra che si susseguono al governo hanno potuto massacrare impuenmente sia i giovani che i “maturi” tagliando la possibilità di convergenza nell’opposizione.

Questa intervista, pubblicata ieri sul quotidiano on line Lettera 43, aiuta a rimettere a fuoco il problema rimosso nella politica italiana: la “formazione” dei quadri politici e i “criteri di selezione” dei dirigenti. E scopriamo che questo vale sia per la politica parlamentare che, soprattutto, per quella – tutta da ricostruire e riuificare – del’opposizione di classe.

 

 

*****

 

Politica senza maestri

Il sociologo Delai: «In Italia servono scuole per i leader».

di Gabriella Colarusso

In un periodo in cui la politica italiana sembra dividersi su tutto, fa specie l’inedita convergenza che il 21 settembre i deputati di Montecitorio hanno trovato sul disegno di legge costituzionale proposto dal governo – primo firmatario Silvio Berlusconi, secondo il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni – che estende il diritto di elettorato passivo.
Si tratta di un primo via libera, il provvedimento passerà ora all’esame del Senato, ma per la Camera – che ha detto si con 455 voti favorevoli, 11 contrari e 25 astenuti – è sufficiente aver compiuto 18 anni per diventare deputato, o 25 per sedere a palazzo Madama, invece dei 25 e 40 previsti dalla legge attuale.
I LEADER PIÙ VECCHI DEL CONTINENTE.
In un Paese in cui il 45,2% dei leader – in politica, economia, professioni e istituzioni – ha più di 70 anni, contro il 31% della Gran Bretagna e il 28% della Spagna, il voto di Montecitorio potrebbe essere una buona notizia.
Ancor più se si considera solo il dato relativo ai leader politici, che sono i più vecchi d’Europa: il 49,6% ha infatti più di 71 anni, contro una media del 30% per il resto del continente.
Eppure, per Nadio Delai, presidente di Ermeneia, sociologo che da tempo studia la formazione delle classi dirigenti in Italia e in Europa, non è scontato che il Ddl costituisca un passo avanti per il Paese.
DOPO TANGENTOPOLI, ELITE ALLO SBANDO. «Le regole non sostituiscono i comportamenti», ha spiegato a Lettera43.it. «Il capitale sociale che si accumula negli anni è prezioso, l’Italia ha però un enorme problema con la formazione e il ricambio delle classi dirigenti. Con Tangentopoli, si sono estinti i luoghi tradizionali della formazione politica, le scuole quadri si sono estinte e think tank e fondazioni non bastano a colmare il vuoto».
IN ITALIA MENO MANAGER CHE IN UE. Il problema però riguarda anche l’élite imprenditoriale. Basti un dato: nel Belpaese nel settore privato ci sono 125 mila dirigenti in 32 mila aziende e un rapporto dirigenti-lavoratori dipendenti dello 0,9%. Un dirigente ogni 100 dipendenti.
In Germania e Francia il tasso di managerialità è pari al 3% e in Inghilterra addirittura al 6%. I dirigenti, privati e pubblici, hanno in Italia un’età media di 47,7 anni contro una media europea di 44,7 (Manageritalia su dati Eurostat).

DOMANDA. L’Italia soffre più di altri paesi il deficit di classe dirigente. È un problema solo di politica?
RISPOSTA. Le classi dirigenti sono i partiti politici, le istituzioni, ma anche le rappresentanze sociali, sindacali e economiche. Siamo chiamati tutti al banco degli imputati.
D. Cominciamo dalla politica.
R.
Finita l’epoca delle scuole quadri, delle scuole dell’associazionismo laico e cattolico, che avevano formato per due decenni le classi dirigenti, dagli anni Settanta ai Novanta, e dopo Mani Pulite, i partiti, accusati di ogni nefandezza, si sono illusi che bastasse coinvolgere la società civile, o dichiarare di volerlo fare, per recuperare credibilità.
D. Invece?
R. Un notaio non diventa politico semplicemente entrando in parlamento. Siamo finiti con l’autista del politico diventato onorevole, origliando quello che diceva al telefono il passeggero seduto nel sedile posteriore. Con un paradosso però.
D. Quale?
R. Quando un Beppe Pisanu parla, tutti a dire «ah meno male che ci sono ancora politici ‘veri’, ‘solidi’».
D. Perché?
R. Perché con la Democrazia cristiana il cursus honorum era garantito: si faceva la gavetta, si cresceva politicamente prima sul territorio poi a livello nazionale.
D. Un’indagine di Boeri Merlo e Prat del 2010 ha dimostrato che dalla prima alla seconda Repubblica, l’età media dei neoeletti è salita e la percentuale dei laureati si è abbassata. Si stava meglio prima?
R. Una classe dirigente non la fanno i master, ma la possibilità di affiancarsi alla classe dirigente precedente e di imparare. Questo la Dc e i partiti della prima repubblica lo garantivano.
D. Torniamo alle scuole quadri.
R. I buoni vescovi italiani stanno provvedendo a costituire nuove scuole di politica. A Trieste per esempio. Non scuole confessionali, ma di politica a 360 gradi.
D. Si discute molto di limite ai mandati parlamentari. Passa anche da leggi così il ricambio?
R. In parte, ma le regole non sostituiscono i comportamenti. Il problema resta la formazione.
D. Chi svolge questo ruolo oggi in Italia?
R. La classe dirigente cresce soprattutto nella associazioni di categoria, economiche, sociali, imprenditoriali. Qualche media azienda comincia a fare il salto, avendo compreso che fare solo il business man non basti più, bisogna preoccuparsi della qualità dei propri collaboratori.
D. In Europa come sono formate le classi dirigenti?
R. La Francia ha una solida tradizione di formazione delle classi dirigenti che ha origine nelle scuole napoleoniche. È una formazione più statalista ma, per la quale il Paese investe più che l’Italia. L’Inghilterra, che potremmo immaginare più aperta e liberal, in realtà è castale. Tony Blair, David Cameron e molti membri del governo provengono dalla Eton, una delle scuole più prestigiose, insieme con la London School.
D. E in Spagna e in Germania?
R. L’Opus Dei da decenni forma le classi dirigenti spagnole, come il primo premier post Franco. In Germania il compito è affidato soprattutto al capitalismo renano.
D. Noi abbiamo il capitalismo di relazione.
R.Se per capitalismo di relazione si intende che quattro persone si ritrovano in Mediobanca per fare di una società il perno di un sistema, basato sull’esclusione degli altri, non andiamo lontano.D. Invece? Oggi il capitalismo di relazione può voler dire capacità dei piccoli di mettersi in rete, di fare sistema. A condizione però che i nostri imprenditori si assumano la responsabilità di essere classe dirigente, di essere parte del sistema democratico e non solo della democrazia economica. Lo diceva già De Tocqueville nel 1830.

D. Invece?
R. Oggi il capitalismo di relazione può voler dire capacità dei piccoli di mettersi in rete, di fare sistema. A condizione però che i nostri imprenditori si assumano la responsabilità di essere classe dirigente, di essere parte del sistema democratico e non solo della democrazia economica. Lo diceva già De Tocqueville nel 1830.

D. Perché non è così?
R. Perché è prevalsa la pura economia. E invece è il momento di assumere la consapevolezza che gli interessi di un gruppo, che pur legittimamente si rappresentano, devono essere mediati con l’interesse generale, con il bene comune.
D. Le fondazioni, i think tank alla Montezemolo, possono svolgere questo ruolo?
R. Le fondazioni sono diventate espressione delle vecchie correnti di partito. I think tank non bastano, se si limitano a fare lobbying.
D. Un modello che funziona?
R. Quando sono nati i giovani industriali non sono nati come think tank, ma per produrre dirigenti, e infatti, da lì sono usciti tre presidenti di Confindustria, tra cui Abete e Marcegaglia. Poi ci sono le scuole di government. Ma non dimentichiamoci la regola di base: non si diventa classe dirigente facendo un master o formazione, ma affiancandosi ad altre classi dirigenti.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *