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Governo sulla graticola

dal Corriere della sera

La fronda di Pisanu e Scajola. L’idea di un Berlusconi bis

ROMA – Vittorio Feltri invita a non sottovalutarli: Scajola e Pisanu, dice, «rappresentano una minaccia seria nell’arte di pugnalare alle spalle, non sono gli ultimi arrivati, sono democristiani». Loro, i due esponenti del Pdl da tempo in posizione critica l’uno soprattutto rispetto al partito, l’altro anche nei confronti del premier, al quale ha chiesto un passo indietro, oggi in Parlamento da tutti vengono indicati come i possibili congiurati. Gli uomini che potrebbero davvero far cadere il governo in quello che già viene evocato come «un nuovo 14 dicembre», ma stavolta a esito rovesciato.

Va detto che i loro movimenti sono proprio quelli di chi desta sospetti: Beppe Pisanu da giorni incontra scontenti, delusi, arrabbiati esponenti del Pdl che vanno a chiedergli cosa fare e come e quando. Ma soprattutto, non è un segreto che – in sintonia con Claudio Scajola che ha incontrato mercoledì sera al ristorante Il Cantuccio (davanti al Senato, tanto per non nascondersi) – stia tessendo la tela con i centristi di Casini, con Gianfranco Fini (al quale ha fatto visita anche per sottoporgli l’idea di una sua lista, in caso di voto anticipato, dal nome possibile «Centro democratico cristiano»), con pezzi di Pd. Obiettivo? Un «governo di transizione», composto da un centrodestra allargato al Terzo polo o con tutti dentro, che sia «interlocutore naturale» di quel «soggetto per ora sociale e culturale» che si formerà a Todi dall’incontro tra le associazioni cattoliche di diverse anime.
Pensieri ad alta voce, di chi esclude che «un progetto di questo genere possa passare per mezzucci o escamotage parlamentari, come trabocchetti nel voto segreto…». Se svolta sarà insomma, giura Pisanu, sarà «alla luce del sole».

Parole che in qualche modo sottoscrive anche Claudio Scajola. L’ex ministro – forte del consenso di un nutrito drappello di parlamentari a lui fedeli – dice chiaro e tondo che «in questo momento c’è da mettere assieme le forze migliori». Non arriva alle estreme conseguenze evocate da Pisanu, Scajola. Ma anche lui non nasconde affatto il lavorio per canalizzare il diffuso scontento di decine di deputati con i quali parla, si confronta, si organizza. Con 16 di loro, mercoledì sera, si è incontrato a cena in un ristorante a pochi passi da Montecitorio. C’erano Paolo Scarpa Bonazza Buora, Berruti, Cicu, Testoni, Giustina Destro, Russo, De Camillis, Tortoli, Antonione, Scandroglio, Cassinelli, Gava, Nicolucci, Abrignani, Lauro, Orsi, alcuni suoi fedelissimi, altri interessati a «discutere». C’erano gli arrabbiati pronti a «rompere subito, ora», che ha dovuto frenare, e quelli cauti perché «senza un approdo certo, dove andiamo? Rischiamo di finire dritti al voto senza uno straccio di partito che ci candidi».

Il giorno dopo la riunione fioccano le ipotesi su quello che sta per succedere: è pronto un documento che chiede un Berlusconi bis e un nuovo governo allargato ai centristi, e «ha almeno 25 firme», il che vorrebbe dire che la sfiducia è cosa fatta; no, forse ci si «limiterà» alla creazione di gruppi autonomi; no, probabilmente si farà un appello accorato perché si rilanci l’economia con un decreto sviluppo sostanzioso e ricco; no, magari basterà un incontro con Berlusconi per trovare un nuovo assetto nel partito che soddisfi tutti.

Lui, Scajola, non scopre le carte: «Documento? Ma no, non c’è ancora niente di scritto. Certo è un’ipotesi, non lo nego… Stiamo discutendo con degli amici di quello che non va, è vero che c’è molto scontento, e siccome non ci sono le sedi per farlo ci incontriamo anche a cena: vogliono attaccarmi per questo?». E su Alfano: «È stato accolto con entusiasmo, ma ora è il momento di pilotare davvero… Perché il Paese è in assoluta difficoltà, i rischi sono enormi, il disagio nel partito tanto…».
Insomma, la partita è in corso, ma il risultato è ancora molto aperto. Silvio Berlusconi si mostra sicuro: «Claudio non mi tradirà, è sempre stato mio amico». I suoi non ne sono così convinti: «Lui e Pisanu potrebbero davvero essere pronti a staccare la spina – dice un fedelissimo del premier -. Ma che convenienza avrebbero gli altri ad andar loro dietro?». Gli «altri», nei calcoli di via dell’Umiltà, sarebbero «come scajoliani duri e puri una decina di deputati, sui quali stiamo lavorando…», perché «una cosa è portare la gente a cena, altra farla votare contro il governo. E noi non stiamo certo con le mani in mano in queste ore».

È guerra di nervi, insomma. E di numeri. E c’è chi vive come un incubo i prossimi passaggi: il ddl intercettazioni in caso di voto segreto o di fiducia, il Def, il decreto sviluppo: il governo potrebbe andare sotto per un incidente «in qualunque momento», convengono tutti. Ma Scajola assicura che, se accadesse, non sarebbe lui il Bruto: «Qualunque mossa io possa compiere, la farò a viso aperto. Non sono uno che ha paura, io».

Paola Di Caro

 

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Maggioranza, Berlusconi perde i pezzi
Pisanu e Scajola: “Governo d’emergenza”

Il premier ostenta ottimismo, ma nel Pdl cresce il fronte dei favorevoli all’esecutivo di transizione: “Questo non è in grado di affrontare la crisi”. Intanto il presidente Napolitano evoca il precedente storico dell’esperienza Pella alla fine dell’era De Gasperi

TIZIANA TESTA
ROMA
– “In questo momento c’è bisogno di mettere insieme le forze migliori”. E l’ora di pranzo quando il deputato del Pdl Claudio Scajola esce allo scoperto, spiegando il perché degli incontri in corso tra i deputati della sua area. La sera precedente, al ristorante della Galleria Alberto Sordi, è stato a cena con una quindicina di parlamentari della sua corrente. Si dice che i fedelissimi dell’ex ministro dello Sviluppo siano pronti a scrivere un documento, da consegnare al Cavaliere. Forse non ancora per chiedergli un passo indietro, ma almeno per ottenere un Berlusconi bis, allargato ai centristi. Che punti sul decreto sviluppo per recuperare i consensi. Una fronda, comunque, guardata con sempre maggiore sospetto dal premier.

Gli scajoliani – secondo alcuni retroscena – si sono fatti i conti: il Pdl, in caso di voto anticipato, prenderebbe al massimo 120 deputati. In quel caso – fanno sapere – sarebbero promossi quelli del cerchio magico, i vertici, i coordinatori regionali e qualcun altro dei fedelissimi. Mentre a loro toccherebbero le briciole. Ecco dunque la parola d’ordine: allargare la maggioranza alle altre forze moderate del centrodestra.

Passano poche ore e fa sentire la sua voce un altro autorevole malpancista del Pdl. L’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, che dice: “Questo governo non è in grado di reggere il peso enorme della crisi che si è abbattuta sul nostro Paese”. E poi auspica “la nascita di un nuovo governo

che unisca gli italiani e ci porti a conclusione della legislatura. Perché le elezioni anticipate sarebbero un male, nuocerebbero all’economia del paese”. Non è la prima volta che Pisanu fa questi discorsi, più volte ha evocato un esecutivo di larghe intese con un nuovo premier. Ora, però, nel palazzo si parla di manovre di avvicinamento tra i parlamentari della sua area e gli scajoliani. Insomma, una convergenza che comincia a diventare pericolosa per il Cavaliere.

Anche perché c’è una terza fronda all’orizzonte. Il malessere di tre deputati dei Cristiano popolari guidati da Mario Baccini: sulle intercettazioni, hanno suggerito al Pdl di evitare il ricorso alla fiducia.  Senza dimenticare che, nelle ultime ore, si parla di un drappello di 3-4 deputati pidiellini tentati dall’idea di lasciar il partito per iscriversi al gruppo misto sulla scia di Santo Versace.

Una serie di manovre che Francesco Storace, segretario nazionale della Destra, bolla senza appello: “Tornano a muoversi le truppe democristiane dentro il Pdl per far fuori Berlusconi. Dopo Fini, Pisanu e forse Scajola. Cavaliere, avevamo ragione o no alle politiche del 2008 ad avvisarti?”.

Ma c’è un altro segnale preoccupante per Berlusconi. I dissidenti del centrodestra – a partire da Pisanu – oggi hanno ripetuto un nome evocato dal capo dello Stato: Giuseppe Pella. “Il suo governo di tregua non durò molto ma servì”, ha detto Giorgio Napolitano durante la sua visita a Biella 1. Ma chi era costui? Democristiano lontano dai giochi delle correnti, ministro degli Esteri e del Bilancio, ricevette l’incarico di formare il governo dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi nel 1953, dopo il flop della “legge truffa” voluta da De Gasperi. La Dc, allora, era in grande difficoltà e il governo monocolore di Pella raccolse ampi consensi: lo votarono i partiti di centro e i monarchici, il movimento sociale si astenne. I socialisti di Pietro Nenni, pur votandogli contro insieme al Pci, promisero che lo avrebbero giudicato volta per volta. Toccò a Pella affrontare una crisi difficile come quella di Trieste.

Tutti coloro che guardano al governo di transizione – nel centrodestra e nell’opposizione – hanno recepito queste parole come un segnale. O, almeno, hanno iniziato a far circolare questo nome come un mantra. E d’altra parte, al di là delle parole rassicuranti pronunciate dal premier in mattinata (“con Tremonti c’è concordia assoluta 2, siamo uniti, andiamo avanti”), dal vertice di maggioranza a palazzo Grazioli è arrivata un’altra altra indicazione negativa: il rinvio del decreto per lo sviluppo 3al 20 ottobre e della nomina del Governatore di Bankitalia addirittura a novembre. Sintomi di una crescente debolezza: si tratta infatti di decisioni cruciali che – per una volta – competono direttamente alla responsabilità del premier. Ma Berlusconi non riesce ad affrontarle a cause delle divisioni nella maggioranza.

Neppure Bossi, d’altra parte, sembra disposto più a fare sconti. “Durare fino al 2013 è obiettivamente complicato”, ha detto. Si  voterà l’anno prossimo, fa capire il Senatur. Magari dopo aver varato una nuova legge elettorale.

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