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Cortei vietati. La prima volta della Fiom

Lo ha detto il segretario generale della Fiom Maurizio Landini, durante una conferenza tenutasi oggi pomeriggio spiegando che la manifestazione dei lavoratori Fiat e Fincantieri si terrà ugualmente e sarà chiesta piazza del Popolo come luogo della protesta, essendo stata indicata dal Comune una delle piazze possibili per manifestazioni stanziali. Se non ci sarà l’autorizzazione nemmeno per piazza del Popolo dopo il no ad altre proposte di corteo, ha detto Landini, “occuperemo piazza del Popolo”.

La Fiom, riferisce ancora Landini, ha comunque fatto buon viso a cattivo gioco: “abbiamo proposto un corteo da Piazza Partigiani a Bocca della Verita’, passando per il Circo Massimo. Il sindaco, pero’, ci ha detto che i corteo si potevano fare solo fuori dal I Municipio.
Allora abbiamo chiesto di poter partire da Piazzale Flaminio fino a Viale Mazzini, sotto la sede della Rai e ci hanno negato anche questo”. Se a questo si aggiungono “le dichiarazioni di Maroni sulla fideiussione, ci si rende conto che si vuole impedire ai lavoratori che stanno perdendo il loro posto di lavoro di manifestare e questo e’ inaccettabile”.

La nostra redazione così commenta:

Quello sollevato da questa vicenda è un problema molto serio. E politico. La Questura di Roma, anche stamattina, aveva confermato il divieto di corteo per la Fiom, che venerdì 21 ha convocato a Roma una manifestazione nazionale dei lavoratori Fiat e Fincantieri.

Il problema è serio perché segna un salto di qualità importante nei rapporti tra potere e opposizione sociale. La Fiom non è un’associazione studentesca, o gruppo politico di piccole dimensioni o un sindacato di base snobbato o guardato con sospetto. Non gli si può insomma attribuire lo stigma dell'”inaffidabilità”. E’ l’organizzazione di categoria dei metalmeccanici della Cgil, il nucleo fondatore della stessa Cgil, 110 anni fa. E’ un pezzo rilevante delle “istituzioni”, un pilastro dei “corpi sociali intermedi” che hanno fin qui tenuto insieme base sociale e assetto sindacale e politico di questo paese.

E’ la parte più conflittuale della Cgil, il cuore pulsante della sua “sinistra interna”. Ma è e resta la categoria industriale più importate della Cgil e dello stesso paese. Vietare una manifestazione a questa organizzazione non è una “cosa normale”. E’ una rottura dai tratti apertamente golpisti.

Da compagni, militanti e sindacalisti abbiamo più volte espresso sia solidarietà alle sue iniziative, sia critiche a certe sue prese di posizione. Qui siamo però oltre le colonne d’Ercole della “normale” lotta politico-sindacale. Che lo stato – e il fascista che è stato eletto a sindaco di Roma solo grazie al “regalo” fatto dal Pd, candidando quel baciapile di Rutelli – tenga fermo il divieto di manifestazione e corteo per la Fiom ha un significato generale che non ci può sfuggire. Significa che in questo paese – non solo a Roma, evidentemente – diventa impossibile esercitare il diritto a esprimere il proprio dissenso, garantito dalla Costituzione. Nessun altro soggetto conflittuale può più sentirsi estraneo a quel che sta succedendo. Quel divieto parla a tutti e noi. E ci interroga tanto quanto interroga la Fiom.

Cui in questo momento rivolgiamo la dovuta e piena solidarietà.

Resta in campo una domanda: come ci si muove in una situazione in cui nulla di quel che facciamo serve a cambiare l’orientamento dell’avversario? Che sia l’azienda (Marchionne lo ha ripetuto anche stamattina: “scioperare o protestare è inutile”), che sia il governo, chi ha il potere ha chiuso occhi e orecchie alle istanze sociali. In Italia come in Grecia, dove un anno e mezzo di scioperi generali e scontri di piazza assai più robusti di quelli di S. Giovanni non sono riusciti a cambiare le decisioni di un governo (socialista, per di più) che ha ormai soltanto la “troika” come referente cui dar conto.

La democrazia è a rischio perché le decisioni più importanti (la politica economica e la guerra) sono ormai fuori della portata di una stato “solo nazionale”. La “politica”, insomma, non ha più il margine operativo in cui manovrare e fare scelte “sensibili” alla domanda che sale dalla società. Vada al governo Bersani o Casini, Vendola o Fini, non cambia letteralmente nulla. E un potere “che non sente” è un potere pauroso e quindi pericoloso. Di qui nasce la logica del divieto di manifestare. Qui deve essere battuto.

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Francesco  Piccioni
DIRITTO DI MANIFESTARE
Alemanno ordina, questura esegue: divieto confermato

Una riunione della Direzione Fiom per decidere cosa fare davanti all’incredibile divieto di manifestare emanato dal sindaco di Roma, l’ex neofascista Gianni Alemanno. Contatti frenetici si sono susseguiti per tutta la giornata, sia con il ministero dell’Interno che con il Comune. Alla fine ognuno è rimasto fermo sulle proprie posizioni.
Alemanno ha messo su la faccia da duro invitando «la Fiom a organizzare una manifestazione stanziale e ad adeguarsi alle regole fissate nell’ordinanza». Ossia da lui stesso, che giura di aver vietato «tutte le manifestazioni» previste nel primo municipio (il centro storico), persino «una processione e una manifestazione di Forza Nuova».
Ma è chiarissima l’intenzione tutta politica di sfruttare il clamore degli scontri di sabato per varare quel «giro di vite» sulle manifestazioni che proprio Alemanno ha più volte accennato senza mai riuscirci. In un’intervista rilasciata a un giornale nazionale, ieri mattina, giustificava la sua decisione in modo chiaramente politico: «quando ho visto che venerdì la Fiom voleva organizzare un altro corteo, come se nulla fosse successo, ho temuto che si potesse ripetere una situazione non governabile, qualcosa di simile a sabato scorso». Un’enormitò che dovrebbe far arrossire chi l’ha pronunciata, e a cui i dirigenti dei metalmeccanici hanno risposto immediatamente: «bisogna gestire la piazza e impedire che i violenti entrino nei cortei; se c’è un’organizzazione in grado di fare questo è proprio la Fiom».
Le tute blu hanno valutato altre opzioni, decidendo infine per due manifestazioni in un solo giorno. La mattina nella già «concessa» piazza Esedra. Il pomeriggio, invece, un corteo da piazzale Flaminio fino alla Rai di viale Mazzini. Nella serata di ieri è stata presentata «regolare richiesta» alla questura di Roma. Di risposte ufficiali, al momento di chiudere, nemmeno l’ombra. Ma voci «ufficiose», da S.Vitale, riferiscono di una volontà di «impedire qualsiasi corteo a Roma». Messa così, è una violazione costituzionale del diritto di manifestare. Un passetto avanti verso il regime. Forse non è inutile notare che il «più grande partito d’opposizione», ovvero il Pd, aveva previsto un corteo per il 5 novembre. Ma ci ha già rinunciato, accettando i diktat di Alemanno.

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Francesco Piccioni
Tute blu
«Di sicuro noi faremo un corteo»
Democrazia a rischio: Alemanno e la questura blindano il divieto di manifestare a Roma. I metalmeccanici non intendono «cedere alla paura» Contatti con il ministero dell’interno e con il Comune di Roma per la manifestazione nazionale dei lavoratori Fiat e Fincantieri, venerdì. La Fiom non rinuncia. Intervista a Giorgio Airaudo

Difficile ricordare una situazione del genere, per la Fiom. Ma Giorgio Airaudo, segretario nazionale con la delega per l’auto, ne ha viste tante e non si scompone.
Allora, confermate la manifestazione?
Certo! Mai pensato di non farla. I lavoratori degli stabilimenti Fiat hanno diritto di ricevere risposte. Sia quelli che vengono ora esternalizzati, come alla Irisbus di Grottaminarda; sia quanti sono da tempo in cassa integrazione in vari stabilimenti e chiedono di sapere quando e con quali prodotti ricominceranno a lavorare; sia quelli, come a Pomigliano, che hanno già subito un pesante taglio dei diritti.
Eppure la politica insiste nel divieto…
L’idea che ci si spaventi e si rinuncia a manifestare sarebbe un ulteriore risultato regalato a chi sabato ha sabotato una grande manifestazione, una negazione del diritto di protesta a quanti stanno ora subendo e pagando la crisi. Questa classe politica è due volte debole. Non sa rispondere alle domande dei giovani indignati che guardano al futuro e non sa rispondere nemmeno ai lavoratori che devono difendere il proprio lavoro.
Quindi farete un corteo?
Di sicuro faremo un corteo. Noi siamo rispettosi delle leggi e delle istituzioni, ma quando le istituzioni sbagliano nel prendere decisioni glielo diciamo. Il sindaco di Roma, Alemannno, appartiene a una classe politica che non sa come rispondere alla crisi e si rifugia nei divieti. Chissà se farà lo stesso con quelli di Casa Pound… Noi non vogliamo che su una vicenda importante come la libertà di manifestare possano sparire le ragioni dei lavoratori Fiat e di Fincantieri. Questa ragioni riguardano 70.000 persone e famiglie e vogliamo renderle visibili, venerdì.
Fiat e Fincantieri, trasporto su gomma e navi…
Noi vogliamo sollevare la questione della mobilità sostenibile. Sta andando in crisi l’aeronautica (Alenia), la cantieristica, la produzione di treni, bus, auto… Rischiamo di perdere la produzione di tutto ciò che fa «trasporta» il paese e di dover poi acquistare quel che serve da turchi, francesi o altri.
Ponete il problema di una politica industriale?
Sì, ma non generica. Facciamo proposte concrete: produrre qui tutto quel che serve a far muove collettivamente il paese, magari in modo meno energivoro. Vogliamo una torsione al modello di sviluppo, perché perdere o svendere determinate produzioni significa impoverire il paese. Potremmo dire che manifestiamo a difesa del «made in Italy» nel trasporto.
Ma questa classe politica è in grado di realizzarne una?
Se la piattaforma dei lavoratori deve comprendere anche la difesa del diritto di manifestare, è segno della paura la classe politica di fronte alla crisi. Se l’unico modello che sa proporre è quello del divieto, non si va lontano.
Tu sei torinese e domenica si pone lo stesso problema anche in Val Susa…
Intanto non si può accostare la lotta della Valle ai comportamenti intolleranti e violenti. Lì abbiamo un movimento inascoltato da quindici anni. Che si è chiesto se conviene o no trasportare le merci con l’alta velocità, se i soldi ci sono o no e se, con la crisi, finiranno a metà strada; se è utile o dannoso dal punto di vista ambientale ed energetico. L’unico interesse che è stato difeso dalle istituzioni è quello dei costruttori di grandi opere. Ma non si può trasformare in problema di «ordine pubblico» tutto quello che non si sa come risolvere. La Valle ha molti argomenti, anche scientifici a proprio favore. Deve e saprà farlo senza cadere in trappole.

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Alessandra Fava – GENOVA
DIVIETI
Fincantieri non ci sta
«Confermiamo la mobilitazione, il diritto allo sciopero non si tocca» Gli operai della cantieristica pronti alla manifestazione. A Genova 50 ore di stop contro il piano industriale

Con la scusa degli scontri di sabato scorso, la questura per ora ha deciso di negare l’agibilità della piazza alla Fiom. Insomma la manifestazione nazionale dei lavoratori di Fincantieri e delle aziende in appalto e di quelli della Fiat, organizzata per venerdì prossimo a Roma, non s’ha da fare.
Davanti al diktat, la Fiom Cgil non vuole desistere e come dice il segretario dei metalmeccanici Maurizio Landini, «continueremo a chiedere di poter fare il corteo, è necessario per noi manifestare a maggior ragione dopo ciò che è accaduto sabato quando non è stato colpito il potere ma il nostro diritto di manifestare».
Roma chiama e Genova risponde: «Ci negano il corteo. Noi ci presenteremo ugualmente», dicono alla Fiom genovese. «Confermiamo la manifestazione. Ci presenteremo in piazza della Repubblica e vedremo», spiega Bruno Manganaro, «qui si colpisce un diritto dei lavoratori. Il diritto allo sciopero non può essere messo in discussione». Lo sciopero nazionale con corteo a Roma s’inserisce nelle agitazioni delle scorse settimane che, degli otto cantieri dell’azienda statale, ne hanno coivolto soprattutto tre: Genova, Castellamare di Stabia ed Ancona. Qui i tentativi di accordi separati per ora non sono andati a buon fine.
A Genova Sestri ponente, i lavoratori hanno occupato il cantiere per cinque notti in due settimane, fatto cortei e presidiato binari ferroviari, fino all’incontro col presidente della repubblica Giorgio Napolitano. In tutto hanno superato le 50 ore di sciopero contro un piano aziendale abbozzato, ritirato, poi ripresentato all’inizio dell’estate, che prevede di fatto la cancellazione del cantiere genovese. «Con la scusa del ribaltamento a mare, ribaltano noi», diceva un rsu di fabbrica, «col restyling del cantiere a marzo rischiamo di restare in 50 a guardare il mare, mentre altri 750 finiscono in cassa integrazione». Per di più sarebbero licenziati in tronco anche migliaia di lavoratori dell’indotto (solo a Genova le stime variano tra i 3 mila più spesso presenti in cantiere per arrivare addirittura a 10 mila se si contano anche quelli che si occupano di arredi e rifiniture e magari stanno pochi giorni o poche ore sulla nave in costruzione).
Per gli operai ormai il meccanismo è chiaro. Lo riassume uno degli operai genovesi, in cassa integrazione con la prima tranche di 120 persone: «La Lega cerca di portare lavoro alle grandi imprese del nord avvantaggiando Monfalcone e Marghera. E noi non possiamo fare la lotta tra cantieri. Alla fine non vince nessuno, anzi si crea una situazione di ricatto. In pratica ti dicono: se volete lavorare vi beccate un po di esuberi. Ci costringeranno a un contratto spalle al muro come a Pomigliano».
Gli accordini separati altrove hanno funzionato alla grande. Nei giorni scorsi a Riva Trigoso e Muggiano la stragrande maggioranza dei lavoratori ha detto sì all’accordo firmato da Cisl e Uil per mandare via, come esuberi volontari, 280 lavoratori in quattro anni. «I lavoratori continuano a darci ragione», ha commentato il segretario generale della Uilm di Genova, Antonio Apa, definendo «dogmatiche» le posizioni della Fiom. Nonostante questo stamattina la Fiom volantinerà fuori Riva e Muggiano con un testo che dice «non c’è nessun futuro, se i lavoratori dei vari cantieri si dividono».
È proprio contro quelle spalle al muro, Pomigliano e l’articolo 8 della finanziaria, che la Fiom ha indetto lo sciopero di venerdì, per ribadire il no alla chiusura di siti e cantieri e ai licenziamenti e chiedere un tavolo nazionale e un vero piano industriale fondato sulla diversificazione produttiva e investimenti nelle tecnologie.
Le ricette sono note: ripensare la mobilità via mare, cercare finanziamenti europei per la rottamazione delle vecchie navi, varare un vero piano industriale nazionale che preveda anche commesse pubbliche.
Ma il governo latita e al momento l’unica notizia uscita in un silenzio assordante è che il vicepresidente della commissione Ue responsabile per la politica industriale, Antonio Tajani, incontrerà gli operatori della cantieristica navale, in vista di una seduta del consiglio dei ministri per la competività europea all’inizio di dicembre.

da “il manifesto” del 19 ottobre 2011

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