Il ministro orwelliano del “lavoro” – concetto che mai ha dovuto subire tante offese pratiche come sotto il suo dicastero – ha sentenziato “basta creare tensioni sulla riforma del lavoro che possono portare a nuove stagioni di attentati”.
Sortita sorprendente solo per i gonzi. Il primo a creare tensioni in Italia, in fondo, è proprio lui.
Evicare il “rischio attentati” mentre si promette a milioni di persone che potranno perdere il lavoro basta che il loro imprenditore lo voglia significa una cosa sola: cercare di tappare preventivamente la bocca a ogni critica e contestazione.
E’ un tentativo vecchio, d nessuna credibilità, ma che riesce quasi sempre. A movimenti, ai soggetti sindacali e politici, agli esseri umani di questo paese, il compito di smontare le cazzate di chi vorrebbe stroncar loro la vita senza nemmeno ascoltare la loro protesta.
Il fatto che l’on. Ichino, del Pd, si batta come un leone per la discutibile primazia per “il più odiato dai lavoratori stabili e precari” di questo paese, la dcie lunga su una sola cosa: la dannosità dell’esistenza del Pd per chi lavora.
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da Repbbica 31 ottobre
Acqua sul fuoco da servizi e investigatori
“Nessuna ripresa della propaganda armata”
di CARLO BONINI
ROMA – Davvero il Paese è alla vigilia di una nuova stagione della lotta armata? Girate agli apparati della nostra sicurezza nazionale, le parole del ministro del Welfare raccolgono imbarazzati distinguo e qualche significativa informazione che aiuta, forse, a valutarne la sostanza. A cominciare dall’Aisi, la nostra intelligence domestica, dove una fonte di primo livello non usa perifrasi. “Se la domanda è: esistono informazioni specifiche su singoli o sigle che segnalano la ripresa della propaganda armata, allora, la risposta è un rotondo “no”. Queste informazioni non esistono. O, quantomeno, l’Aisi non ne ha trasmesse all’autorità politica. Se invece la domanda è se esistono, in questo momento, condizioni sociali e di piazza capaci di creare un terreno fertile alla propaganda armata, allora la risposta è “sì”. Ma in questo caso siamo non solo nel campo del buon senso, ma direi pure dell’ovvio. E’ la differenza che passa tra una notizia di intelligence, che al momento non c’è, e un’analisi della fase politica del Paese, che come tale ognuno è libero di valutare”.
La musica non cambia se si bussa a porte diverse. Il lavoro più recente del Ros dei Carabinieri, come quello dell’Ucigos (la Polizia di prevenzione), documentano certamente “un incremento significativo” dell’aggressività dell’area cosiddetta anarco-insurrezionalista, ma nulla che accrediti la possibilità, in tempi brevi, che questa possa diventare bacino di facile reclutamento di organizzazioni clandestine armate. “Quando si parla di precursori della lotta armata – ragiona un alto ufficiale dell’Arma – si fa indubbiamente riferimento a condizioni che oggi possono anche essere rintracciate nel quadro difficilissimo che sta attraversando il Paese. Ma quando dall’analisi si scende nella concretezza di ció che puó accadere di qui ai prossimi mesi, gli indicatori, sotto il profilo della prevenzione e dell’indagine sono altri. Faccio qualche esempio: la produzione ideologica, la scoperta di rapine di autofinanziamento, la rivendicazione di atti di violenza politica non di piazza, ma che alla piazza devono parlare. Ecco, questo quadro oggi è assente. E questo fa prevedere con ragionevole certezza che non siamo in una situazione in cui un’area di disagio sociale è pronta a passare armi e bagagli alla clandestinità armata. Quantomeno in tempi brevi”.
La cronaca giudiziaria testimonia che l’ultimo capitolo della lotta armata data il 2009. Quando le indagini della Digos e della Procura di Roma smantellarono “Per il Comunismo – Brigate Rosse”, struttura numericamente modesta e anagraficamente avanti con gli anni (gli arrestati furono Luigi Fallico, Bruno Bellomonte, Gianfranco Zoja, Riccardo Porcile, Bernardino Vincenzi, Manolo Morlacchi, Costantino Virgilio), che aveva deciso di rivendicare a sé l’eredità brigatista, firmando, il 20 settembre 2006, un attentato a colpi di mortaio artigianale alla caserma “Vannucchi” di Livorno, la casa dei paracadutisti della Folgore. A quella sigla e ai suoi militanti (Zoja e Porcile sono accusati di essere gli autori materiali dell’attentato di Livorno) si sta celebrando a Roma il processo di primo grado. Ma già in quell’esperienza “terminale” della follia armata – come le indagini prima e il dibattimento poi hanno documentato – era scritto l’isolamento politico degli epigoni brigatisti. Nelle risoluzioni strategiche di “Per il Comunismo – Brigate Rosse” si vagheggiava di una “avanguardia armata” di soli “generali”, che prescinde “dall’organizzazione delle masse sul terreno”. “Una condizione – chiosa una fonte qualificata della Polizia di prevenzione (che per altro continua a condurre indagini su ció che potrebbe ancora essere rimasto in piedi di “Per il comunismo – Brigate Rosse” – che in qualche modo non ci risulta si sia modificata”. E che dunque vedrebbe ancora oggi gli ultimi teorici della lotta armata sostanzialmente privi di esercito.
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