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Fuoco greco sull’Europa dei banchieri

“La paura che il referendum annunciato dal primo ministro greco, George Papandreou, sul piano di salvataggio messo a punto dall’Unione europea possa essere bocciato provocando il default dello Stato ellenico manda al tappeto i listini europei. Francoforte cede il 3,88%, Parigi il 3,65%, Madrid il 3,56% e Londra il 2,36%. Ancora peggio fa Milano (-4,68%), sotto pressione per il rialzo del costo del debito pubblico. Sotto shock anche la borsa di Atene che perde il 6,86%”.

Questo il lancio dell’Ansa intorno a mezzogiorno.

Poi la situazione è peggiorata ancora, con Piazza Affari che è arivata a perdere il 7%, mentre i futures di Wall Street annunciano un bagno di sangue anche oltre Atlantico. La causa fondamentale è il timore per la tenuta del debito dell’Eurozona dopo l’annuncio shock di Papandreou di sottoporre a referendum il piano Ue. Se l’elettorato greco dovesse bocciarlo salterebbe l’intera struttura di salvataggio messa a punto al recente vertice sulla crisi dell’Eurozona. In una nota, l’agenzia di rating Fitch afferma che un possibile respingimento del programma Ue-Fmi negoziato di recente dal Governo greco aumenterebbe il rischio di un default sovrano forzato e disordinato e potenzialmente dell’uscita della Grecia dall’euro. Entrambe queste possibilità avrebbero implicazioni finanziarie gravi per la stabilità finanziaria e la solvibilità di Eurolandia.

E’ una previsione sensata, anche se terribile per gli equilibri economici dell’Europa che conosciamo. E quindi del mondo, perché in un mondo globale non c’è un luogo sicuro, una posizione al riparo. Nemmeno per chi si arricchisce con la speculazione al ribasso.

E’ tutta la costruzione “tecnocraticia” dell’Europa a essere messa sotto accusa. E le reazioni di Francia e Germania, oltre che dei mercati, dimostrano che è proprio questo il primo bersaglio della decisione greca di andare a un referendum.

 

Un importante limite è stato dunque toccato. Sembrava che il governo Papandreou potesse andare avanti all’infinito nel raccogliere e obbedire alla imposizioni della troika (Ue, Bce, Fmi). Ma niente può durare per sempre. Non si può chedere a un popolo di suicidarsi per non disturbare l’ordinato scorrere dell’economia, né a un governo di prestarsi a fare da killer a tempo indeterminato.

Un importante limite è stato dunque toccato. Nel gioco di specchi della finanza globale, tra logge di finanzieri più o meno potenti, che giocano col destino dei popoli, degli stati e di ltri finanzaieri momentaneamente più deboli di loro, entra la variabile imprevista: un popolo che da un anno e mezzo non ha cessato un momento di lottare e che, a un certo punto, obbliga il proprio governo a chiedere un’autorizzazione a proseguire sulla stessa strada.

Un popolo dalla grande storia, dalle modeste dimensioni, dalla modestissima economia, rompe col suo “esser contro” la trama del nuovo ordine in costruzione.

E’ chiaro che Papandreou e Venizelos (il ministro delle finanze) sono arrivati a questa scelta anche perché la “cura” imposta dalla troika sta peggiorando la situazione, invece di migliorarla. Non c’è insomma solo un banale calcolo elettorale dietro una scelta del genere. Anche 18 mesi fa, al tempo delle prime “misure”, avrebbe potutto scommettere sulla propria fine politica. Troppo grandi e feroci i “sacrifici” cui era chiamato il suo popolo. C’è insomma qualcosa di più serio e importante: la “cura” non funziona. Anzi…

Non bisognava essere un Nobel dell’economia – scrivevamo qualche mese fa su queste pagine – per capire che tagliando la spesa pubblica in quelle dimensioni, privatizzando tutto il possibile e licenziando una percentuale enorme di dipendenti statali, si creava una recessione così pesante da vanificare il presunto beneficio dei tagli.

L’economia è fatta di “rapporti”, parola che significa tanto “proporzioni” quanto “relazioni”. Teoricamente tagliare le uscite è una soluzione rapida ed efficace. Poi, quando lo si fa (e lo si è fatto spesso, nella storia), ci si accorge che tra uscite ed entrate c’è un “rapporto” meno banale di quanto scritto sui manuali di macroeconomia (Giavazzi ne ha scritto uno, è tutto dire). E che tagliando le prime (spesa pubblica indifferenziata) può accadere di tagliare anche le seconde (tasse, contributi, ecc). Può accadere dunque che ci si avviti in una recessione che proprio a causa del “rigore” improvviso peggiori, avvicinando quel rigor mortis che un popolo non può accettare.

Dopo 18 mesi di scioperi e manifestazioni, con scontri ripetuti e violenti sotto il Parlamento, a piazza Syntagma (che – onore a Papandreou – non è mai stata dichiarata solo per questo “zona rossa”), anche il governo si è ritrovato a toccare con mano che c’è un limite.

“Facciamo come in Grecia”, ora, non significa più “facciamo casino e basta”, come veniva scritto sui giornali perbenisti di centrosinistra. Ora ha il valore di un’indicazione politica praticabile, che rovescia i termini del dilemma “debito”. Ora si può e si deve tornare in piazza e dire “noi il debito non lo paghiamo”. Siamo tutti più forti, oggi. E il fatto che le borse se ne lamentino è la dimostrazione che siamo dal lato giusto della Storia.

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Non per vanagloria, ma per necessità di verifica della solidità o meno delle analisi che vengono proposte – anche qui – consigliamo la lettura dell’articolo di tre giorni fa “L’autocandidatura di Mario Monti”. E poi guardate anche la tv, se volete…

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