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Governo con lo scotch, misure a metà

Del resto, la pressione concentrica ei mercati, della Ue, di Napolitano, Confindustria e bnche spinge per una crisi di governo a giorni, seguito dalla nomina di un “governo tecnico” incaricato di fare le “riforme vere” e una legge elettorale potabile.

La nota finale è ovviamente molto più ottimistica. «Il Consiglio dei Ministri, appositamente convocato in via straordinaria, ha esaminato un complesso di misure urgenti a sostegno della economia italiana nello scenario di una sfavorevole congiuntura che sta investendo l’Europa. A seguito degli indirizzi da parte della Banca Centrale europea e delle intese raggiunte nell’ultimo Vertice dell’Unione, il Consiglio ha in particolare approvato un maxi emendamento al disegno di legge di stabilità, che recepisce sul piano normativo gli impegni assunti dal Presidente Berlusconi nella sua lettera all’Unione europea del 26 ottobre scorso».

E Berlusconi si sarebbe mostrato molto convinto di sfangarla anche questa volta. «Domani spiegherò che entro 15 giorni ci sarà la legge che conterrà le prime misure per far fronte alla crisi e rilanciare lo sviluppo. Spiegherò che l’Italia rispetterà gli impegni presi con l’Europa». Lo avrebbe detto intervenendo in Consiglio dei ministri e spiegando che la lettera di impegni consegnata a Bruxelles sarà ‘divisa’ in tre provvedimenti: una parte nel maxiemendamento approvato stasera nel Cdm, il resto in un dl e un ddl.

Ad aprire la riunione del Consiglio dei ministri, a quanto raccontando alcuni presenti, sarebbe stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che avrebbe spiegato il motivo per cui non si è potuto procedere con un decreto legge. A quel punto, spiegano sempre alcuni presenti, a prendere la parola sarebbe stato il ministro Calderoli manifestando la sua contrarietà nello stoppare un decreto legge che, avrebbe detto, consente di dare una risposta immediata alle richieste dell’Europa. Dopo Calderoli sarebbe intervento il Cavaliere. Berlusconi non avrebbe nascosto la sua volontà di procedere con un dl spiegando però ai presenti che non era possibile andare avanti in quella direzione. Il capo del governo però avrebbe sottolineato che il cambio di strategia non gli impediva di fornire rassicurazioni ai ‘grandi’ che da domani saranno riuniti a Cannes per il G20.

 

Laconico e definitivo Umberto Bossi, che ha triturato in un attimo le speranze su possibili dimissioni spontanee del Cavaliere. «Inutile» chiedere al Presidente del Consiglio un passo indietro: «tanto non lo fa». Umberto Bossi liquida così, senza giri di parole, interpretazioni, indiscrezioni e speranze dell’opposizione per l’avvio di un governo di responsabilità appoggiato da una larga base parlamentare ma senza la guida del Cavaliere.

 

Il Pd è sempre lì. Pronto a votare qualsiasi governo, per fare qualsiasi cosa venga ordinata; o anche per entrarci, in un governo. Visione e strategia propri, nemmeno l’ombra. Per far fronte alla crisi e ai raid speculativi contro l’Italia, non basta più turarsi il naso e votare i provvedimenti del governo. «Il problema ormai è la credibilità di Berlusconi che rende inutile ogni misura», è la posizione che Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini esprimono nell’incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’opposizione si dichiara indisponibile a sostenere in Parlamento l’esecutivo mentre è pronta ad entrare in un governo di emergenza che si assuma la responsabilità di fare i sacrifici necessari a far uscire il paese dal tunnel. Dopo i contatti telefonici di ieri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto incontrare formalmente al Quirinale leader e capigruppo prima del Terzo Polo e poi del Pd.

Non ha ricevuto, invece, la chiamata, almeno fino a sera, il leader Idv Antonio Di Pietro che in passato non ha risparmiato critiche al Colle per non aver staccato la spina al governo.

Anche oggi, come racconta al termine del colloquio il leader Api Francesco Rutelli, Napolitano ha ribadito il suo ruolo di «garante delle regole della nostra democrazia parlamentare». E in questa veste il capo dello Stato ha chiesto alle opposizioni fino a dove si può spingere la propria responsabilità davanti alla crisi dell’Italia. Ma, a differenza dei mesi scorsi, l’opposizione non è più disposta a dare corsie preferenziali alle misure dell’esecutivo. «I sacrifici necessari – sostiene Casini – rischiano di essere inutili se non si rimuove il macigno principale rappresentato dalla mancanza di credibilità di Berlusconi nella comunità internazionale». Il Terzo Polo spiega al Capo dello Stato di non poter più appoggiare le «finte soluzioni» del governo mentre l’unica via per affrontare seriamente i problemi del paese è un governo di emergenza nazionale anche perchè, spiega il leader centrista, «molti nella maggioranza sono disponibili a lasciare perchè hanno capito che il problema è Berlusconi».

Un esecutivo «serio» di larghe intese, «con una guida credibile e anche con il Pdl», si spinge a ipotizzare Massimo D’Alema, è la «discontinuità» indicata anche dal Pd. Bersani, dopo aver riunito i vertici del partito, incontra per quasi un’ora Napolitano e dichiara che i democratici sono «pronti» ad un governo di transizione, retto da una personalità stimata a livello internazionale. E Mario Monti è l’identikit profilato dalle opposizioni anche se, assicura Casini, «nessuno ha fatto nomi». Una «scossa visto che siamo al passaggio più difficile per l’Italia dal dopoguerra ad oggi», chiede Bersani che sabato spera di riempire di bandiere italiane piazza S. Giovanni per dimostrare che «con un cambiamento l’Italia ce la farà».

Non esclude un governo tecnico, ma mette paletti come barricate, il leader Idv Antonio Di Pietro che non darebbe mai il via libera ad un esecutivo chiamato a «riforme che facciano macelleria sociale per far quadrare i conti», come, a suo avviso, è la lettera della Bce. Per questo, dopo aver in parte aperto alle larghe intese, in serata l’ex pm torna a chiedere che si vada al più presto alle elezioni.

 

Mentre starebbero per lasciare la maggioranza alcuni parlamentari. Sono al momento sei i deputati del Pdl ad aver firmato la lettera al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in cui si chiede un atto di discontinuità con l’allargamento della maggioranza. I nomi sono quelli di Roberto Antonione, Giustina Destro, Fabio Gava, Giorgio Stracquadanio, Isabella Bertolini e Giancarlo Pittelli. I parlamentari sono rimasti riuniti fino a tarda sera all’hotel Hassler a Trinità dei Monti. Ma i nomi nuovi, rispetto ai giorni precedenti, sono soltanto due.

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Ma cosa hanno infilato nei vari testi? Cosa c’è, nel merito? Anche qui le cose sono molto poco chiare.

Si parla di dimisioni di pezzi del patrimonio pubblico e di liberalizzazioni. Mentre ci sarebbe stata una chiusura netta verso le ipotesi di patrimoniale. Ma sono ipotesi non confermate.

Questa la situazione secondo Repubblica.

“Liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni, infrastrutture, dismissioni del patrimonio pubblico, piano Sud e piano lavoro (ma senza licenziamenti “facili” né tantomeno pensioni), smaltimento dell’arretrato della giustizia civile, credito di imposta per la ricerca, banda larga. Il menù del piano anti-crisi è sempre lo stesso. Scartate – per ora e dopo uno sfibrante braccio di ferro all’interno del governo – le proposte più dure ma che potevano garantire risorse (patrimoniale, prelievo forzoso sui conti correnti, condoni o sanatorie fiscali, ritorno dell’Ici sulla prima casa, rivalutazione delle rendite catastatali), che pure ieri sono circolate a più riprese, rimane il pacchetto “per lo sviluppo” maturato nelle scorse settimane, così come incluso nella lettera di intenti di Berlusconi al Consiglio europeo. Si tratta, in pratica, delle “100 cose a costo zero” che finiranno in un maxi-emendamento del governo alla legge di Stabilità, ora in commissione Bilancio del Senato, ma in aula a Palazzo Madama già la prossima settimana. E’ questo il veicolo scelto dall’esecutivo, dopo che l’ipotesi di un decreto legge è via via sfumata, anche per la posizione del Quirinale. Una soluzione che potrebbe assicurare l’approvazione definitiva per la metà di novembre.

Il pacchetto anti-crisi – l’unico risultato politico che il presidente Berlusconi e il ministro Tremonti porteranno oggi al G20 di Cannes – ricalca il cronoprogramma della lettera all’Europa. Incentivi fiscali (meno Ires e Irap) alle imprese che investono nelle grandi opere pubbliche (da individuare e accelerare). Dismissioni degli immobili dello Stato, a partire dalle caserme (entrate previste: almeno 15 miliardi nei prossimi tre anni). EuroSud, il piano per il Mezzogiorno che sbloccherà otto miliardi di fondi strutturali europei in scadenza entro dicembre (un tesoretto che fa gola e che in realtà potrebbe essere utilizzato non solo per il Sud). Incentivi per chi assume le donne disoccupate (contributi ridotti del 25% e altre agevolazioni legate alle aree dove è più forte il gap con l’occupazione maschile). Incentivi anche per il part-time, il telelavoro, il lavoro intermittente e accessorio se usato nel turismo e nei pubblici esercizi (settori a forte rischio di sommerso). E ancora: aumento di un punto percentuale nell’aliquota contributiva dei co. co. co e co. co. pro, contributi azzerati nei primi tre anni per le imprese fino a 9 dipendenti che assumono con il contratto di apprendistato. Credito di imposta per chi assume al Sud, ma anche per chi investe in progetti di ricerca e per chi assume ricercatori con meno di 30 anni e un dottorato o master (dell’80% nei primi tre anni se il contratto è a tempo indeterminato, dell’50% se è a tempo determinato e per ogni anno di durata del contratto).

Le stesse voci sono state raccolte anche da La Stampa. “Il pacchetto lavoro, riprendendo le misure indicate nella lettera trasmessa alla Ue, prevede i nuovi contratti di apprendistato per evitare forme improprie di occupazione dei giovani, il potenziamento dei contratti di lavoro part time per favorire l’ingresso delle donnne nel mercato del lavoro, la velocizzazione per il credito di imposta a favore delle imprese che assumono al Sud. Nel maxiemendamento sono entrate anche le norme per accelerare la realizzazione di infrastrutture. Si va dalla definizione di standard contrattuali tipo per facilitare il project financing alla defiscalizzazione (irap e ires) di alcune opere immediatamente cantierabili. Lo sconto fiscale sostituisce il contributo pubblico al finanziamento. Nel provvedimento anche misure sulle dismissioni del patrimonio pubblico e alcuni interventi di liberalizzazione”.

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Molto pù cruda la versione della Reuters, evidentemente meno sensibile alle “sensibilità” politico-economiche italiane e più vicina al sentiment dei mercati internazionali.

Il Consiglio dei ministri di questa sera ha deciso di non varare alcun decreto ma di varare le misure necessarie a rilanciare la crescita e ripristinare la fiducia dei mercati sul debito pubblico italiano con un maxiemendamento da presentare al Senato alla legge di Stabilità.

Lo ha detto ai cronisti il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani al termine della riunione durata circa due ore.

Cresce il caos su contenuti e contenitori delle misure. Palazzo Chigi ha dirmato un comunicato, al termine della riunione di governo, per dire che “eventuali testi in circolazione non corrispondono a quanto esaminato e approvato dal cdm”.

Più tardi è giunta anche la nota sui lavori, piuttosto scarna: “Il consiglio dei Ministri, appositamente convocato in via straordinaria, ha esaminato un complesso di misure urgenti a sostegno della economia italiana nello scenario di una sfavorevole congiuntura che sta investendo l’Europa. A seguito degli indirizzi da parte della Banca Centrale europea e delle intese raggiunte nell’ultimo Vertice dell’Unione, il Consiglio ha in particolare approvato un maxi emendamento al disegno di legge di stabilità, che recepisce sul piano normativo gli impegni assunti dal presidente Berlusconi nella sua lettera all’Unione europea del 26 ottobre scorso”.

LE MISURE APPROVATE, CDM “CONTRO UN MURO”

Le misure approvate riguardano la defiscalizzazione Ires e Irap per i concessionari delle grandi opere, la semplificazione burocratica per le imprese e il potenziamento dell’apprendistato come strumento per favorire l’occupazione, secondo fonti tecniche.

Una fonte ministeriale dice a Reuters che l’esecutivo questa sera “è finito contro un muro”.

Secondo quanto scrive sul Foglio di domani Giuliano Ferrara il muro al decreto sarebbe stato fatto dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed ora dover difendere l’emendamento in Senato “equivale a procurarsi lo spazio di manovra per lo smottamento del mondo berlusconiano”.

La soluzione alla quale si è giunti sarebbe dunque una sconfitta per il capo del governo. 

Se nel primo pomeriggio il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli aveva parlato di un decreto probabilmente affiancato da un disegno di legge e da un emendamento alla legge di stabilità, in serata l’ipotesi di decreto sembrava prevalere pur con la rigidità del ministro dell’Economia Giulio Tremonti che ha detto: o decreto o emendamento.

“Le strade sono due: o un decreto legge o emendamenti alla legge di Stabilità. L’una o l’altra”, ha detto Tancredi riferendo quanto detto da Tremonti in commissione.

A far vacillare l’ipotesi di decreto il Colle, secondo quanto riferito dal sindaco di Roma Gianni Alemanno.

Al termine dell’Ufficio di presidenza del Pdl riunitosi a Palazzo Grazioli, Alemanno ha infatti dichiarato che “l’orientamento è per un decreto legge. Ma c’è l’ostilità del Quirinale. Se riusciremo a convincerlo faremo il decreto, altrimenti faremo un emendamento alla legge di Stabilità”.

Silvio Berlusconi dovrà presentarsi domani al G20 di Cannes con un pacchetto di misure approvate dal governo per rassicurare i partner sulla serietà della lettera di intenti presentata la scorsa settimana a Bruxelles.

A confermare le parole del sindaco di Roma è anche il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, che ha risposto “sì” a chi chiedeva se torni prevalentemente in gioco la strada della legge di Stabilità.

Più cauto il ministro della Difesa Ignazio La Russa secondo il quale l’importante non è “lo strumento” ma che si arrivi a una legge approvata dal Parlamento che confermi la lettera che al momento porta solo la firma del premier. La Russa ha poi smentito che Napolitano si sia espresso sul decreto.

Le perplessità del Colle sul varo di un decreto potrebbero essere state legate al fatto che le misure prospettate non abbiano i necessari requisiti di necessità e urgenza.

DUBBI ANCHE SUI CONTENUTI, PATRIMONIALE SALTA 

Poco si sa finora sui contenuti. I contenuti dell’emendamento difficilmente toccheranno le misure più controverse come le nuove norme sui licenziamenti che hanno già scatenato lo scontro sociale. Più probabile che ci si limiti a inserirvi alcune modifiche del mercato del lavoro come le norme sull’apprendistato, la defiscalizzazione di Ires e Irap a favore dei concessionari di grandi opere, la rimozione di alcuni vincoli e restrizioni alla concorrenza e all’attività economica, in particolare nelle professioni e nei servizi. Altri capitoli potenziali possono essere riduzioni dei controlli sulle imprese.

Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha spiegato che “si va avanti con gli impegni presi nella lettera di intenti presentata all’Europa”, secondo quanto ha riferito il senatore del Pdl Paolo Tancredi al termine di un incontro in commissione Bilancio.

Esclusi quindi, almeno per il momento, interventi non esplicitamente indicati nella lettera di impegni presentata da Silvio Berlusconi il 28 ottobre all’Unione europea come l’imposta patrimoniale.

La patrimoniale “non ci sarà”, ha detto il sottosegretario al Tesoro Luigi Casero.

Sul fronte generale sono iniziate le consultazioni di Giorgio Napolitano al Quirinale sulla crisi: oggi ha visto le opposizioni e il ministro Tremonti, domani sarà la voglia di Pdl e Lega. Il Pdl andrà a dire che a Berslusconi non ci sono alternative. Del resto Andrea Ronchi, dopo avere pèranzato con il premier, ha detto che il Cavaliere “è determinato ad andare avanti”.

A complicare ulteriormente la situazione interna al Pdl le dichiarazioni di Maurizio Paniz, stretto collabolatore e avvocato di Berlusconi secondo il quale “il premier ha sbagliato”. E candida Gianni Letta e Renato Schifani alla leadership.

“Io ritengo che un segnale di discontinuità ad un anno e mezzo dalle elezioni, mantenendo salda questa maggioranza, potrebbe rappresentare un’evoluzione positiva in prospettiva, aiutando Alfano ad acquisire consenso, autorevolezza e prestigio, che possono essere determinanti per vincere le elezioni del 2013”, dice Paniz Sul sito ilNordest.eu .

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Molto informato invece anche il Corriere della Sera.

 

Premier-Tremonti, scontro totale

 

 

Chi si aspettava un Giulio Tremonti sul banco degli imputati, esposto al pubblico ludibrio, messo in croce dai suoi colleghi in maggioranza schiacciante contro di lui all’ufficio politico del Pdl nato e svoltosi come un vero consiglio di guerra, è rimasto un po’ deluso.

Un j’accuse , forse prevedibile, c’è stato: Renato Brunetta ha criticato duramente il collega, e più tardi lo ha fatto Fabrizio Cicchitto, ma Tremonti non c’era già più. Lui, raccontano, avrebbe replicato con un sorriso ai fendenti del titolare della Funzione pubblica, avrebbe ascoltato tranquillo le obiezioni di chi insisteva sulla necessità di varare per decreto le misure pretese dall’Europa, e avrebbe lasciato il gruppo prima di uscire per raggiungere il Consiglio dei ministri congedandosi da Berlusconi con un buffetto sulla guancia che somigliava a una carezza.
Misteri di un rapporto ormai da affidare a testi di psicologia, se è vero che nelle ultime ventiquattro ore – tra Berlusconi e Tremonti – è stata guerra vera. E come ancora i due possano fare parte dello stesso governo, e stamattina viaggiare sullo stesso aereo destinazione Cannes dove dovranno cercare di salvare il Paese in un drammatico G20, è uno degli interrogativi senza risposta plausibile della politica italiana.

Sì, perché anche ieri la giornata è stata scandita dai furiosi e gelidi botta e risposta dei due, da sfoghi: «Lui non mi sopporta più e io meno ancora di lui, è peggio di Fini – quello di Berlusconi -. Ma non mi importa, io mi rivolgerò al Paese e chiederò che vengano approvate le misure che servono per salvare l’Italia, indipendentemente da lui». Propositi bellicosi, che ancora una volta si sono infranti contro il muro di un accordo obbligato: si procede a piccoli passi, prima con un maxi emendamento (come voleva Tremonti ma soprattutto il Quirinale), poi più avanti con un decreto e dei disegni di legge. Decisione che ha fatto infuriare la Lega e cadere le braccia a Berlusconi e ai tanti ministri pidiellini convinti che anche stavolta Tremonti ci abbia messo lo zampino: «Ha fatto asse con il Colle per bloccarci!».

Sì perché è ormai da martedì notte che i due combattono una furiosa guerra, esplosa nell’infruttuosa riunione ministeriale che avrebbe dovuto fornire soluzioni tecniche che ieri sera ancora latitavano. A Tremonti, che di fatto bocciava ogni proposta dei colleghi e dello stesso premier, a un certo punto Paolo Romani si è rivolto a brutto muso: «E basta, dillo chiaro che vuoi mandare a casa il presidente!». «Io non sto dicendo questo», «Sì invece che lo stai dicendo». «Io sto dicendo – questo il colpo sferrato da Tremonti – che lunedì ci sarà un disastro sui mercati se tu, Silvio, resti al tuo posto e non fai un passo indietro. Perché il problema per l’Europa e i mercati, giusto o sbagliato che sia, sei proprio tu». Immediata la replica di Berlusconi: «No, il problema sei tu invece, sono tre anni che vai a sparlare in giro per il mondo del tuo Paese e del tuo presidente del Consiglio».

Parole che avrebbero provocato l’immediata rottura di un rapporto politico, in condizioni normali, anche perché giurano che perfino Roberto Calderoli (che anche ieri si è scontrato con Tremonti) avrebbe preso le distanze dall’«amico Giulio» sul punto. Parole che però non hanno impedito che ieri la scena si ripetesse su un copione simile almeno un’altra volta. C’è chi dice – e forse è leggenda – che i due siano arrivati a un certo punto quasi alle mani, chi descrive un confronto in questi toni: «Se avessi potuto fare il ministro come avrei voluto, oggi non saremmo a questo punto», la protesta di Tremonti a chi – compreso Berlusconi – gli rinfacciava di non aver saputo né prevedere né evitare la crisi, dunque non si capisce come «faccia Giulio – dice uno tra i suoi avversari – a pensare di poter fare lui il premier in caso di caduta di Berlusconi». E Berlusconi, di rimando: «Se avessi potuto io fare il premier come avrei voluto, tu non saresti il mio ministro!».

Ma al di là delle parole realmente dette o non dette, di vero c’è che il contrasto tra Berlusconi e Tremonti non è di quelli che si possono sanare. A Tremonti ieri veniva imputato il no di Napolitano al varo di un decreto legge, che sarebbe stato lo strumento più gradito a Berlusconi ma che invece vedeva contrario il ministro, in Consiglio rimasto tranquillo a leggere i giornali mentre i colleghi si chiedevano angosciati «perché Napolitano non vuole un decreto?!». La sua opinione l’aveva espressa in precedenza Tremonti, anche al Quirinale: «Non si possono mettere misure che per essere approvate necessitano 60 giorni: in due mesi si fa in tempo a smontarlo un decreto, e questo ammazzerebbe ogni credibilità del Paese». Con il maxi emendamento al decreto di Stabilità si capirà in tempi brevi se esistono i numeri in Parlamento per approvare le misure previste. Sempre che ci si arrivi a un voto a metà novembre, e che le grandi manovre che stanno terremotando il Pdl non costringano il premier a prendere atto subito di una crisi ormai nei fatti.
Paola Di Caro

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da “il manifesto”

 

Roberto Tesi
Il neo governatore Visco molla due schiaffi al governo
«La fiducia torna con il risanamento», sostiene Bankitalia invitando il governo a non perdere altro tempo. Ottimismo sul debito pubblico: è sostenibile anche con tassi in crescita

«L’impegno assunto in sede europea a ridurre il debito e avviare un ampio programma di riforme strutturali va onorato, con rapidità e coerenza»: è questo il messaggio lanciato da Vincenzo Visco, neo governatore di Bankitalia nella presentazione del «Rapporto sulla stabilità finanziaria» pubblicato ieri. Un invito rivolto al governo a poche ore dal consiglio dei ministri che in serata deve approvare le misure di risanamento da presentare al G20. Per Visco «il sistema bancario italiano non è fonte di instabilità. La sua posizione patrimoniale è solida: sarà ulteriormente rafforzata dalle iniziative in corso a livello europeo». Tuttavia, avverte il neo-governatore dalle analisi contenute nel Rapporto si evidenzia come il sistema stia subendo «i contraccolpi delle tensioni sul debito sovrano e del rallentamento congiunturale» Anche se queste tensioni investono anche gli altri paesi, in Italia si manifestano con maggiore intensità. Bankitalia appare moderatamente ottimista anche sui tassi di interesse. Da uno «stress test» effettuato dalla Banca d’Italia e contenuto nel Rapporto emerge che il debito pubblico italiano è sostenibile e rimarrebbe stabile, o in leggero calo, nei prossimi 2 anni anche se i tassi di interesse sui titoli di Stato arrivassero all’ 8% e la crescita fosse uguale a zero.
Per Bankitalia, invece, la situazione finanziaria delle famiglie italiane è nel complesso solida. Il grado di indebitamento è contenuto e la cospicua ricchezza complessiva è composta per la maggior parte da attività a basso rischio. Di più: il debito delle famiglie italiane rimane basso nel confronto internazionale ma, negli ultimi anni, è aumentato l’indebitamento soprattutto tra i nuclei a basso reddito. Nei prossimi mesi, segnala il Rapporto, i maggiori rischi per le condizioni finanziarie delle famiglie indebitate sono legati alla flessione della dinamica del reddito disponibile e a possibili ulteriori aumenti dei tassi di interesse.
Le imprese, invece, osserva il Rapporto, stanno risentendo dell’indebolimento dell’attività economica: i sondaggi presso le aziende segnalano aspettative di un peggioramento dei livelli di attività e delle condizioni di accesso al credito. Qualora queste aspettative si materializzassero, nel 2012 le condizioni finanziarie potrebbero peggiorare per molte imprese. In prospettiva i principali rischi per le imprese derivano dal rallentamento della congiuntura economica e da un peggioramento nelle condizioni di finanziamento conseguente alle tensioni sul fronte della raccolta bancaria. Quanto al mercato immobiliare, il Rapporto indica, sulla base degli indicatori prospettici, che le condizioni del mercato immobiliare italiano rimarrebbero stabili, pur in un quadro di incertezza.

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