Menu

La nuova Ue nasce a due velocità

E’ evidente che l’attuale assetto non riesce a rispondare in tempo reale ai problemi, così come “la sovranità” resta un limite all’azione congiunta. La direzione da prendere sembra quindi scontata: centralizzazione delle decisioni in un “gruppo più ristretto”, che comprenda solo una parte dei 17 paesi dell’area euro – quella direttamente “sotto attacco”. E il gruppo ristretto non può che partire da Germania e Francia (più la prima che non la seconda), accompagnate da Olanda, Lussemburgo, Finlandia. Ovvero da chi non ha in questo momento problemi di tenuta del debito pubblico. In questo momento…

 

*****

da Il Sole 24 Ore

 

Eurogroup ed Ecofin devono sciogliere cinque nodi intricati

 

«È davvero la fine?». È la domanda che campeggia sull’ultima copertina dell’Economist con una moneta da un euro infuocata in caduta libera. L’interrogativo risuonerà domani nelle sale del palazzo Justus Lipsius, la sede del Consiglio Ue dove si terrà la riunione dell’Eurogruppo, e mercoledì, quando la parola passerà ai ministri del’Economia e delle Finanze dei 27 Paesi Ue. Due riunioni per lanciare segnali di fiducia ai mercati e proseguire nel dialogo sulla governance economica europea in vista del vertice dei capi di Stato e di governo dell’8 e 9 dicembre. Se nelle ultime settimane il mantra ricorrente sui mercati era il nuovo acronimo «Eeg» (Everyone except Germany, cioè tutti tranne la Germania), oggi secondo gli analisti «l’asta flop dei Bund di mercoledì scorso ha fatto comprendere che tutta l’area è sul Titanic e nessuno è immune, nemmeno i primi della classe».
Il menu delle riunioni è composto da almeno quattro portate “ufficiali”: la proposta della Commissione Ue sugli eurobond, i dettagli sull’Efsf (il fondo salva-Stati), una governance economica più forte e la sesta tranche di aiuti alla Grecia. Dietro le quinte resta il dilemma sul nuovo ruolo della Bce come scudo di protezione dalla crisi del debito sovrano. Mentre il Commissario Ue agli Affari Economici, Michel Barnier, presenterà all’Eurogruppo una prima relazione sull’Italia.

Parte in salita il dibattito sugli eurobond, o stability bond come li ha battezzati l’esecutivo di Bruxelles nel Green Paper presentato mercoledì scorso, che ha però già incassato il nein di Angela Merkel. Tre ipotesi sul tavolo: la sostituzione completa delle emissioni di bond nazionali con garanzie in solido; un sistema misto con la sostituzione parziale delle emissioni nazionali e una terza formula, meno ambiziosa, che non blocca le emissioni nazionali. Solo le prime due richiederebbero una riforma dei Trattati europei. «Finora – sottolinea l’economista di Intesa Sanpaolo, Marco Rocchi – l’argomento degli eurobond era tabù, ma adesso esiste un documento di dicussione. A mio avviso, l’ultima ipotesi è quella che ha più possibilità di successo e potrebbe riuscire a convincere Angela Merkel. La Commissione Ue, infatti, scrive nero su bianco che questi stability bond potrebbero essere utilizzati da tutti i Paesi dell’area euro, anche al di fuori del contesto della crisi. Ciò significa, per esempio, la possibilità di intervenire caso per caso e si potrebbe immaginare un intervento a copertura di un’asta non andata a buon fine, come è successo proprio alla Germania».

L’Eurogruppo e l’Ecofin dovranno poi confrontarsi sul tema del fondo salva-Stati. «Il mercato – sottolinea Silvio Peruzzo, economista di Royal Bank of Scotland – chiede certezze e vuole numeri: i ministri devono riuscire a dare qualche punto fermo come la dotazione effettiva e chiarire le regole sul suo funzionamento». Lo scorso luglio, infatti, il Consiglio europeo aveva deciso di portare a 440 miliardi di euro la sua potenza di fuoco, permettendo al Fondo di acquistare titoli sul mercato primario e secondario, oltre a offrire linee di credito precauzionali. Il 26 ottobre il vertice Ue ne ha poi previsto un potenziamento portando la dotazione a mille miliardi, ma questa scelta è ancora da mettere in pratica.
Sullo sfondo resta anche da chiarire quale sarà il ruolo futuro della Bce: se l’Eurotower continuerà ad acquistare titoli di Stato o se potrà diventare prestatore di ultima istanza, come chiede per esempio la Francia. Nella conferenza stampa dopo il vertice a tre della settimana scorsa, Mario Monti, Angela Merkel e Nicholas Sarkozy hanno insistito sul l’«indipendenza» dell’Istituto guidato da Mario Draghi. Ma secondo il quotidiano tedesco Die Welt «si avvicina su questo fronte l’ora della verità», mentre per l’Economist «senza un cambiamento radicale al cuore della Bce e tra i leader europei si rischia la disintegrazione della moneta unica».

Dovrebbe invece essere vicino l’accordo sulla sesta tranche da 8 miliardi di aiuti alla Grecia (vedi articolo nella pagina a fianco). Il tempo stringe, perché tra il 16 e il 30 dicembre giungono a scadenza circa 8,1 miliardi di bond ellenici.
Il dialogo tra i 17 prima e i 27 poi riguarderà anche la necessità di un colpo d’acceleratore su una modifica dei Trattati Ue per un maggiore coordinamento delle politiche fiscali, con regole di bilancio più stringenti per i Paesi che sforano le regole su deficit e debito. Per i prossimi giorni sono già state preannunciate le proposte congiunte su questo fronte a firma Merkel e Sarkozy.

 

*****

 Accordo a tre per nuovo patto di stabilità europeo

dal nostro corrispondente Beda Romano

 BRUXELLES – A meno di due settimane dall’atteso consiglio europeo del 9 dicembre spunta l’ipotesi di una nuova governance economica da applicare a un numero limitato di paesi dell’Unione, con l’obiettivo di rafforzare l’integrazione politica della zona euro e rassicurare i mercati finanziari in piena crisi debitoria.

L’idea è stata rilanciata dal quotidiano tedesco Bild e ha trovato conferma da altre fonti. Francia e Germania stanno discutendo della possibilità tra le altre cose di rivedere il patto di stabilità, rendendolo molto più stringente di quello attuale. Anziché passare da una revisione dei Trattati, lunga e complessa, i governi stanno riflettendo ad accordi intergovernativi.

Il progetto è in una fase preliminare e non è ancora certo che possa andare in porto. Il modello è quello di Schengen, l’accordo firmato nel 1985 e con il quale alcuni paesi dell’Unione hanno liberalizzato il passaggio delle frontiere. Solo successivamente l’intesa è stata fatta propria da altri stati membri ed è entrata a fare parte dei Trattati.

«Bisogna fare attenzione perché rischia di segnare una differenza netta tra i 17 della zona euro e i 27 dell’Unione», avverte un diplomatico europeo. Il passaggio è delicato. Il governo inglese, tra gli altri, è combattuto tra il promuovere un’integrazione della zona euro necessaria per arginare la crisi e la paura che questa soluzione lo marginalizzi.

«I paesi devono presentare un impegno chiaro alla riduzione del debito e alla convergenza dei conti pubblici», ha detto oggi da Parigi Valérie Pécresse, ministro del bilancio e portavoce del governo. «Solo a quel punto le istituzioni europee potranno avere un ruolo pieno. Ciò vale per la Commissione, il Consiglio e la stessa Banca centrale europea».

La speranza francese è che un rafforzamento del controllo comunitario sui conti pubblici nazionali possa convincere l’istituto monetario a diventare prestatore di ultima istanza. Con un trasferimento della sovranità dalla periferia al centro, comprare debito pubblico sui mercati per rassicurare gli investitori diventerebbe meno controverso.

Nel contempo però sempre oggi fonti dell’Eliseo citate dall’agenzia di stampa Afp hanno spiegato che il presidente francese Nicolas Sarkozy non ha nessuna intenzione di «affidare poteri sovranazionali alla Commissione europea» nel controllo dei conti pubblici. La Francia apparentemente vuole che l’autorità rimanga almeno in parte nelle mani del Consiglio.

È probabile che la Germania abbia intenzioni diverse, visto che il cancelliere Angela Merkel ha parlato di affidare i poteri addirittura alla Corte di Giustizia del Lussemburgo. Le discussioni di questi giorni giungono mentre la crisi debitoria si sta rapidamente estendendo al cuore dell’Europa. I rendimenti italiani a due anni sono saliti oltre l’8%.

*****

 

Patti e piani segreti tra i potenti del mondo

Francesco Piccioni
“il manifesto” 27.11.2011

Francia e Germania vanno alla revisione dei trattati europei tramite accordi bilaterali. Il New York Times: “Le grandi banche mondiali preparano piani d’emergenza in previsione del crollo dell’euro”


Due notizie estreme nella stessa giornata. Per fortuna la seconda è indirettamente una risposta alla prima, così che gli effetti – come altre volte avvenuto – non si possono sommare.
La prima è arrivata dagli Stati uniti e aveva un «non so che» di terrificante: le 100 più grandi banche del mondo si stanno preparando a uno scenario in cui l’euro crolla. Riportata dal New York Times, non da uno dei tanti siti affetti da catastrofismo congenito, era peraltro la conferma di numerose voci che arrivano anche a noi dal mondo finanziario: «Asia e Usa stanno vendendo tutto quel che hanno denominato in euro». Titoli di stato dei Piigs, certo, ma anche azioni e bond societari.
Nei dettagli: Merrill Lynch, Nomura, Barclays, hanno diramato in settimana un fitta serie di report che prefigurano la necessità di approntare «piani di emergenza». La stessa Barclays ha condotto un sondaggio tra i propri clienti più importanti, da cui emerge la convinzione diffusa che almeno un paese (la Grecia, naturalmente) sarà obbligato ad uscire dalla moneta unica. Negli Usa le autorità hanno invitato le grandi banche basate negli States, a partire da Citigroup, a ridurre l’esposizione verso la zona euro. Fino alla nota «di colore»: il colosso tedesco del turismo Tui ha inviato alle catene alberghiere elleniche la richiesta di rinegoziare i contratti denominandoli in dracme (la moneta nazionale da tempo scomparsa), in modo da ridurre eventuali perdite dovute a un default greco.
L’analisi del Nyt sembrava poggiare su basi abbastanza solide: Standard&Poor’s ha abbassato il rating del Belgio ad «AA» per i problemi di riduzione del debito (in assenza di un governo vero e proprio da un anno e mezzo); i bond di Portogallo e Ungheria sono stati invece declassati a «spazzatura» e, problema ben più rilevante, la «tripla A» francese sta rischiando ogni giorno più seriamente. Ma si evidenziava anche un diverso atteggiamento tra istituti europei ed extraeuropei. I secondi «si preparano» a qualsiasi evenienza, mentre all’interno del continente ci si muove come se la cornisce monetaria non possa assolutamente cambiare. Del resta, spiegava in serata l’economista Giacomo Vaciago, «dall’euro esci comprando dollari, yen, sterline». Movimenti di cui non si vedono grandi riscontri.
Quasi in risposta a questi allarmi un po’ scomposti – che avrebbero potuto avere pesanti conseguenze sui mercati domattina – la tedesca Bild online rivelava l’esistenza di un «piano segreto franco-tedesco» per imporre rapidamente modifiche ai trattati europei, tali da permettere di sanzionare duramente i paesi «cicala». Indiscrezione di fatto confermata poche ore dopo dal portavoce del governo di Berlino.
In pratica, nel vertice europeo del 9 dicembre Merkel e Sarkozy presenteranno proposte comuni difficilmente rifiutabili. La modifica dei trattati, infatti, avverrà tramite accordi bilaterali tra diversi paesi – come del resto è avvenuto quando è stata creata l’area Schengen – che hanno già parametri economici abbastanza simili (loro due più Olanda, Lussemburgo, Austria e Finlandia). Mentre per tutti gli altri la porta resterebbe aperta per «aderire» in tempi successivi e solo accettando condizioni molto dure; controllo comune dei bilanci di ogni paese, perdita di sovranità in caso di sforamento, sanzioni e tagli automatici (peraltro già operativi da dicembre).
Il vantaggio di questa procedura sta tutto nella sua rapidità: niente lunghe discussioni «a 17», ma politica del fatto compiuto con un patto tra i «virtuosi». Bypassata completamente la Commissione, tra l’altro, e quindi rimossi anche i dissensi con Durao Barroso, sostanzialmente privato di poteri effettivi. 
Si potrebbe obiettare che questo piano non è poi così innovativo (introduce di fatto un’eurozona di serie A e una più periferica, con molti problemi irrisolti), né a prova di default di paesi comunque importanti. Ma allo stato – dopo due anni passati a imporre alle «cicale» (Grecia e Portogallo in primis) politiche di rigore che ne hanno aggravato il debito distruggendo al tempo stesso la loro capacità produttiva – non sembra ci siano idee migliori per «tranquillizzare i mercati». 
Nel frattempo, però, si scopre che i «virtuosi» hanno guadagnato molto dai problemi delle «cicale». Solo la Germania, infatti, ha risparmiato almeno 20 miliardi per gli interessi sui propri titoli di stato grazie alla fuga dei capitali dai bond a rischio verso quelli tedeschi. Anche la piccola Olanda ha fatto altrettanto, evitando di sborsare 7,5 miliardi. Ma è un gioco che non può andare avanti ancora a lungo. La forza economica e finanziaria della Germania (e dei« virtuosi») è stata esaltata dalla moneta comune. Lasciarla crollare, magari per garantire la rielezione a Frau Merkel, non sembra un colpo di genio…

*****

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *