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Acca Larentia non ricompone l’estrema destra

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Acca Larentia non ricompone l’estrema destra

Andrea Palladino

L’unità della destra fascista ieri, in via Acca Larentia a Roma, non è arrivata. Nella via del quartiere Tuscolano i gruppi della galassia nera sono sfilati alla spicciolata, alternandosi davanti al luogo simbolo del lontano 7 gennaio 1978, quando i ventenni Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni vennero uccisi. I primi due in un agguato rivendicato dai Nuclei Armati di Contropotere territoriale, all’uscita dalla sede dell’allora Msi; il terzo da un colpo di pistola esploso da un ufficiale dei carabinieri, durante gli scontri scoppiati subito dopo la morte dei due militanti missini.
Non c’erano i segni distintivi dei tanti gruppi del fascismo romano. Nessuna sigla, quasi a sottolineare come la commemorazione annuale di Acca Larentia sia una sorta di luogo comune, in grado di unire l’intera area, dalla destra del Pdl, fino ai gruppi neonazisti. E su questo puntavano i leader storici, cercando di sfruttare l’evento per ricompattare l’intera area “identitaria” romana.
La strage dei senegalesi di Firenze, l’operazione del Ros contro il gruppo Militia e anche il recente ferimento di Francesco Bianco hanno creato una situazione di tensione e di fermento che ha impedito l’operazione. La stretta via di accesso alla sede storica della destra capitolina di Acca Larentia ieri nel tardo pomeriggio conteneva uno spaccato forse unico. C’erano i volti storici del fascismo che ha attraversato gli anni ’70, quelli abbronzati dei borghesi dei Parioli, i volti duri degli ideologi del post-fascismo, le stesse firme che animano i blog e i siti carichi di odio per i migranti e dell’inossidabile antisemitismo. C’erano intere famiglie, con i bambini piccoli portati per mano a vedere quel luogo reso santuario dalle commemorazioni annuali.
Poi sono arrivati i giovanissimi, teste rasate e giubbotti, sguardi bassi e in silenzio. Due o anche tre generazioni, spesso con differenze accentuate. L’unica vera novità del raduno di ieri era la nuova lapide posta a ricordo della morte dei tre ragazzi romani: «Uccisi dall’odio comunista e dai servi dello stato». Tanto per riportare, almeno per un giorno, il clima e l’orologio al 1978. La piccola piazza di marmo bianco era poi illuminata come un palco, con le luci schermate dalle gelatine, ad sottolineare l’unica bandiera, nera, con la celtica. Poi la corona con la firma “La destra” e i manifesti con la solo parola «presente». Simbolismo e allestimento, per il senso di identità.
Da giorni sul sito d’area gestito da Ugo Tassinari si puntava a rilanciare la giornata del 7 gennaio. Il progetto era di organizzare un unico corteo da piazza Asti fino a via Acca Larentia, dove far confluire tutte – o almeno buona parte – le sigle della destra. Poi la richiesta – ascoltata – dell’associazione partigiani e dei partiti della sinistra romana di vietare, in un momento delicato come questo, un corteo apertamente fascista e il clima di certo non tranquillo nella galassia nera, con Casa Pound tesa a ritagliarsi un ruolo più istituzionale, non così lontano dal Pdl e dal gruppo Alemanno, ha fatto fallire il tentativo di ricompattare l’area “identitaria”.
Un estremismo che sta crescendo nella Roma di Alemanno, guadagnando spazio e visibilità. A fine serata è arrivata la benzina sul fuoco, sparsa da Storace e Gasparri, protagonisti di quel lontano 1978. Il capogruppo del Pdl al Senato ha invocato «la galera» per gli antifascisti colpevoli di slogan pesanti durante il presidio nella zona dell’Alberone, a meno di un chilometro da Acca Larentia. Il leader della destra, che sta preparando un corteo per il 4 febbraio, sta cercando di rimettersi alla guida dell’area estrema.

da “il manifesto”

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