Si sapeva che quella con i sindacati confederali non sarebbe stata una “trattativa”. Questo governo aveva già massacrato le pensioni senza dar neppure retta ai consigli che i “due complici e mezzo” (Cisl, Uil e la inutile Cgil camussiana) aveva serviziosamente cercato di fornire.
Ma questa è una presa per il culo che dovrebbe essere eccessiva perfino per loro (oddio, non è che non siano capaci di mndr giù anche questa…). La soluzione per la flexescurity sarebbe infatti nell’eliminare la cassa integrazione e la mobilità. Ovvero i due strumenti che fin qui hanno attutito gli effetti sociali delle crisi aziendali. Lasciare in vita soltanto la cassa integrazione “ordinaria”, e per un solo anno, significa far scomparire gli ammortizzatori sociali nel pieno della più grave crisi della storia.
La cassa “ordinaria”, come ricorda giustamente il primo articolo che qui riportiamo, copre soltanto le crisi aziendali “temporanee” (per fenomeni stagionali o eventi eccezionali, come un’alluvione). Tutto il resto reterebbe totalmente sgurnito.
La presa per i fondelli più intollerabile arriva ancora una volta dalla “piagnona” Fornero. Che da una parte parla di “reddito di disoccupazione” (comunque in una forma più limitata nel tempo e meno “ricca” come assegno mensile), dall’altra premette candidamente che “non ci sono i soldi” per questo genere di mini-ammortizzatore sostitutivo.
Per fortuna che c’è uno sciopero generale già proclamato…
p.s.
da leggere assolutamente il “retroscena” da Repubblica. Se davvro la Fornero dice quel che c’è scrito, nessuno poi potrà far finta di “non aver capito in tempo” quel che è in programma.
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Professori delle tre carte. Dopo aver a lungo menato la danza della «riforma del mercato del lavoro», che doveva però andare «di concerto con la rimodulazione degli ammortizzatori sociali», addirittura vellicando sogni europei come il «reddito di disoccupazione», il governo ha mostrato la faccia feroce di chi – dei senza lavoro perché le aziende chiudono – sostanzialmente se ne infischi. O peggio.
Vediamo i dettagli. Il governo ha messo sul tavolo «i titoli» – come si dice in gergo – di cinque capitoli contenenti le linee guida del progetto governativo: tipologie contrattuali, formazione e apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali, servizi all’impiego. Ma solo di alcuni si è appreso qualcosa di attendibile. Al momento di entrare a palazzo Chigi il ministro del welfare Elsa Fornero aveva spiegato che nella riforma ci sarebbe stato anche uno «schema di reddito minmo». Peccato che «richiede risorse ora non individuabili», e quindi verrà approvata ma «l’applicazione sarà dilazionata». Insomma: una riga di inchiostro su carta, non un diritto esigibile.
Ma questa era anche l’unica «buona notizia». Per «riforma» degli ammortizzatori sociali – cassa integrazione e mobilità – il governo intende la loro sostanziale cancellazione. Oggi abbiamo tre tipi di cassa integrazione. L’ordinaria (per imprese industriali ed edilizia) entra in azione per sospensione dell’attività produttiva, può durare fino a un anno, con l’80% del salario, pagata dai contributi di aziende e lavoratori. La straordinaria, invece, scatta anche per altri tipi di imprese (editrici, commercio, trasporto aereo, ecc) e copre le crisi aziendali vere e proprie: ristrutturazione, riconversione, riorganizzazione, crisi e «procedure concorsuali» (fallimento o liquidazione). Può durare anche 24 mesi (36 al centro, 48 al sud) ed è egualmente finanziata da imprese e lavoratori. Quella in deroga, infine, è stata introdotta da Sacconi per coprire – nella crisi – anche quei settori che non usufruivano delle prime due forme; copre anche apprendisti, interinali, ecc, ma è a carica della fiscalità generale dello Stato.
A seguire c’è anche la mobilità, al 60% del salario, dalla durata variabile a seconda dell’età del lavoratore o del territorio di residenza. Una serie di salvagenti straordinari – pensati per aiutare le imprese, non tanto i lavoratori – che si sono però rivelati preziosi in questi anni di crisi per evitare di avere milioni di disoccupati per strada. E relativi problemi sociali.
Cosa hanno pensato i geniali «tecnici» scelti dall’alto dei cieli europei? Che è meglio ridurre tutto a una sola forma: l’ordinaria, con durata 52 settimane. Anche se l’azienda chiude. Poi «si pensa» a «un’indennità risarcitoria» o al «rafforzamento del sussidio di disoccupazione». Per cui, «purtroppo», non ci sono soldi. Quindi non esiste il sussidio… Facile previsione: nel solo 2012, avremo tra i 300 e i 500mila disoccupati in più. E non un solo posti di lavoro nuovo.
Essere presi per i fondelli non è simpatico, ma i «professori» sono stati capaci di andare oltre. Può essere ammesso, ma non concesso che il lavoro flessibile (ci si riferisce all’insieme dei 48 contratti precari, ma in modo «dolce e suadente») possa essere reso più caro, invece che abolito. E che l’incentivo alla «stabilizzazione» del rapporto di lavoro sia affidato alla defiscalizzazione degli oneri contributivi. Certo, per una schiera di ministri che ripete continuamente di voler creare «opportunità per i giovani» sarebbe più coerente se prevedesse una drastica eliminazione di quei contratti, lasciando alla «stagionalità» i mestieri di bagnino e di maestro di sci.
Ma è il terzo pilastro della struttura illustrata ieri i punto più preoccupante: il contratto calibrato sul ciclo di vita. Se siete abituati a diffidare delle formule verbali fantasiose, fate bene a preoccuparvi. Il ministro Fornero è stata parca di contenuti e ricca di immagini: «serve un contratto che evolve con l’età», «piuttosto che contratti nazionali specifici che evolvono per ogni età». La sovrabbondanza di riferimenti all’«evoluzione» suggerisce la scomparsa di meccanismi contrattuali certi e validi per tutti. Ai tre anni del «contratto di ingresso» – una sorta di apprendistato, ma senza godere di alcun diritto (a parte un «risarcimento» proporzionale alla durata del lavoro) – seguirebbe non l’attuale «contratto a tempo determinato» ma una sorta di terra di nessuno. Bisognerebbe infatti capire fino a quale età si può essere assunti con l’«ingresso», perché per un 50enne sarebbe una presa in giro eccessiva.
Nell’insieme, dunque, scompare la «norma contrattuale nazionale» – il principio giuridico dell’egualianza di trattamento – e viene adombrato il «contratto su misura». Berlusconi, nel 2001, ci aveva fatto un pensierino, chiamandolo «contratto Internet» o individuale. Poi ripigò sul più casareccio «lavoretto».
Ma, almeno, tutta questa storia ha fatto accantonare la fissazione per l’art. 28? Ma quando mai. Il premier è stato chiaro: «non può essere un tabù». Per chi è abituato alla logica, vedendo che il governo presenta le proprie proposte come immodificabili, diventa chiaro che i «tabù» sono esattamente i bersagli che si prefigge di colpire.
da “il manifesto”
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«Cig più breve e indennità unica»
di Davide Colombo
ROMA – La riforma del mercato del lavoro non si farà per decreto ma dovranno essere garantiti tempi brevi, 3 o 4 settimane al massimo. E sull’articolo 18 il confronto dovrà avvenire «senza tabù», per trovare una soluzione giusta, che vada bene agli italiani ma che sia anche condivisa e compresa in Europa. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha aperto così il lungo incontro in Sala Verde, a palazzo Chigi, tra Governo e parti sociali; otto le delegazioni presenti, quattro dei sindacati e quattro per le imprese.
Un incontro che arriva dopo due settimane di confronti bilaterali tenuti dal ministro Elsa Fornero e che, come richiesto dai sindacati, si è aperto anche ai temi della competitività e dello sviluppo, tanto è vero che al tavolo erano presenti, oltre al titolare del Lavoro, anche i colleghi Corrado Passera e Francesco Profumo, e il sottosegretario Antonio Catricalà. Al centro le nuove norme sui contratti ma anche sugli ammortizzatori sociali, con una con una stretta che lascerebbe in campo solo la cig ordinaria e i sussidi di disoccupazione con indennità risarcitorie nei casi di licenziamento.
Il Governo vuole fare questa riforma e la vuole fare «incontrando la volontà di tutte le parti». Per questo al termine del confronto, durato quattro ore, l’interpretazione prevalente dei ministri è quella di un dialogo bene impostato e che ora procederà nel merito. Elsa Fornero ha sintetizzato in un testo scritto le linee guida della riforma, un documento che poi non è stato distribuito (lo sarà tra una settimana al massimo, dopo le ulteriore limature) per non incardinare subito un confronto che resta delicatissimo. Si parte dalle tipologie di contratti esistenti, da razionalizzare, e si procede con l’apprendistato e la formazione, i nuovi modelli di flessibilità da legare alla produttività, gli ammortizzatori sociali, appunto, e i servizi per l’impiego, anello debole che sui territori dovrebbe gestire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e che tutte le parti sociali, negli incontri bilaterali, avevano chiesto di riesaminare. Sono cinque i punti indicati, ma si trova un accordo su quattro aree tematiche che, secondo Raffaele Bonanni sintetizzano meglio le questioni da affrontare in altrettanti tavoli tecnici. Fornero ha anche proposto un metodo innovativo per procedere sui contenuti: scambio di mail e conference call prima di ritrovarsi tutti attorno a un nuovo tavolo. Non si sa se si procederà davvero così viste le perplessità di qualcuno (Susanna Camusso, per esempio, ha detto di preferire un negoziato classico).
Nel merito il ministro ha ripetuto di non essere favorevole o contraria alle diverse proposte circolate di contratto unico o prevalente, con protezioni crescenti per i neo-assunti e oneri a carico dei datori per la copertura del periodo di ricollocamento in caso di licenziamento. Fornero ha invece rilanciato quella che potrebbe diventare la base di partenza della riforma: «Occorre un contratto che evolva con l’età dei lavoratori piuttosto che contratti nazionali specifici che evolvono per tutte le età». È l’idea del contratto «graduale» con cui si era aperto il ciclo degli incontri delle ultime settimane, con l’aggancio al «ciclo di vita» dei lavoratori tanto caro al premio Nobel Franco Modigliani, un modello che secondo il ministro sarebbe capace di meglio garantire con flessibilità in entrata e in uscita la massima partecipazione di giovani, donne e over-55, i soggetti con il più basso tasso di occupazione e la più elevata inattività. Il ministro ha parlato anche di misure «innovative per le nuove assunzioni», di flessibilità più costosa e di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato attraverso la graduazione degli sgravi contributivi anche in rapporto alla formazione svolta.
L’altro tasto riguarda gli ammortizzatori sociali. Il modello cui si deve puntare, tenendo conto della compatibilità di finanza pubblica, è quello di «un sistema integrato su due pilastri»: la cassa integrazione per le riduzioni temporanee di attività e un sostegno al reddito per chi ha perso il lavoro esteso su una platea più ampia di lavoratori. Per la cassa straordinaria si profilerebbe invece un graduale addio. Riproposto anche lo strumento del «reddito minimo» magari da prevedere in una fase più avanzata, fuori dalle secche della recessione.
da Il SOle 24 Ore
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La Fornero e la riforma del welfare. “Sui licenziamenti sarò radicale”
Il ministro traccia la rotta della trattativa sul lavoro. “Servono soluzioni condivise ma sull’articolo 18 mi fermerò dove me lo chiede Monti. Non andrò a sbattere come il comandante Schettino”
di CLAUDIO TITO
“NON bisogna avere tabù. Perché l’Europa ci impone vincoli forti. Ma io so dove fermarmi, di certo non andrò a sbattere come il comandante Schettino. E comunque non scenderò mai dalla nave”. Elsa Fornero sa che la riforma del lavoro sta lentamente diventando la principale sfida del governo. Da affrontare e risolvere rapidamente. Sa che la questione dell’articolo 18 non può essere discussa come una semplice questione tecnica. E che il suo progetto dovrà essere un mix equilibrato di coraggio e prudenza: con “soluzioni condivise”. Con qualche aspetto “più radicale” rispetto alla possibilità di licenziare entro i tre anni, ma senza ricorrere a tutti i costi al “contratto unico”.
Concetti che ha ripetuto costantemente nelle riunioni con il suo staff e con Mario Monti. E anche nell’incontro di ieri a Palazzo Chigi. Che, era la sua prima preoccupazione, avrebbe dovuto raggiungere un primo obiettivo: non trasformarsi in un “detonatore” di polemiche e di scontri senza fine. Un esito che, al di là del merito dei provvedimento, avrebbe bloccato sul nascere qualsiasi tentativo di raggiungere un’intesa. Non a caso il ministro del Lavoro ha preparato l’avvio della trattativa ufficiale con le parti sociali mettendo a punto uno schema che non prevede bilateralmente “tabù” o “pregiudizi”. Ha incontrato i principali giuslavoristi raccogliendo idee e spunti. Ha visto professori come Boeri e Garibaldi o tecnici prestati alla politica come Ichino,
Damiano e Cazzola. E a tutti ha ripetuto: “Io sono autonoma e indipendente, non mi faccio influenzare da nessuno. Solo dal presidente del consiglio”. Un modo per chiarire che gli spunti circolati negli ultimi giorni non possono essere definitivi. Anzi, Fornero è alla ricerca di una strada originale. In grado di contemperare diverse esigenze.
Con tutti i suoi interlocutori ha ammesso che il “tema è delicato” ma anche che la ristrutturazione del mercato lavoristico costituisce un “vincolo inevitabile”. Ieri lo ha confermato ai rappresentanti delle forze sociali e soprattutto lo ha concordato il capo del governo. Quando, con i colleghi ministri e gli esponenti del sindacato, ha fatto riferimento all’articolo 18, ha cercato di evitare le barricate. “Bisogna costruire soluzioni condivise”, ripete da giorni anche se non nasconde con il viceministro e con gli uomini di Palazzo Chigi, che la sua idea è più decisa rispetto ad alcuni schemi ipotizzati: “La licenziabilità entro tre anni? Se possibile io sarò più radicale”. Se possibile, appunto. Perché non ha alcuna intenzione di forzare la natura della coalizione che sostiene l’esecutivo: “Se il presidente Monti mi dice fermati, io mi fermo”. Stesso discorso per l’articolo 18. L’obiettivo è “fare il possibile” cercando il massimo della mediazione. Sapendo che a “Bruxelles ci chiedono provvedimenti più netti” e nello stesso tempo avendo la consapevolezza che non si può andare a sbattere su uno “scoglio come il comandante Schettino”.
Certo, il terreno che il governo percorrere resta friabile. Il Professore sa bene che un passo falso su questa materia non sarebbe facilmente assorbibile. Non si tratta solo di ritornare al modello della “concertazione” che al premier piace davvero poco (sebbene ieri è stata accoltala richiesta del segretario Cisl Bonanni di ridurre da cinque a quattro i tavoli tematici del confronto). Ma di non aprire una stagione di conflitto sociale più acuto e di non compromettere i rapporti con uno dei puntelli più saldi della maggioranza: il Partito Democratico. Il testo utilizzato ieri da Fornero, infatti, aveva un solo obiettivo: evitare incidenti. Avere un canovaccio per schivare tutte le potenziali incomprensioni. Poche cartelle stampate in sole tre copie: una per lei, una per Monti e una per Passera (che l’ha restituita alla fine dell’incontro). “Un buon testo”, l’ha definito il ministro dello Sviluppo economico sbagliando per la seconda volta il nome della “collega”: “Cara Emma”.
Nella definizione di una soluzione, però, il fattore-tempo non è secondario. Il premier ne è conscio. Non a caso lo strumento per approvare la riforma non sarà un ordinario disegno di legge: “uscirebbe massacrato dall’esame in Parlamento”. E questo nessuno se lo può permettere, nemmeno il Professore che proprio in queste ore è volato all’Eurogruppo di Bruxelles anche per poter confermare all’Unione che l’Italia – dopo la riforma previdenziale e i due decreti “Salva-Italia e “Cresci-Italia” – ha avviato anche la revisione del mercato del lavoro. Un nodo rimarcato con decisione pure nella famigerata lettera della Bce al governo italiano. Per questo l’esecutivo vuole una legge delega “da varare entro marzo”. Per stringere i tempi e applicare le nuove misure già in estate.
Del resto, Monti ha fatto della credibilità europea un elemento fondante della sua azione. Anche per questo, insieme alla Fornero, si è opposto alle pesanti correzioni che alla Camera erano state proposte proprio sulle pensioni. A cominciare dal rinvio al 2013. “E poi – è stato il ragionamento del presidente del consiglio e del ministro del Lavoro – come lo spiego a Fillon che si era mostrato sorpreso della rapidità delle nostre decisioni, che era tutto finto e che tutto slitta al prossimo anno?”. Accelerare, dunque, fare presto. Ma senza spaccare i sindacati. “Non ho mai avuto la tentazione di dividerli – ha confidato Fornero ad alcuni parlamentari – Perché dovrei andare avanti senza la Cgil? Io ascolto tutti e poi si decide”. E la parola d’ordine, scandita anche ieri durante al tavolo del confronto con Cgil Cisl Uil e Confindustria, “questo governo tecnico c’è per fare delle cose. Dobbiamo fare riforme che servono al Paese. Siamo qui per questo”.
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