Partiamo dalle constatazioni, intanto. Mania non è un economista, quindi per quantificare “il valore” della tutela dal licenziamento senza giusta causa deve ricorre ad anonimi “tecnici” (ma non stanno già al governo?). Premettendo che solo “apparentemente” non c’è legame diretto con lo spread.
Per quel che ne capiamo noi, non c’è alcuna relazione né economica né puramente finanziaria (stiamo parlando in fondo dei “differenziali di rendimento” tra i titoli di stato di due paesi con la stessa moneta). La possibilità di licenziare a piacimento, quindi la libertà “politica” dell’imprenditore di disporre del potere assoluto sulla forza lavoro, non ha quasi nessun effetto economico, in termini di crescita del Pil. C’è certamente un “disciplinamento schiavistico” dei dipendenti, che può portare un bricio di produttività in più nel senso banale che si possono imporre orari più lunghi, turni peggiori, intensificare i ritmi. Come spiegherebbe uno studioso della produzione, c’è quindi una possibilità in più di estrazione del “plusvalore assoluto”. Un vantaggio discreto per il singolo imprenditore, ma briciole in termini di Pil (per il buon motivo che la manodopera attualmente in produzione è già ora impiegata su intensità vicine ai limiti massimi).
La “produttività buona”, come direbbe la Fornero, quella che aumenta la competitività internazionale, viene invece dalla possibilità di aumentare l’estrazione del “plusvalore relativo”, quello che deriva da un salto tecnologico negli strumenti di produzione a seguito di investimenti in capitale fisso. Di cui non si vede traccia, né come investimenti pubblici (solo in infrastrutture, visto che allo Stato deve essere impedito per sempre l’intervento nell’economia e nella produzione) né privati.
Dunque, perché mai l’abolizione dell’art. 18 dovrebbe “pompare” la credibilità del nostro debito pubblico?
Per una ragione tutta e solo politica: si dimostrerebbe infatti che in Italia il movimento operaio è ricondotto pienamente a una condizione servile, flessibilizzato quanto un flusso di rifornimento, con lo stesso diritto di parola di una cassetta di frutta.
Cosa manca alla realizzazione di questo obiettivo? Il “sì” pieno e convinto della Cgil, principale sindacato italiano, l’unico che mantenga ancora un briciolo di capacità di mobilitazione. Cisl e Uil, in due soli giorni, hanno già mollato ogni accenno di resistenza. La Camusso esita, consapevole che all’interno della sua organizzazione le perplessità – diciamo così – sono tante. Allo stato, da quel che esce da Corso Italia, un cedimento senza contropartite non sarebbe digeribile neppure per l’iper-burocratico Direttivo Nazionale (l’organo che conferisce al segretario generale il “mandato” a siglare qualsiasi accordo di carattere generele).
Come si fa a “convincere” tutta la Cgil che non si può fare altro che “cedere per senso di responsabilità nazionale”? Si spara questa stronzata dei 200 punti di spread da guadagnare via art. 18. Lo fa Repubblica, l’unico giornale che venga letto avidamente ai piani alti della Confederazione.
E sia. Ma perché lo fa Roberto Mania, che è giornalisticamente un “sindacalista”, non un “economista”?
Qui siamo nel campo delle ipotesi. E avanziamo la nostra. Gliel’ha chiesto la stessa Camusso, che in una botta sola può finalmente allinearsi a Bonanni e Angeletti adducendo una “motivazione nobile” per una decisione infame. Che questo poi consenta anche di commissariare, a breve, quei riottosi della Fiom, non può che essere una ragione in più.
Questo è la libera stampa, oggi.
“L´articolo 18 vale 200 punti di spread” il governo cerca la sponda europea
ROBERTO MANIA – la Repubblica | 07 Febbraio 2012
Cosa c´è dietro l´accelerazione dell´esecutivo sulla riforma delle norme sui licenziamenti Incassate le aperture di Cisl e Uil, Monti punterebbe a un richiamo Ue
ROMA – Spread e articolo 18. L´uno dipende dall´altro. Per far scendere il primo, bisogna intervenire sul secondo. Solo apparentemente non c´è connessione tra l´andamento dei titoli pubblici italiani e la norma dello Statuto dei lavoratori che tutela con il reintegro nel posto di lavoro il licenziamento senza giusta causa.
In realtà, quando il premier Mario Monti o il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, parlano del nuovo mercato del lavoro, pensano anche al grafico che registra l´andamento dello spread dei nostri Btp decennali rispetto al Bund tedesco. Sanno che hanno ereditato uno spread intorno ai 500 punti e che il 4 dicembre per effetto dell´approvazione della riforma del sistema pensionistico la distanza scese a 368 punti, il minimo da quando sono al governo. Ma ancora troppo (ieri i mercati hanno chiuso a quota 373 punti), segno che agli occhi degli investitori internazionali abbiamo recuperato credibilità, ma non completamente. Bene, la prossima discesa passa – secondo il governo Monti – da un intervento netto e chiaro sul mercato del lavoro compreso l´articolo 18. Perché questo può dare il segno della discontinuità e può “regalarci” – stando alle stime dei tecnici al tavolo del lavoro – altri duecento punti di affidabilità, quasi tornando alla situazione pre-crisi. E se arrivasse un nuovo “richiamo” da Bruxelles sul mercato del lavoro, il governo non sarebbe affatto scontento. La sponda europea è decisiva in questa partita.
Ne hanno ormai preso atto la Cisl di Raffaele Bonanni e la Uil di Luigi Angeletti. Scottati, proprio come la Cgil di Susanna Camusso, dalla decisione dell´esecutivo tecnico di varare la nuova legge sulle pensioni senza tener conto dell´opinione delle parti sociali. Così Bonanni e Angeletti hanno incrinato il fronte sindacale. Entrambi si sono detti disponibili a prevedere i licenziamenti individuali per motivi economici, escludendoli dalla protezione del reintegro previsto dall´articolo 18. Che – a questo punto – si limiterebbe a tutelare i licenziamenti discriminatori, cioè basati su valutazione che possono riguardare il sesso, le opinioni, la religione, la razza del lavoratore, e quelli senza giusta causa. Negli altri casi anziché il reintegro ci sarebbe un risarcimento economico (la Cisl propone fino a due anni di indennità di mobilità). Bonanni e Angeletti non vogliono essere esclusi. Vogliono essere della partita anche a costo di non ritrovarsi più a fianco la Cgil o di sorprendere la stessa Confindustria che non si aspettava un passo di questo tipo così presto. Significativa la battuta di Bonanni: «La Camusso? Non l´ho sentita, c´era la neve anche sulle linee telefoniche».
Ieri la Cgil ha riunito la Direzione. La Camusso ha detto che la trattativa è complessa e che si deve provare ad andare avanti cercando di conservare la fragile unità con Cisl e Uil. Resta, però, l´indisponibilità a interventi sull´articolo 18. Nessuno immagina accordi separati. Ma pure la Cgil è convinta che il governo non si fermerà. La Camusso: «Questo è un governo che spesso pensa di non dovere render conto a nessuno e quindi immagina di poter procedere anche da solo». Verso le decisioni «impopolari», come ha detto la Fornero.
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