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Incoesione sociale

La realtà dietro la propaganda di regime. L’eccellente lavoro congiunto tra Isatat e Inps, con i puri dati e riscontri incrociati, senza una parola più della nuda fotografia sociologica, “rivela” il mondo che conosciamo, l’esatto opposto di quel che i Monti, Napolitano, Fornero, Bersani, Berlusconi raccontano. Nulla di quel che viene fatto comprimendo la nostra condizione di vita servirà a migliorare la nostra situazione. Tutto deve servire a tenere in piedi un sistema – in cui la finanza ha in questo momento il predominio assoluto – che non riesce più a starci.

Il testo completo della ricerca, in due volumi più le tavole (zippate)


Incoesione sociale
Roberto Tesi

Si chiama «Rapporto sulla coesione sociale». In realtà, visto ciò che rivela, sarebbe meglio definirlo «Rapporto sull’incoesione sociale». Dallo studio (relativo – in generale – alla situazione nel 2010) elaborato da Inps, Istat e Ministero del lavoro emerge che i lavoratori italiani sono sempre più precari e discriminati. Ma non se la passano meglio gli ex lavoratori, cioè i pensionati: un pensionato su due ha un reddito, da pensione, inferiore ai mille euro. Di più: nel 2011, le donne guadagnavano in media il 19,2% in meno degli uomini. Quanto al lavoro, nel primo semestre del 2011, rispetto allo stesso periodo del 2010, gli occupati assicurati Inps sono cresciuti di appena 5 mila unità, ma solo il 19% dei nuovi rapporti di lavoro attivati poteva contare su un contratto a tempo indeterminato. Le cifre sono impressionanti: nel primo semestre 2011 sono stati attivati 5.325.000 nuovi rapporti di lavoro dipendente e parasubordina.Ma il 67% delle assunzioni è stato formalizzato a tempo determinato, mentre l’8,6% ha riguardato contratti di collaborazione e il 3% l’apprendistato. «Ciliegina» finale: 687 mila contratti hanno avuto la durata di un giorno.

Complessivamente i dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono diminuiti dello 0,5% (a 10,563.000 milioni). Ma dietro la flessione media si celano profonde differenze: la caduta è molto più ampia (7,9%) per i lavoratori under 30. Va meglio per le donne;. quelle con un lavoro tipico sono aumentate dello 0,5%, mentre per i maschi si registra una flessione dell’1,1%. Il lavoro a tempo parziale riguarda soprattutto le donne: nelle forme tipiche di part time, orizzontale verticale e misto, le donne rappresentano, nel 2011, rispettivamente il 74,2%, il 70,3% e il 76,7% dei lavoratori con contratto a orario ridotto.
Gli assicurati Inps dipendenti nella media del primo semestre erano 12.425.000 con una lieve crescita nel Nord Ovest (+0,7%) e nel Nord Est (+0,5%) e una variazione negativa nel Sud e nelle Isole (-1,4%). Ma sta diventando sempre più drammatica la situazione dei lavoratori con meno di 30 anni: negli ultimi 4 anno sono passati dal 21,4% al 17,6% del totale, mentre è cresciuto il peso relativo della quota femminile (dal 39,6% al 41,2%). Una aumento che tuttavia non si riflette sulle retribuzioni: le donne dipendenti guadagno in media 1.131 euro netti al mese, il 19,6% in meno rispetto ai 1.407 dei dipendenti italiani uomini. Va ancora peggio per i lavoratori immigrati: a fronte di una media di 1.286 euro al mese per il complesso dei lavoratori(donne e uomini italiani) la loro retribuzione netta è di appena 973 euro. Ancora di più rispetto agli italiani, il divario di genere penalizza le donne (788 euro) rispetto agli uomini (1118 euro).
Tornando ai pensionati, nel 2010 in Italia erano 16,7 milioni. Il 49,4% percepiva un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro, il 37,4% uno tra 1.000 e 2.000 euro, mentre il 13% dei pensionati ha un reddito da pensione superiore a 2.000 euro. Per i giovani da segnalare che sono 2,1 milioni, in Italia, i cosiddetti «Neet» (Not in education, employment or training), ovvero coloro che non lavorano né erano coinvolti in processi formativi. Il 38% dei «Neet» ha un’età compresa tra i 20 e i 24 anni e la maggioranza è costituita dalle ragazze (1,7 milioni) a fronte di 938mila ragazzi. Per le donne rimane difficile conciliare lavoro e casa: il 71,3% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne. In media, giornalmente, guardando all’insieme del lavoro e delle attività di cura, la donna lavora 1 ora e 3 minuti in più del suo partner.

da “il manifesto”

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