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Lo Stato contro la Val Susa, con l’alibi degli “anarchici”

dall’invito esplicito ai media a conformarsi alle direttive che vengono dal Viminale, dall’individuazione di movimenti popolari alla luce del sole come “nemici” da battere e dall’evocazione di “nemici invisibili” per criminalizzare quelli che altimenti non si riuscirebbe proprio ad incriminare.

«Ne discutono tra di loro, vogliono fare il salto di qualità, si parla di assassinio». Antonio Manganelli, capo della polizia, parla per esempio così degli “anarco-insurrezionalisti” per preparare meglio l’assalto alla Val di Susa. E il procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli, ha già fatto sentire il peso di una maxi-inchiesta in stile “anni di piombo” per arrestare un po’ di manifestanti in base a foto che li ritraevano nell’atto di lanciare un sasso. Con la novità – una vera “innovazione”, sul piano giuridico – di teorizzare l’inutilità di verificare se quel sasso avesse poi effettivamente colpito qualcuno. Una sottigliezza da azzeccagarbugli che aggira il nodo fondamentale di ogni accusa penale: la responsabilità è individuale. Caselli inventa invece una specie di “reato associativo” – far parte di un movimento, resistendo a una carica di polizia – consegnando così a qualsiasi repressore una nuova arma. Come se ce ne fossero poche…

Ma torniamo ai cosiddetti “anarco insurrezionalisti”. Da un lato la polizia dichiara di mantenere aperta un’attività gigantesca di intelligence. La “Direzione centrale della polizia di prevenzione”, l’ex Ucigos, monitora da 15 anni in maniera capillare qualsiasi movimento. Alcuni giornali mainstream spiegano con dovizia di particolari cosa faccia: “attività di intercettazione, di infiltrazione nei centri sociali, di intelligence con esponenti del movimento che hanno deciso di collaborare dall’interno” (più volte diversi compagni hanno denunciato queste infiltrazioni. In alcuni casi indicando anche per nome e cognome gli “agenti”. Ora arriva la conferma ufficiale, se così si può dire). Più, ovviamente, il web.

Dall’altra, però non si vede un solo arresto, una sola indicazione di “area” riferibile a questo peresunto movimento “organizzatissimo”. I pochi nomi buttati lì (“il centro sociale Askatasuna a Torino e Acrobax a Roma») non c’entrano chiaramente nulla, essendo tutt’altra la loro ispirazione culturale.

Quindi?

Non resta che registrare un’intenzione politica repressiva che lancia una serie di segnali diversivi per giustificare qualsiasi operaazione venga ritenuta “necessaria”. E la resistenza della Val di Susa, per il momento, resta in cima alla lista.

C’è anche un timing da rispettare, spiega lo stesso Manganelli. “Finora per la Tav ci siamo confrontati con forme di dissenso generalizzato, ma siamo alla vigilia delle prime azioni davvero invasive, quelle che porteranno agli espropri. Ora andremo a togliere i terreni, che peraltro sono stati venduti a centinaia di acquirenti, aumentando i destinatari delle notifiche e del dissenso”.

Una nuova fase dei lavori in valle, che prevede appunto l’esproprio dei terreni privati, spesso comprati da persone solidali con la resistenza dei valligiani, viene “accompagnata” da un innalzamento dell’”allarme” in modo da giustificare un attacco (già deciso, probabilmente) contro chi si oppone.

Il pensiero non può che andare alla manifestazione di sabato, in valle. La nostra solidarietà ai valligiani non può che crescere in proporzione.

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