Menu

Mercato del lavoro. Blitz in corso

L’indiscrezione, ancora una volta, è troppo precisa e dettagliata per essere inventata. Quando lo stesso Roberto Mania aveva scritto le stesse cose a proposito di un incontro segreto, con tanto di accordo, tra il ministro Elsa Fornero e Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, quest’ultima era insorta smentendo. E Repubblica aveva invece confermato.

Ora siamo ai fatti.

Secondo il giornale l’accordo c’è su tutto, meno che sull’art. 18. Le risorse per finanziare l’indennità di disoccupazione verranno dai “risparmi” garantiti dalla riforma delle pensioni. Si badi bene: da “una parte” di quei risparmi, che sono molto più alti e dolorosi per chi ha subito e soprattutto subirà le conseguenze di quei taglia. Come dire: resta tutto a carico di chi lavora, anche se viene prevista la “restituzione” di una piccola parte del maltolto.

La cifra indicata, oltretutto, è davvero ridicola: due miliardi. Due conti rapidissimi: se in un anno ci fossero due milioni di lavoratori a dover accedere a questo nuovo ammortizzatore, ad ognuno spetterebbero 1.000 euro l’anno. Bisogna infatti ricordare che l'”indennità di disoccupazione” illustrata da Fornero è di tipo universale; andrebbe cioè concessa a tutti coloro che perdono il lavoro – sia “stabili” che precari – fin quando non ne trovano un altro (massimo 12 mesi). Tenendo conto della dinamica occupazionale reale, con i precari che sono frullati via ogni due per tre, la cifra di due milioni di assegni non sembra dunque peregrina. Ma anche se si dovesse trattare di un solo milione l’anno, l’assegno relativo “volerebbe” alla mitica somma di 2.000 euro per dodici mesi.

Confermata anche l’intenzione ferma di abolire la “mobilità”, che in molti casi era servita ad “accompagnare” alla pensione quanti – con il licenziamento per crisi aziendale – non erano comunque ancora vicini all’età del ritiro. Da quel che si capisce, anche la cassa integrazione straordinaria viene sostanzialmente ridotta, a i soli casi di ristrutturazione. Tutto è però mandato a regime dal 2017, visto che c’è recessione in corso e la più preoccupata – fin qui – di mantenere gli attuali ammortizzatori sociali è stata proprio… Confindustria.

Il nodo dell’art. 18, nella ricostruzione di Repubblica, verrebbe aggirato in due modi: permettere il licenziamento per generici e autocertificati “motivi economici” (senza dunque la verifica ministeriale di uno “stato di crisi” e conseguente concessione della cig), nonché quelli per “motivi disciplinari”. Due “eccezoioni” che svuotano completamente la funzione deterrente dell’art. 18 e lasciano le mani completamente libere all’azienda.

Sul punto, per non mettere in imbarazzo Camusso e il vertice Cgil, il governo procederebbe autonomamente, senza “accordo firmato”. Con la garanzia che la Cgil, poi, bofonchierà pubblicamente un po’, ma non prenderà iniziative “vere”. Del resto, per fare capire bene da che parte sta, Camusso è arrivata a difendere esplicitamente la Tav, contro cui la Fiom – oltre a un movimento che si va allargando a tutta Italia – si è schierata apertamente.

I giochi sembrano fatti. Passato lo sciopero generale metalmeccanico, il panzer della controriforma che cancella il “modello sociale europeo” si rimette in marcia. E non vuol fare prigionieri.

Il pezzo da Repubblica:

 

Tesoro trova i soldi per gli ammortizzatori. Due miliardi dai risparmi sulle pensioni
Oggi l’incontro tra governo e parti sociali sulla riforma del lavoro. Vicino l’accordo su cassa integrazione, sussidi e contratto di apprendistato. Ma il nodo rimane l’articolo 18: il governo pensa di eliminare il reintegro obbligatorio in caso di licenziamenti per motivi economici

di LUISA GRION E ROBERTO MANIA

ROMA – Riforma del lavoro: si riparte. Oggi, il vertice fra governo e parti sociali potrebbe portare ai primi risultati, anche perché il tempo stringe (Monti ha confermato l’intenzione di chiudere la partita entro il 25 marzo) e alcuni nodi si vanno sciogliendo.

Quello delle risorse innanzi tutto. Per garantire il nuovo meccanismo di ammortizzatori sociali che entrerà in vigore dal 2017 servono coperture. Il governo le avrebbe trovate (due miliardi circa) attingendo ai risparmi che si otterranno dalla riforma delle pensioni. Il Tesoro, che voleva destinarli solo al risanamento, si sarebbe ora convinto a metterli sul tavolo: “Me li hanno promessi”, ha detto il ministro del Lavoro Elsa Fornero.

Il piano dunque si delinea: oltre alla cassa integrazione ordinaria (prevista per difficoltà temporanee) resterà in vigore anche quella straordinaria, ma sarà concessa solo in caso di ristrutturazioni, non più in caso di cessazione aziendale come finora previsto. Dal 2017 scomparirà la mobilità, ma continuerà ad essere versato l’assegno di disoccupazione.

Ma se sul piano degli ammortizzatori la trattativa procede e su quella dei contratti e dell’apprendistato sembra arrivata a buon punto (il governo sarebbe intenzionato a “stringere” oggi stesso), resta da risolvere il nodo dell’articolo 18 e della flessibilità in uscita. Il tema non sarà affrontato nel vertice di questo pomeriggio, ma nei prossimi giorni il ministro Fornero dovrebbe procedere con incontri bilaterali.

L’idea sulla quale il governo sta lavorando è quella di estendere l’indennizzo (senza l’obbligo di reintegro sul posto di lavoro) anche ai casi di licenziamento economico (legato a crisi in atto). Una versione più rigida potrebbe prevedere il solo indennizzo, e non la riassunzione, anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari (per esempio assentesimo).

Già si sa che se Cisl e Uil sono disposte ad aperture, la Cgil non accetterà mai modifiche di questa portata. I possibili scenari, a quel punto, sarebbero due: la Camusso non firma la parte riguardante l’articolo 18 (ma Cisl e Uil non saranno favorevoli ad assumersi da soli il peso delle nuove regole). Oppure le parti sociali non saranno chiamate a firmare il punto, ma esprimeranno solo il loro parere. D’altra parte il governo ha sempre precisato che, con o senza sindacati, la riforma si farà.

Apprendistato
Via alla certificazione per evitare gli abusi
E’ il capitolo sul quale sarà più facile trovare l’intesa, visto che sia le imprese che i sindacati già concordano sul fatto che il contratto d’apprendistato debba diventare – per i giovani – la forma d’ingresso prevalente nel mondo del lavoro. 

Questo pomeriggio il tema sarà all’ordine del giorno del vertice convocato al Ministero del Lavoro con le parti sociali. Il governo è intenzionato a potenziare questa forma di contratto, purché al lavoratore sia effettivamente data una formazione che gli consenta di maturare professionalmente. Per evitare che l’azienda utilizzi questa formula solo per risparmiare potrebbe essere quindi inserito l’obbligo di certificazione della formazione fornita. Il ministro Fornero ha più volte parlato di “tolleranza zero” verso l’uso improprio dell’apprendistato.

Di fatto l’azienda che assume un apprendista ottiene benefici contributivi e ha la possibilità di inquadrare il dipendente due livelli sotto il grado effettivamente spettante. Se poi l’impresa, alla fine del periodo di apprendistato, assumerà definitivamente il lavoratore potrà godere di ulteriori “sconti”. Secondo i dati di Confartigianato oggi gli apprendisti sono oltre 530 mila, nel lavoro dipendente il 19,5 per cento dei giovani già entra in azienda grazie a questo contratto.

Ammortizzatori
Sì alla Cig straordinaria per le ristrutturazioni
È uno dei capitoli centrali del piano e i punti fermi sono due: la riforma degli ammortizzatori sociali entrerà in vigore solo nel 2017 e per vararla necessita di coperture economiche. La convocazione di oggi nasce proprio dal fatto che il governo avrebbe trovato i fondi: il Tesoro sarebbe disposto a mettere sul tavolo circa di 2 miliardi, finanziati attraverso la riforma delle pensioni.

I risparmi ottenuti grazie alla nuova previdenza sono infatti notevoli: 6 miliardi saranno già disponibili dal 2013, circa 23 entro il 2017. Il governo – su richiesta del ministro Fornero – di sarebbe convinto di stornarne una quota vantaggio degli ammortizzatori. Le aziende e i lavoratori continueranno a versare la loro parte di contributi: per le medie-grandi imprese poco cambierà (anche perché dal 2017 non pagheranno più lo 0,30 per cento sul monte salari a copertura della mobilità), le piccole invece (chiamate ora contributi minimi) dovranno gradualmente versarne di più.

Quanto agli strumenti adottati, oltre alla cassa integrazione ordinaria (utilizzata in caso di difficoltà temporanea) resterà in vigore anche quella straordinaria. Sarà però limitata rispetto al modello attuale: le aziende potranno accedervi solo in caso di ristrutturazione, non più in caso di cessazione. Dal 2017 scomparirà la mobilità e resterà l’assegno di disoccupazione.

Contratti
Scoraggiati quelli precari, stop alle finte partite Iva
Assieme all’apprendistato, è uno dei punti sui quali il governo intende chiudere in fretta la partita, possibilmente oggi stesso. Parte degli obiettivi è già condivisa: le formule contrattuali sono troppe, va limitato l’uso di quelle improprie e va resa più costosa la flessibilità in entrata.

Nel mirino ci sono soprattutto le false collaborazioni (che spesso nascondono rapporti esclusivi) e le partite Iva fittizie (quando il dipendente, per svolgere l’incarico continuativo, è praticamente costretto ad aprirne una). Si tratta di formule utilizzate soprattutto nel campo dei servizi e sono definite, in questi casi, d’entrata “cattiva”, perché non assicura tutele e prospettive occupazionali ai lavoratori che invece ne avrebbero maturato il diritto. Per evitare il ricorso a queste formule “mascherate” si parla di intensificare i controlli nelle aziende e di eliminare la monocommittenza.

Resta però da risolvere il problema dei disincentivi: come rendere più costosa la flessibilità in entrata, “buona” o “cattiva” che sua? Ai sindacati l’idea di un costo aggiuntivo (anche a vantaggio del salario)piace molto, le aziende invece sono contrarie a qualsiasi introduzione di costi-extra. Chiedono semmai di facilitare l’utilizzo della somministrazione, eliminando alcune clausole che ne vincolano il ricorso.

Articolo 18
Obbligo della riassunzione solo nelle discriminazioni
Resta il punto più difficile della trattativa, tanto che il vertice di oggi non lo affronterà. Sull’articolo 18 la spaccatura resta, anche se il governo sta lavorando ad un compromesso. Nei prossimi giorni il ministro Fornero approfondirà il tema in confronti bilaterali, ma la soluzione che sta prendendo piede è quella di mantenere la norma dello Statuto dei lavoratori, cambiandola.

In un punto però essenziale: l’intenzione è quella di prevedere l’indennizzo – senza reintegro sul posto di lavoro – anche in caso di licenziamento per motivi economici, ovvero per crisi in atto. Si parla anche di una versione più rigida e di un possibile risarcimento senza riassunzione esteso ai licenziamenti per motivi disciplinari (assenteismo prolungato per esempio). Se così fosse l’articolo 18 e l’obbligo di reintegro da parte dell’impresa resterebbe valido solo per licenziamenti legati ad atti discriminatori.

Le aziende sono chiaramente d’accordo, possibili aperture da Cisl e Uil, chiusura totale della Cgil. Gli scenari possibili diventerebbero due: la Cgil non firma questa parte della riforma, gli altri sindacati sì (ma Cisl e Uil non sarebbero contenti di condividere da soli la parte più ostica della riforma). Oppure il possibile escamotage: le parti sociali non saranno chiamate a firmare, semplicemente esprimeranno un giudizio.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *