La prima a lamentarsi, Emma Marcegaglia, ha messo in evidenza che le misure previste sulla bozza di decreto presentata dal ministro Elsa Fornero – che pure lascia intatti i 46 contratti precari – “rappresenta un aumento del costo del lavoro”. Le pochissime misure previste per “stringere i bulloni” di alcune forme contrattuali precarie – quelle che puntano a stabilire contributi maggiori con cui finanziare l’Aspi – il nuovo assegno d disoccupazione che deve sostituire cassa integrazione mobilità – sarebbero infatti “insopportabili per le imprese”. Sono come sempre incontentabili, persino di fronte a una rifforma epocale che consegna alle imprese lavoratori spogliati di ogni diritto e possibilità di contrattazione.
Dal lato sindacale, invece, i problemi sono soltanto in casa Cgil. Camusso aveva provato ad aggirare il Direttivo nazionale – l’unico organo che autorizzato a conferire un mandato per la trattativa – convocando la riunione dei segretari di categoria e delle Camere regionali del lavoro, dove il solo Landini della Fiom era un oppositore dichiarato. Per la prima volta, infatti, la minoranza congressuale era stata esclusa prima ancora di iniziare la duscussione. Per sicurezza…
Nonostante questo meschino sotterfugio autoritario – che mette in luce la considerazione in cui sono tenute le procedure democratiche dall’attuale segretaria confederale, si sono manifestate numerose e veementi proteste da parte anche di alcuni “insospettabili” davvero non imputabili di estremismo. Ad esempio,come la segretaria di Torino, iscritta d’ufficio tra i falchi “pro Tav” (anche questo tema divide ormai la Cgil in alto e in basso). Soprattutto, pesa su Camuusso la certezza – in fondo l’ha spiegato lei stessa – che la firma su quell’orrore di”accordo” viene posta solo per non fa esplodere il Partito democratico. Il massimo del danno possibile il minimo di vantaggio possibile.A cosa serve, ormai, mantenere il cordone ombelicale con un grupo di capicordata impropriamente chiamato partito? Il risultato non la tranquillizza: lunedì la Fiom riunisce un Comitato centrale straordinario e mercoledì deve essere riunito il Direttivo, che Camusso sperava potesse limitarsi a ratificare una firma già messa.
Ora non si sa se andrà davvero così.Sia chiaro, alla fine si fa come l’Europa e Monti vogliono. – «La settimana prossima si chiuderanno le trattative sul mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali”, ha detto stamattina Mario Monti. Ma che non tutti svolga tranquillamente ha la sua importanza. Solo il silenzio assoluto – il vero sogno per cui sono stati chiamati i “tecnici” – è da temere.
Cpn qualche entusiamo di troppo, anche “il manifesto” registra il mal di pancia. Che è ,olto più consistente sul giornale di Cofnindustria.
La Cgil frena Camusso. La riforma non piace alla maggioranza
Loris CampettiSe giovedì le agenzie battevano notizie confortanti sull’esito della trattativa che vede tre prime donne in scena – Fornero, Camusso e Marcegaglia – al punto che la segretaria della Cgil parlava di passi avanti, ieri il messaggio inviato ancora dalla loquace Susanna Camusso lamentava arretramenti preoccupanti. Sta cambiando lo scenario oppure siamo al gioco delle parti? Qualche novità in realtà c’è e riguarda proprio la Cgil.Alla riunione delle strutture in cui la segretaria chiedeva un mandato per firmare l’accordo del secolo che avrebbe modificato l’art. 18 e sconquassato il sistema degli ammortizzatori sociali, il mandato non è arrivato, anche perché le regole di democrazia interna prevedono che il soggetto legittimato a concederlo è il direttivo nazionale. Ma è anche successo che, nell’incontro «informale» dei segretari di categoria e delle strutture territoriali, la Fiom si è opposta a qualsivoglia delega, per ragioni formali (la democrazia) e sostanziali (il testo sul mercato del lavoro è inaccettabile, non basterà un po’ di belletto a renderlo presentabile). Del resto, Maurizio Landini l’aveva gridato in piazza insieme a decine di migliaia di metalmeccanici che l’art. 18 non si tocca: cambiando il governo non cambia la musica.Se l’opposizione della Fiom poteva essere messa in conto, quel che Susanna Camusso aveva forse sottovaluto è il mal di pancia di settori importanti della sua maggioranza congressuale, l’unica rappresentata in segreteria nazionale. Dalla scuola al pubblico impiego, da Torino all’Emilia i dubbi sull’eventuale accordo con Cisl, Uil, Confindustria e governo sulla controriforma stanno crescendo. E i pensionati dello Spi si sono legati al dito un’altra controriforma, quella appunto sulle pensioni.La minoranza congressuale «La Cgil che vogliamo», per la prima volta tenuta fuori dalla riunione informale delle strutture, ha potuto dire il suo secco no soltanto attraverso le agenzie di stampa. Ma anche un’altra area congressuale, quella di «Lavoro e società» guidata da Nicola Nicolosi che aderisce alla maggioranza camussiana, sarebbe indisponibile a firmare una delega per la chiusura «positiva» della trattativa.Non è detto che i mal di pancia si trasformeranno in altrettanti voti contrari al direttivo nazionale convocato per mercoledì. Anche perché il metodo già sperimentato da Camusso in occasione di un altro accordo contestato, quello del 28 giugno sulle regole contrattuali, è la trasformazione del voto sul merito in un voto di fiducia sul gruppo dirigente. Dunque, la Fiom resterà ancora una volta sola?Non è detto, qualcosa si sta muovendo e nei prossimi giorni qualche novità potrebbe maturare. Quel che è probabile è che il cambio di ritmo di ieri della segretaria della Cgil, passata dal passo avanti al passo indietro, sia legato a due ragioni: la prima è politica e chiama in causa l’accordo con Monti dei partiti che sorreggono la maggioranza, sbandierato quasi come la conclusione della vicenda più travagliata di questo primo scorcio di secolo. Ma allora che ci stanno a fare le parti sociali?La seconda ragione è interna alla Cgil e rappresenta il tentativo di tener buoni i malpancisti. Fatto sta che il prossimo incontro tra un Monti probabilmente esultante e le parti sociali sarà martedì, un giorno prima del direttivo nazionale Cgil, e non è un caso che invece la Fiom abbia convocato per lunedì il comitato centrale.
E’ molto probabile che mercoledì Camusso si presenterà al suo gruppo dirigente con un testo un po’ meno brutale rispetto al feroce documento con cui Elsa Fornero ha aperto la trattativa. Difficilmente però l’art.18 sarà salvo, e al di fuori dei trucchi formali la coppia Monti-Fornero potrà gioire per essere riusciti a passare là dove Berlusconi era stato fermato. E potranno dire che con il consenso di tutti gli i partiti e gli attori sociali d’ora in poi per poter aumentare l’occupazione si potrà licenziare più facilmente. E che in piena crisi sociale e occupazionale gli ammortizzatori sociali saranno ridimensionati. Magari, in cambio, le forme contrattuali da 47 potranno scendere a una decina, o addirittura meno.
Ma questo è lo scenario peggiore, la partita è aperta, se non altro dentro la Cgil.
Più che una bozza un boomerangdi Marco Simoni
Le bozze di riforma del mercato del lavoro diffuse dal Sole 24 Ore in questi giorni lasciano molto perplessi. Nonostante le misure sugli ammortizzatori sociali si muovano nella direzione di un (molto) graduale cambiamento di regime, nel complesso emerge una chiara continuità con le politiche dei governi di centrodestra e centrosinistra degli ultimi dieci anni.
Primo, rimane una sostanziale frattura tra i contratti a tempo indeterminato e una vasta platea di rapporti di lavoro a termine. Non c’è nelle bozze alcuno sforzo di semplificazione tramite l’accorpamento o l’abolizione di alcune forme contrattuali, o la loro integrazione in un nuovo contratto a tempo indeterminato che valga almeno per i nuovi assunti (tutti, infatti, hanno sempre concordato nel voler lasciare intatti i rapporti di lavoro in essere). Val la pena ricordare che in Italia esiste una babele che rende il mercato del lavoro di impossibile decifrazione sia per gli esterni (i molto ipotetici investitori stranieri) sia per chi lo vive tutti i giorni.
Secondo, nonostante la permanenza di una grande molteplicità di forme contrattuali, si cerca di scoraggiarne l’uso tramite un appesantimento delle pratiche burocratiche, delle sanzioni, e un aumento degli oneri sociali. Queste novità dovrebbero, al contrario, incentivare i contratti a tempo indeterminato. Innanzitutto, appare improbabile che un fenomeno che riguarda milioni di lavoratori e la stragrande maggioranza dei neoassunti possa essere contrastato efficacemente con formalismi burocratici.
Ma ancora meno condivisibile è l’idea di aumentare i contributi sociali per i lavoratori flessibili. L’effetto di questa misura si conosce già perché gli oneri sociali per contratti a termine (compresa la cosiddetta “gestione separata” Inps) erano stati aumentati anche dai precedenti due governi con la conseguenza di una continua diminuzione reale degli stipendi di quei lavoratori (che sono privi di potere contrattuale perché non sindacalizzati ed esposti ad una concorrenza feroce) e nessun effetto sulla “precarietà” che è continuata ad aumentare.
Il lavoro flessibile non “costerà di più” come da mantra propagandistico, al contrario i precari guadagneranno meno e, laddove le aziende non fossero in grado di scaricare sul lavoratore i costi aggiuntivi, esse assumeranno meno.
Il punto che purtroppo non sembra finora trovare un rappresentante credibile è che per favorire l’occupazione stabile e produttiva, per favorire la crescita, non bisogna far costare di più il lavoro precario, ma far costare meno all’azienda il lavoro a tempo indeterminato, contribuendo dunque anche a sostenere le retribuzioni.
Allo stesso tempo, è per favorire la produttività e la crescita che si auspicava una forte semplificazione delle norme sui contratti. Una loro unificazione che comprenda il “modello tedesco” di protezione contro i licenziamenti (ossia fortissima protezione contro le discriminazioni; protezione solo monetaria per licenziamenti economici) dovrebbe avere il fine principale di rendere le norme maggiormente prevedibili, meno aleatorie, e più semplici; inoltre, applicabili a un ventaglio di contesti maggiore rispetto alla ristretta platea a cui oggi si applica l’articolo 18.
Al contrario, rafforzare le differenze tra diversi contratti; identificare condizioni di utilizzo più complesse e diversificate (di cui alcune particolarmente paradossali come quelle sugli apprendisti); aumentare in potenza il ricorso ai tribunali come arma contro la precarietà: sono misure che avrebbero l’effetto opposto rispetto a quel che serve al mercato del lavoro italiano, aumentando l’insicurezza e l’incertezza sui destini individuali e collettivi.
È difficile non notare che con il passare delle settimane la discussione sul mercato del lavoro ha teso ad assomigliare sempre più alle classiche trattative tripartite dei passati governi, e similmente anche i contenuti hanno finito per porsi in netta continuità. Visto il risultato di quelle politiche, ci auguriamo che il più forte mandato sul tema ottenuto ieri, secondo varie fonti, dal premier Monti consenta di rimettere al centro di questa riforma gli obiettivi di crescita collettiva che sembrano essere sfocati tra i soliti, parziali interessi.
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