Una ricerca Eures su dati Istat illumina con la freddezza del neon l’angolo buio in cui la crisi, e soprattutto la sua gestione liberista, sta gettando fasce intere di popolazione.
Il rischio suicidio è sempre più in agguato – per esempio – nella fascia dei cosiddetti “esodati”, coloro che hanno tra i 45 e i 64 anni ma che hanno lasciato il lavoro convinti (dalle leggi esistenti in quel momento) che sarebbero andati immediatamente in pensione. In questa fascia l’incremento di casi è del 12,6% nel 2010 rispetto al 2009 e del 16,8% rispetto al 2008: è quanto emerge dal Secondo rapporto Eures su ‘Il suicidio in Italia al tempo della crisì.
L’incremento dei suicidi in questa fascia di età – sottolinea lo studio, realizzato su dati Istat – è legato alla vulnerabilità in termini occupazionali delle persone che vi sono comprese, a causa delle gravi difficoltà di ricollocazione lavorativa.
Ma la disoccupazione, informa l’Eures, è anche alla base dei suicidi nelle fasce di età tra 45 e i 54 anni, aumentati del 13,3% rispetto al 2009, e in quella 55-64 anni (+10,5%); il tutto a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%. «Ed è proprio in questa fascia che si concentra anche il problema dei cosiddetti ‘esodati’ – sottolinea Eures – ovvero di quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico (in attesa di interventi correttivi), rischia di lasciare totalmente privi di reddito». E che un governo “tecnicamente criminogeno” tende persino a cancellare come problema.
Che il legame tra suicidio e crisi sia strettissimo è dimostrato dal fatto che il “primato”, per così dire, è della Lombardia (con 496 casi, +3% rispetto al 2009), seguita dal Veneto (320, pari al 10,5% del totale, con un aumento del 16,4% sul 2009) e l’Emilia Romagna (278, 9,1%).
Soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale.
Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l’incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente).
La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro. Considerando la sola componente maschile, l’aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora più grave (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell’identità e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall’impossibilità di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia.
Ma anche anche nella sfera del lavoro autonomo la crisi colpisce seriamente le prospetive di vita e l’autostima. Secondo l’Eures nel 2010 i suicidi in questa componente sociale sarebbero stati ben 336, contro i 343 del 2009. Lo studio definisce «molto alto il rischio suicidario» in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all’impatto della crisi. In dettaglio, nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino «indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali».
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marcovalmar
L’unica cosa che mi sconcerta nel leggere queste notizie, è quella di non riuscire a capire come certi indi-vidui siano così ingenui da suicidarsi. Nel non aver capito che la cause dei loro mali economici in cui si sono trovati e si ritrovano oggi, non sono loro stessi ma bensì le Istituzioni Pubbliche, che li hanno costretti con la loro sordità, cecità, e il menefreghismo comunistoide delle quali sono pregne per la mancata partecipazione societaria. (Quì mi riferisco a quei poveri cristi di piccoli o medi imprenditori) che hanno portato avanti l’economia quando questa funzionava bene. Mentre oggi oberati da mille piccoli e grandi cavilli,inventati dagli alchimisti della Sinistra con la scusa che sarebbero serviti a risolvere i Bilanci Fallimentari degli Enti Pubblici in cui sono presenti, non ce la fanno più a competere con i mercati emergenti di quei paesi che sono stati inseriti nel contesto della Globalizzazione, con sistemi fiscali interni intelligenti e nò come quello italiano che si rifà alle “Sanguisughe” prosciugando in questo modo i risparmi di un ceto medio-basso, che fino a pochi mesi fa attraverso il sacrificio del lavoro svolto riusciva a togliersi qualche piccola soddisfa-zione facendo così girare l’economia. Chi si ritrova a passare disgrazie create da altri, Deve imparare quando decide di far festa con la vita, di portarsi dietro chi ha contribuito a quello stato di cose. Senza rimpianti.
antonio
Finchè non ci appropriamo della sovranità monetaria , non cambierà niente.Non si può continuare ad assistere che lo stato sovrano chiede soldi in prestito alle banche per poi caricarci di debiti e tasse