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La casa, che tesoro

Solo qui infatti l’80% della popolazione è si sente “proprietaria”, assumendo anche i vizi ideologici di una classe “possidente” anche quando tutti i possedimenti si limitano a quattro mura ipotecate.

Ma è indubbio che proprio su questo “bene” per definizione il governo pensa di mettere “tecnicamente” le mani per cavarne fuori un gettito tale da risanare a lungo andare i conti pubblici. La tassazione sui redditi, specie su quelli da lavoro dipendente, ha raggiunto ormai livelli difficilmente aumentabili. uindi l’attenzione si sposta sul “patrimonio”.

Se si trattasse di uno spostamento selettivo, mirato ai grandi possedimenti immobiliari, sarebbe una mezza rivoluzione. Di fatto una “patrimoniale”, quella tanto invocate dai riformisti estremisti di centrosinistra per trovare risorse da “redistribuire”.

Naturalmente non si tratta di questo. Anzi, le linee generali (i “criteri”) della bozza di legge delega per la riforma fiscale fanno intravedere un attacco diretto alla proprietà familiare, trattata “alla pari” di quella “professionale”. Ed è chiaro che la stessa tassa pesa in modo molto differente a  seconda del livello di reddito. Paradossalmente ma non troppo, questa annunciata offensiva sulla casa rischia di tramutarsi a breve termine nell’esplosione della “bolla immobiliare” italiana. I livelli dei prezzi delle case, qui da noi, è fuori da ogni logica di mercato. Un riallineamento drastico si tradurrebbe immediatamente anche in un crollo della “ricchezza patrimoniale”. Quindi anche del gettito fiscale immaginato dal governo. Comunque si muovano, la crisi si diffonde….

Postiamo qui un articolo che fa il punto sulla situazione e anche la bozza completa.

 

La casa, che tesoro
 

Francesco Piccioni
La «terza fase» del governo – dopo le mazzate sulle pensioni e il mercato del lavoro – si sta esprimendo decisamente sulla politica fiscale. Oltre allavanzamento del decreto sulla «semplificazione», infatti, è stata presentata ieri la bozza di legge delega – allo stesso governo – per disegnare una organica «riforma fiscale» entro nove mesi. In entrambi i casi, al centro dell’attenzione c’è la casa. Sia la prima che, eventualmente, le altre.
Partiamo con il decreto, che ha riservato ieri la prima – e fin qui unica – buona notizia: la Commissione ha cancellato i commi che istituivano una tassa sulle borse di studio del medici specializzandi. Una vittoria loro, prima che del buon senso, visto che proprio ieri sono entrati in sciopero, manifestando in tutta Italia.
Il resto, invece, sono tutti «compromessi a destra». L’Imu, per esempio, sarà pagata in tre rate (16 giugno, 16 settembre, 16 dicembre) come chiedeva il Pdl. Inascoltate le proteste del Pd e soprattutto dei Comuni, che vedranno ritardare l’ingresso di risorse indipensabili per la gestione quotidiana. Anche il bollo straordinario sui capitali «scudati» – quelli beneficati da Tremonti per «convincerli a rientrare in Italia – subisce ritardo: dovrà essere pagato entro il 16 luglio, anziché il 16 maggio. Slitta anche lo «spesometro» – dal 30 aprile al 15 ottobre – che prevede la segnalazione al fisco di tutte le «operazioni» superiori ai 3.600 euro. Appena un mese di ritardo, invece, per la contestata decisione di obbligare i pensionati che prendono più di mille euro al mese ad aprire un conto in banca (con ovvia perdita di reddito conseguente, per le spese di conto corrente); partirà il primo luglio.
Ma la casa è al centro soprattutto dell’ipotesi di «riforma», attesa per fine anno. Al fondo sembra esserci una considerazione chiave: gli immobili costituiscono il 50% circa della ricchezza delle famiglie genericamente intese, lì si può «prendere», insomma. Ma è anche vero che l’80% delle famiglie – caso unico in Europa – risulta proprietaria di casa (magari ipotecata dal mutuo, ma questo non conta ai fini fiscali).
Il punto principale è la riforma del Catasto, con l’introduzione del criterio del «metro quadro» al posto dei «vani» per la valutazione della «rendita catastale». Criteri accessori riguardano l’individuazione di «funzioni statistiche» per meglio parametrare questo valore a quello di mercato. Si tratta pur sempre di criteri abbastanza astratti, ma dall’obiettivo chiaro: aumentare il prelievo sulla ricchezza «immobilizzata», anche sottoponendo a «rivalutazione periodica» la rendita base.
Va nella stessa direzione anche la sostanziosa riduzione delle agevolazioni per la determinazione dell’Imu. Verrà considerata «prima casa», per esempio, solo quella di elezione domiciliare ed «effettivamente abitata». Si vuole insomma ridurre al minimo il fenomeno dell’intestazione di un immobile a testa, tra i coniugi, che usufruiscono così entrambi delle riduzioni d’imposta.
Nessuna novità, invece, sul fronte delle imposte sui redditi d’impresa o sulle «persone fisiche». Resta l’Irap – che fornisce un gettito di 35 miliardi – contrariamente a quanto previsto nella vecchia legge delega del duo Tremonti-Berlusconi. Restano immutate anche le aliquote Irpef (che sempre Tremonti voleva ridurre a tre: 20, 30 e 40%, con guadagni sostanziosi soprattutto per i redditi più alti). In entrambi i casi la motivazione è identica: non erano determinati gli effetti generali sul gettito, né gli «effetti redistributivi». Insomma: si apriva un «buco» considerevole nei conti pubblici.
In compenso, erano previste due misure per «coprirsi a sinistra». La prima è la revisione del sistema delle accise sui prodotti energetici, in modo da penalizzare quelli a più alte emissioni di CO2. Una sorta di «carbon tax» i cui proventi verranno destinati «al sistema di incentivazione delle energie rinnovabili». In secondo luogo, la prima bozza del governo indicava la necessità di «misure di sostegno per i redditi più bassi». La copertura finanziaria per queste misure sarebbe stata affidata a un fondo da costituire con le maggiori entrate provenienti dal «recupero dell’evasione». Ma nel comunicato diffuso al termine del consiglio dei ministri del fondo per gli sgravi fiscali non c’è più traccia. Motivo dichiarato: non è possibile finanziare una spesa in corso d’anno con i proventi, ancora non in cassa, della lotta all’evasione.
I compromessi a destra si fanno subito e si pagano cash; quelli col centrosinistra sono rinviabili.
 
da “il manifesto”

La bozza di legge delega:

Può sembrare curioso, ma è invece rivelatore di un “metodo” di governo alquanto puzzolente, che da Il Sole 24 Ore arrivino critiche complementari.

 

Se l’unico scopo è incassare di più

Enrico De Mita

Leggendo il progetto di legge delega sulla revisione del sistema fiscale c’è da chiedersi, prima di tutto, se sia stato osservato un metodo che abbia una logica e che possa conseguire un qualche risultato in un tempo ragionevole, prima cioè che finisca la legislatura in atto. L’impressione è che, tolte alcune disposizioni, si tratta nella sostanza di un rafforzamento della disciplina esistente in tema di evasione e di elusione e di un irrigidimento della legislazione che sembra muoversi su un piano diverso, genericamente, di inasprimento della tassazione, assorbendo i diversi progetti giacenti in Parlamento. Una iniziativa quindi puramente strumentale sia nella sostanza che nella forma.

Volendo riassumere contenuto e metodo della proposta non ci si potrebbe riuscire: non c’è unitarietà di impostazione a meno che non sia il gettito purchessia. Il testo non nasce da una elaborazione di principi propri di una materia come quella tributaria; non c’è stata alcuna preparazione, se non l’intuizione – grezza – di una serie di risultati pratici. Si tratta di una somma di questioni che potrebbero essere fatte ognuna per conto proprio.
La stessa introduzione del testo – l’obiettivo è «perseguire lo sviluppo e la competitività delle attività economiche e … ricondurre ad una maggiore razionalità ed equità il sistema fiscale, … contrastare i fenomeni dell’evasione, dell’erosione, nonché … instaurare con i contribuenti un rapporto basato sulla fiducia» – dice cose che andrebbero bene per ogni testo di proposta.

In particolare, non mi sembrano chiari i criteri di superamento del reddito medio catastale, un istituto consolidato che dovrebbe avere qualcosa di più razionale per essere superato dopo secoli d’esperienza, senza porsi il problema delle conseguenze nel settore dei beni immobili, e senza considerati il problema affrontato dalla giurisprudenza costituzionale tedesca della parità di trattamento fra immobili diversamente determinati.
In generale, la complessità delle questioni, la riconduzione di ciascuna di esse ai criteri più disparati non sono una impostazione che possa sortire risultati pratici nel tempo breve, tenendo soprattutto conto delle brevità dei tempi. A volte si ha l’impressione che delle questioni (si pensi al contenzioso) siano state sollevate solo allo scopo di incrementare il dibattito in Parlamento.

Nello specifico, non sempre sono rispettati i principi della Costituzione in tema di legge delega, sia perché mancano principi e criteri direttivi, sia perché viene interpretato erroneamente il principio di legalità, come quando si dice che la discrezionalità può essere superata quando la decisione sia stata presa da una commissione tecnica.
L’equilibrio fra le imposte non tiene presente quando una parte di esse è stata già riscossa per procedere al rimborso di altre ritenute eccessive. L’aumento previsto dell’Iva non risponde a un riequilibrio razionale quando la tassazione del reddito, con le relative addizionali, rimane altissima e irrazionale: una specie di acconto brutale con rimborso eventuale. Non è facile mettere sullo stesso piano elusione d’imposta e divieto dell’abuso di diritto, visto che questo è un principio non scritto e non so come possa essere riscritto in termini determinati.
La tassazione delle imprese e dei professionisti e il riordino della tassazione del reddito d’impresa sono cose che non si possono inventare senza adeguate preparazione, teorica e pratica.

L’impressione complessiva è che l’impostazione della proposta di legge sia tecnicamente e politicamente insufficiente e, con questo Parlamento, serve ad acuire i rapporti di forza e quindi a rendere impossibile l’approvazione di un testo di legge che è una sommatoria di questioni redatte con la convinzione che solo una parte di esse possa essere approvata. Se il problema è il gettito, si scelgano, unilateralmente, solo le parti che servono allo scopo.
Ci sono voluti anni negli anni 70 per una impostazione logica di riforma tributaria e altrettanti anni di pratica per coglierne i limiti. Qui si postula una specie di legge speciale che, preordinata alle pure esigenze di gettito, possa essere parzialmente approvata al di fuori di ogni impostazione e limite logico. Qui c’è una strumentalità politica che sfugge ad ogni logica propria della legge: una specie di circolare che nasce con la mentalità della burocrazia e non di quella che dovrà essere approvata dal Governo e dal Parlamento.

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