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MIni-accordo europeo per “raffreddare” gli spread

Servirà un po’ più di tempo per analizzare le diverse decisioni prese, ma quella che per il momento sembra la principale – l’uso del fondo Efsf, che da lunedì si trasformerà in Esm,  per finanziare direttamente le banche senza passare attraverso gli stati e un “meccanismo anti-spread” per acquistare  i titoli di stato dei paesi “virtuosi” (che rispettano impegni e scadenze Ue) ma comunque zoppicanti  – è tutt’altro che una misura strutturale. Perché è fin troppo ovvio che degli interessi troppo alti da pagare (superiori al 5%, almeno) costituiscono una palla al piede sia per il risanamento dei conti pubblici che per gli stimoli possibili alla crescita; ma è altrettanto ovvio che nessuno escamotage contabile può sul periodo medio-lungo evitare che gli squilibri “strutturali” vengano in superficie.

In pratica risolve due problemi. Uno: se il fondo finanzia uno stato, il quale poi usa quei soldi per “salvare le banche”, in realtà contribuisce – come ha fatto finora – ad aggravare il debito pubblico di quello stato, con tutte le ripercussioni di mercato relative (aumento dello spread, tassi di rifinanziamento più alti, maggiore esborso della spesa pubblica per interessi passivi, ecc). Due: uno stato in difficoltà non è più una “garanzia” per i mercati.

La mossa sul fondo Efsf/Esm è dunque un semplice spostamento contabile del carico per interessi direttamente sulle banche senza passare per gli stati (e giustamente la Ue aveva definito questa proposta di Monti una “tachpirina”); in secondo luogo, è la Germania a fare da garante per tutta Europa (non illimitatamente, è chiaro, ma solo entro i limiti di partecipazione tedesca al fondo da 500 miliardi).

Con questo la “crisi europea” non viene affatto evitata, ma solo tamponata e ritardata. Le borse respirano, gli spread scendono. Tra un mese o due saremo nella stessa situazione ante-vertice.

Intanto le reazioni, dunque. Il Sole 24 Ore, come al solito, dismette i panni della critica per assumere quelli del poeta di corte (salvo poi riprendere i panni del censore tra qualche settimana).

 

È’ terminato alle 4 del mattino con una serie di decisioni importanti un incontro dei capi di stato e di governo della zona euro questa notte a Bruxelles. Dopo sette ore di trattative i 17 hanno deciso di modificare nella sostanza il modo in cui vengono utilizzati i fondi europei di stabilità finanziaria EFSF ed ESM, tra le altre cose venendo incontro in parte alle richieste italiane di un meccanismo anti-spread.

In un comunicato, i paesi della zona euro hanno spiegato che l’ESM potrà ricapitalizzare le banche direttamente, e non più attraverso i governi nazionali. Questa possibilità potrà essere adottata non appena ci sarà una sorveglianza unica a livello europeo. «La Commissione presenterà a breve proposte per attivare l’articolo 127/6 dei Trattati» che permette il passaggio della vigilanza bancaria alla Banca centrale europea.

Gli aiuti bancari verranno anche in questo caso sottoposti a «condizioni appropriate». L’obiettivo è quello di spezzare il drammatico circolo vizioso tra bilanci bancari e bilanci sovrani. Inoltre i paesi della zona euro hanno deciso di venire incontro all’Italia, che negli scorsi giorni aveva chiesto la possibilità di godere degli aiuti dell’EFSF e dell’ESM senza condizioni particolari, e senza il controllo della Troika.

«Riaffermiamo – si legge nel comunicato – il nostro forte impegno a fare tutto il necessario per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro e in particolare di utilizzare gli strumenti esistenti EFSF/ESM in modo efficiente e flessibile per stabilizzare i mercati dei paesi membri che rispettano le specifiche raccomandazioni (della Commissione, ndr) e gli altri impegni, ivi compresi i diversi scadenziari».

Quest’ultimo punto è stato fortemente voluto dall’Italia, che ieri sera aveva a sorpresa posto il veto alle conclusioni del vertice in attesa di capire se avrebbe potuto strappare una specie di meccanismo per raffreddare le tensioni sui mercati e ridurre gli aumenti dei rendimenti obbligazionari. Lo strumento messo a punto questa notte non è automatico e richiederà da parte del paese la firma di un protocollo d’intesa.

Tuttavia, il meccanismo così come è stato concepito non prevede condizioni ulteriori per tutti quei paesi che già rispettano gli impegni presi con le autorità comunitarie. «Le misure a breve sulla stabilizzazione della zona euro sono un fatto molto positivo per la zona euro e una duplice soddisfazione per l’Italia che ne ha stimolato il processo», ha spiegato questa mattina presto il premier italiano Mario Monti.

Infine, tra le decisioni anche la scelta di togliere ai prestiti dell’ESM la qualifica di creditore privilegiato. Questo particolare aveva provocato una vendita di titoli di stato spagnoli da parte di investitori internazionali preoccupati di rimanere svantaggiati nel caso di una ristrutturazione del debito pubblico. Dopo l’accordo di stanotte il veto italiano alle conclusioni del vertice può considerarsi tolto.

L’esito dell’incontro tra i 17 è stato sorprendentemente ricco di decisioni radicali. Da mesi i paesi della zona euro discutevano di modificare l’uso dell’EFSF e dell’ESM, abbandonando rigide modalità di utilizzo volute nel 2011 dalla Germania. Il riacutizzarsi della crisi ha indotto il governo federale ad accettare cambiamenti sostanziosi. La stessa sorveglianza creditizia centralizzata è nei fatti un primo tassello verso una unione bancaria. I tempi non saranno rapidissimi, ma la strada è segnata.

 

 

Ecco che cosa prevede l’accordo per lo scudo anti-spread

Il summit dell’Eurozona, convocato a sorpresa ieri sera immediatamente dopo la fine della prima giornata del Consiglio europeo, ha prodotto alle 4.20 del mattino un accordo che accoglie in gran parte le richieste italiane e spagnole (appoggiate dal presidente francese François Hollande) e supera di slancio i tradizionali ‘nein’ di Berlino.

Dopo un lungo negoziato notturno “qualche volta teso” (secondo l’eufemistica definizione di Mario Monti), il premier italiano ha ottenuto qualcosa che somiglia molto al meccanismo anti-spread da lui chiesto insistentemente da settimane, e che era stato finora ignorato dai partner e persino irriso dalla Commissione europea (che l’aveva definito “un paracetamolo”).

L’accordo prevede che i paesi ‘virtuosi’ sotto la pressione di spread ‘eccessivi’ possano usufruire dell’acquisto di una parte dei loro titoli di Stato da parte dei fondi di salvataggio dell’Eurozona (l’Efsf e il suo successore permanente, l’Esm), senza per questo doversi sottoporre a condizioni aggiuntive rispetto agli impegni già presi con la Commissione e l’Eurogruppo nell’ambito delle cosiddette raccomandazioni ‘country specific’, che applicano il ‘Semestre europeo’, il Patto di stabilità e la ‘procedura sugli squilibri macroeconomici’.

In sostanza, il paese interessato dovrà comunque fare una richiesta formale di attivazione dell’intervento del Fondo di salvataggio, e sottoscrivere un ‘Memorandum of understanding’ (‘Protocollo d’intesa’) con la Commissione europea. Su questo punto Monti non ha ottenuto quello che voleva (l’attivazione automatica dell’intervento quando gli spread superassero una determinata soglia). Ma il ‘Memorandum’ non conterrà una ‘condizionalità aggiuntiva’.

 

Garanzia sui depositi bancari entro l’anno

Dino Pesole

Piano per la crescita, con in primo piano le proposte italiane sulla nuova «politica di coesione» e il «riorientamento» dei fondi comunitari in funzione dello sviluppo. In parallelo, trattativa serrata sullo scudo antispread, con la mossa a sorpresa in serata di Mario Monti che chiede misure a breve in grado di spegnere l’incendio già lunedì alla riapertura dei mercati, sulle quali si è discusso nella riunione dell’euro working group cui ha preso parte il vice ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. In caso contrario, l’Italia “sospende” il suo assenso al restante pacchetto.

Si tratta del piano da 120-130 miliardi, con annesso aumento del capitale della Bei, con finanziamenti per 60 miliardi a partire dal prossimo autunno, e dai 4,5 miliardi di impieghi affidati ai project bond. Nel pacchetto compare la riprogrammazione mirata di 55 miliardi di fondi strutturali non spesi, all’interno di un percorso di revisione del bilancio comunitario in direzione della crescita.

Quanto alla «golden rule», sia pure rivista e riadattata, si fa strada «una particolare attenzione agli investimenti nei settori orientati al futuro aventi un nesso diretto con il potenziale di crescita dell’economia e a garantire la sostenibilità dei regimi pensionistici», secondo quanto si legge nella bozza delle conclusioni del vertice. La discussione sulle «prospettive finanziarie» in direzione dell’agenda «2020» ha assorbito la prima parte dei lavori del Consiglio. Mario Monti ha messo sul piatto tutti i punti salienti della strategia italiana, dalla nuova «politica di coesione», affidata al ministro Fabrizio Barca, al completamento del mercato unico. Partita sulla quale si è speso in particolare il ministro degli Affari europei Enzo Moavero Milanesi.

Tutti passaggi importanti, che non potranno generare sviluppo nell’immediato e che tuttavia rappresentano un segnale da non sottovalutare. Il vertice dei Capi di Stato e di governo è stato convocato all’inizio del semestre di presidenza danese, su input della Commissione e del presidente permanente dell’Unione, Herman Van Rompuy, proprio per avviare la «seconda fase», dopo quella del rigore di bilancio. Poi la crisi greca, il crack delle banche in Spagna, le nuove tensioni sul debito italiano hanno spostato il focus prevalente del vertice trasformandolo in una sorta di ultima spiaggia per salvare l’eurozona.

Sullo scudo antispread, discussione in realtà apertissima, e che potrebbe chiudersi con il coinvolgimento diretto della Bce, e non dunque del Fondo salva-Stati nella sua versione definitiva (Esm) nell’acquisto dei titoli dei paesi qualificati come “virtuosi” (che rispettano in sostanza la disciplina di bilancio), il cui spread superi una determinata soglia limite (l’asticella potrebbe fermarsi a 300 punti base). Decisivo in questa trattativa serrata il sostegno del presidente francese Francois Hollande.
Niente eurobond, ma in realtà la questione non è nemmeno sul tappeto, per ora. Entro la fine dell’anno dovrà essere pronta una road map per l’Unione monetaria europea, cui dovranno lavorare di concerto i presidenti di Bce ed Eurogruppo.

Secondo il timing stabilito ieri sera da Van Rompuy, in ottobre verrà presentato un rapporto preliminare, in vista del documento finale che sarà messo a punto entro fine anno. Entro fine anno l’Unione europea dovrà poi dotarsi di un meccanismo di «messa in sicurezza del sistema bancario, creando uno schema comune per le garanzie sui depositi, e un fondo comune con poteri di risoluzione per la gestione delle crisi». In una prospettiva a brevissimo termine, il Consiglio deve rapidamente esaminare la proposta della Commissione per la risoluzione delle crisi bancarie, per raggiungere un accordo entro fine anno».

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