Dopo le condanne in Cassazione dei dirigenti degli apparati di sicurezza che 11 anni fa idearono e guidarono le violenze e le vere e proprie torture contro i manifestanti a Genova, la data del 13 luglio si avvicina e cresce l’intensità della mobilitazione di chi ha promosso la campagna ‘10×100’.
Paradossalmente, la punizione dei dirigenti di pubblica sicurezza – per quanto poco più che simbolica – aumenta assai il rischio che la stessa Cassazione commini una condanna spropositata ai dieci attivisti già condannati in secondo grado per i fantasmagorici reati di ‘devastazione e saccheggio’ in relazione alle manifestazioni del 2001.
Sono in molti, moltissimi, a denunciare la possibilità che 10 persone vengano scelte come capro espiatorio all’interno di un teorema che, alla sanzione per chi gestì l’ordine pubblico – avendo tenuto fuori i responsabili politici – vuole associare la condanna definitiva per 10 manifestanti pescati nel mucchio. Una sorta di ‘par condicio’ giudiziaria tutta tesa a dimostrare il carattere violento dei movimenti sociali e di protesta, allora e a maggior ragione oggi.
E’ quanto vogliono evitare le decine di migliaia di persone che hanno già firmato l’appello del comitato ‘10X100’ che in poche settimane ha raggiunto più di 25 mila adesioni all’insegna dello slogan “Genova non è finita. Dieci, nessuno, trecentomila”. Tanti anche i nomi noti: da Erri De Luca ad Ascanio Celestini, da Mario Tronti a Daniele Vicari, da Margherita Hack a Patrizio Gonnella, da Caparezza a Valerio Mastandrea, da Elio Germano a Giorgio Tirabassi, da Moni Ovadia a Don Gallo, dai Subsonica a Wilma Labate, da Curzio Maltese a Mario Tozzi, da Paolo Fresu ai 99 Posse. E tantissimi altri che chiedono che la Cassazione annulli le condanne per devastazione e saccheggio, un reato ereditato dal Codice Rocco, varato in pieno regime fascista, e sempre più applicato contro chi manifesta, protesta, si oppone. Sarebbe davvero assurdo e intollerabile che a fronte di condanne miti comminate a chi pensò e organizzò le brutalità contro 92 manifestanti o giornalisti inermi approfittando della propria divisa e del proprio potere, pene spropositate – dieci anni di carcere – venissero appioppate a chi al massimo può essere ritenuto colpevole di aver tirato un sasso o rotto una vetrina. Rompere o danneggiare oggetti, nascondere il volto e partecipare a una manifestazione non autorizzata è più grave che torturare, pestare, procurare lesioni permanenti?
I promotori dell’appello lo andranno a dire direttamente alla Corte di Cassazione, il giorno dell’udienza, con una conferenza stampa convocata per le 10,30 davanti al Palazzo di Giustizia.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa