Si può scherzare, come fa Il fatto”, commentando che a votare Pd non ci pensa neppure lui. Si può sospettare, italianamente, che gli interessi della famiglia vengano prima di quelli del partito.
Noi invece vogliamo prenderla seriamente, perché la politica è una cosa seria anche quando a farla sono dei pagliacci. Che di solito preparano le tragedie.
La “dichiarazione di voto” indica chiaramente il “dopo Monti”. Con i partiti che lo sostengono pronti a farsi una finta battaglia elettorale e a convocare di nuovo, subito dopo, Monti (da sottrarre al confronto elettorale, visto che quel che sta combinando e conbinerà da qui a marzo) o un Passera di riserva.
Devono raccogliere a tutti i costi, anche con i brogli elettoriali o i “premi di maggioranza”, oltre il 50% dei futuri deputati. E fare argine contro tutti i frammenti dell'”antipolitica” (come la chiamano loro). Ovvero l’ascesa di quanti pescano nel malcontento sociale per convizione o calcolo. E Grillo, in questi mesi, è il frammento che ha saputo trovare la formula per fare “massa critica” elettorale (che non ha niente a vedere, come si è capito a Parma, con un programma alternativo). Persino il “rientro in campo” di Berlusconi ha tutta l’aria del “recupero” forzato per impedire che la liquefazione del Pdl “liberi” frammenti che vadano ad ingrossare i populismo d’accatto.
In questa chiave, la linea discriminante tra “politica” e “antipolitica” passa per il consenso perenne alle politiche messe in atto da Monti. Su pensioni, art. 18, ammortizzatori sociali, Imu, precarietà, sanità, istruzione, ubblico impiego, ecc.
In questa chiave Letta – uno dei pochissimi italiani ammessi al Bilderberg Group, come Monti, ha detto una cosa semplice: “Berlusconi è quasi dei nostri, Grillo no; dunque…”
Il problema non è né Letta, né il Pd. Il problema è la testa di chi – a sinistra – sta ancora a lambiccarsi il cervello per trovare il modo di “fare cartello elettorale” con il Pd ma avendo in animo un’altra politica… Sveglia gente!
p.s. A conferma, postiamo anche il “retroscena” de Corriere della sera, del sempre molto informato – tra un corridoio e l’altro – Verderami.
Il timore per agosto: un attacco speculativo
La bocciatura di Moody’s sarà pure stata «una disgrazia», ma è un’eventuale bocciatura dei mercati ad agosto che Monti teme e purtroppo non può escludere. Ecco a cosa si riferiva quando ha parlato del «percorso di guerra». Ecco cosa ha detto ai leader della «strana maggioranza».
Il premier mette nel conto l’ipotesi che all’ombra del «generale agosto» si scateni una nuova tempesta finanziaria, un’offensiva speculativa internazionale che prenda nel mirino l’Italia a mo’ di bersaglio grosso. E sebbene il professore auspichi di sbagliarsi, avverte il rischio che fra qualche settimana possa ripetersi quanto è accaduto giusto un anno fa, quando a palazzo Chigi c’era Berlusconi e lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi raggiunse «quota 570». Il governo ha approntato ogni misura per cautelarsi rispetto a una possibile emergenza, e la nomina di Grilli a titolare dell’Economia va letta anche in questo quadro, così da avere un ministro con pieni poteri e sempre in campo sul fronte Ecofin.
È vero che agosto è da sempre considerato il mese più pericoloso per le turbolenze sui mercati, ciclicamente scossi come fossero investiti dai monsoni, ma non c’è dubbio che Monti confidasse in un clima diverso. E invece — co- me spiega Bersani — c’è «nervosismo e preoccupazione»: «Il fatto che l’Italia faccia ogni sforzo e non le venga mai riconosciuto — dice il segretario del Pd — segnala qualcosa di poco chiaro, l’intenzione di attaccare l’euro usando il nostro Paese come leva per scardinae il sistema».
Trovandosi sulla linea del fuoco, Monti ha voluto mettere al corrente della situazione le forze che sorreggono il governo, ed ha affrontato il tema anche con il segretario del Pdl Alfano durante un incontro riservato avvenuto mercoledì sera. Il premier si è raccomandato con i partiti della «strana maggioranza» affinché tengano unito il quadro politico. La «frustrazione», a cui il professore ha accennato in pubblico, è uno stato d’animo che accomuna tutti i suoi partner europei, «è come se un medico — racconta un autorevole esponente dell’esecutivo — sperimentasse tutte le cure possibili ma non riuscisse a guarire un malato».
Una cura secondo Berlusconi ci sarebbe, se si trasformasse la Bce in pre- statrice di ultima istanza, rompendo il muro eretto dalla Merkel che «invece ha in mente un’Europa germanizzata». Chissà se ha ripetuto questi concetti a Monti tre giorni fa, quando il premier l’ha chiamato per spiegare il senso della sua battuta sul famoso vertice di Cannes, per chiarire che quella frase sull’«umiliazione» subita dal Cavaliere al G20 non voleva esser un attacco nei suoi confronti. Il colloquio — secondo fonti del governo — è stato «cordiale», perché c’è «un humus sintonico» tra i due. Ed è un’ulteriore dimostrazione del fatto che i contatti tra l’ex presidente del Consiglio e il suo successore sono costanti e per nulla occasionali.
A rimarcare la solidarietà al professore, ieri Berlusconi ha fatto intervenire il suo portavoce, Bonaiuti, per criticare la «pesante decisione» di Moody’s che — guarda caso — ha sottolineato come il downgrade «potrebbe aprire la strada alla speculazione finanziaria in agosto, quando i mercati sono più influenzabili». È il segno che il Ca- valiere intende procedere sulla linea del «montismo berlusconiano», che impedisce a Pd e Udc di isolarlo dai giochi futuri. E sebbene sia convinto, «perché i fatti lo dimostrano», che «la politica del rigore non paghi», ha dismesso la logica «grillina», riconoscendo che «per ora il binario è obbligato».
Altra cosa è se Berlusconi auspichi che Monti succeda a Monti: il fondatore del Pdl attenderà l’evolversi del quadro politico ed economico prima di esprimersi. Di certo l’idea della grande coalizione resta nel novero delle opzioni, perché — come gli ha detto il suo amico, Fedele Confalonieri — «in un tempo di guerra economica servirebbe una stagione di pace politica». E se le cose dovessero andare per un certo verso, il Cavaliere non si farebbe sfuggire l’occasione di ricordare che «fui io il primo a proporre le larghe intese», dopo le elezioni vinte d’un soffio da Prodi nel 2006. Era un’altra Italia. C’è sempre Berlusconi.
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