Partiamo dai fatti che possiamo verificare come lettori. “il manifesto” sembra oramai un collage di pezzi scritti in totale indipendenza da chiunque passi lì dentro. Cose di una chiarezza ed utiità fulminante si alternano, magari nella stessa pagina, con evidenti “marchette” a questo o quel politico di centrosinistra (Vendola, Fassina, Orfini, in ordine di apparizione). Come se qualche redattore stesse preparandosi al “dopo” con la “promozione” del suo futuro datore di lavoro.
L’uscita di Vauro è solo la più clamorosa degli ultimi tempi e si aggiunge alla rarefazione progressiva di molte firme storiche.
Non essere riusciti a trattenerlo, per un giornale che vuole sopravvivere e rilanciarsi, dovrebbe essere motivo di autocritica; o almeno di autoanalisi. Buttarla sulla presunta auri sacra fames di Vauro è invece una vigliaccata di bassa lega, degna del peggior Pci anni ’60-’70 (quello che espulse il gruppo storico de “il manifesto”, per capirci).
Conosciamo bene il vignettista più caustico d’Italia. Lo abbiamo avuto per compagno, insieme a Stefano Chiarini ed altri compagni di quel giornale, in molte campagne a favore della causa palestinese. Doveva salire su una nave della Freedom Flotilla, un anno fa. E solo il blocco del governo greco gli ha impedito allora di partecipare a una spedizione in cui non c’era veramente nulla da ridere e tantomeno da guadagnare.
Prima ancora era andato a lavorare con Emergency. Anche lì per mettere alla prova se stesso in situazioni decisamente non salottiere, anche se portandosi dietro il suo indubbio valore di “logo”.
Giù le mani da Vauro, dunque. Sulla sua moralità, sulla sua capacità militante, non esistono per noi dubbi.
Certo, sappiamo che – come si dice oggi – Vauro “ha mercato”. Molto più di quanti che al manifesto ancora lavorano. Immaginiamo che alcuni vi siano rimasti resistendo a qualche lusinga (il “Pubblico” di Telese gli ha strappato soltanto il redattore sportivo e “preso in prestito” qualche collaboratore, che peraltro continua a scrivere per il quotidiano ahinoi diretto da Norma Rangeri). Sappiamo e vediamo da anni che collabora con una molteplicità di media (da Santoro al Corriere della Sera), com’è ovvio che sia per un virtuoso della matita la cui utilità, per un giornale, non si misura in ore di lavoro ma in efficacia del segno e della battuta. Sappiamo però, per esperienza, che non ha mai rifiutato una vignetta o un logo gratuito a chiunque, tra i compagni delle cento organizzazioni politiche e sindacali di questa derelitta “sinistra”, glielo abbia chiesto.
Noi misuriamo le persone da queste e molte altre cose. Perciò soffriamo la sua decisione di passare a “Il Fatto” come lettori pluridecennali de “il manifesto”, ma non vi troviamo nella di strano. Lì dentro, d’altro canto, lavorano o collaborano altri noti personaggi di “estrema sinistra”; addirittura un ex parlamentare in quota a “Sinistra critica”…
Perciò, giù le mani da Vauro. Interrogatevi, invece, sul perché questo “il manifesto” di oggi perde lettori, copie, incassi, autorevolezza. La nostra risposta è chiara: “non morde” più la realtà del cambiamento in atto. O, almeno, lo fanno alcuni singoli, non il giornale nella sua interezza. Nel caos del presente, non illumina granché…
Vauro rispondeUn grande in bocca al lupo da «ciò che resta» del manifestoL’ho scritto: avrei preferito andarmene zitto zitto, quatto quatto. Ho capito che non posso farlo. Va bene. Avrei voluto farlo perché non volevo che la mia uscita suscitasse letture o polemiche che potessero danneggiare ciò che resta de «Il manifesto». Ecco, in queste due parole «Ciò che resta» la spiegazione. Resta molto poco de «il manifesto» nel quale ho lavorato per più di venti anni. Troppo poco. Almeno a mio giudizio. Ma forse anche a giudizio dei troppi lettori che hanno smesso di comprare il giornale. E non mi pare che ne «Il manifesto» (mi ci metto anch’io) ci si sia interrogati sulle nostre responsabilità politiche ed editoriali riguardo a questi abbandoni. Me ne vado in un momento difficile? No. Purtroppo il momento difficile è già passato e non siamo stati in grado di farvi fronte. Entro dicembre i liquidatori scioglieranno la cooperativa di cui anch’io faccio parte. Ne nascerà un’altra? mi auguro di sì ma è ovvio che non sarà quella verso la quale sentivo un obbligo politico e morale. Scrivo queste poche righe per dare una risposta a quelle lettere di lettori che mi chiedevano un perché. Forse questo perché avrebbe dovuto (e da tempo) darlo la direzione del giornale che adesso, nemmeno tanto velatamente, mi addita come quello che se ne va solo per soldi. Pazienza. Nella vita di ogni buon comunista è scritto che prima o poi debba essere considerato un rinnegato da altri comunisti (vecchio vizio). E’ vero che a «Il Fatto» il mio compenso sarà più elevato di quello che ho finora percepito da «il manifesto» e certo non me ne dispiaccio. Detto questo vorrei che qualcuno della direzione mi spiegasse come mai sarei diventato un «Vignettista squillo» dopo venti e passa anni, di cui gli ultimi sei o sette , seguiti al cambio contrattuale da me voluto quando compii la scelta di andare a lavorare per Emergency, con lo stipendio più basso di tutto «il manifesto» (un record!). In ultimo riguardo al mio essere comunista lo rivendico con orgoglio e non penso che diverrò meno comunista solo per il fatto di andare a lavorare in un giornale libero che però non si definisce comunista sotto la testata. Saluti comunisti ribaditi.
da “il manifesto”
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Luciano
Per capire meglio l’attuale crisi del giornale è indispensabile tornare indietro nel tempo e, parafrasando il bel titolo di Barontini riguardo la famigerata ricandidatura di Monti al governo,questa viene da lontano;viene,per esempio dalla mai sopita inclinazione a considerare il ceto politico proveniente dal pci,una garanzia e una sorta di baluardo per la democrazia, a difesa,fatti salvi alcuni indispensabili compromessi,delle conquiste sociali strappate ai padroni.La perdita costante di lettori dovuta in gran parte alla continua rincorsa a destra inarrestabile del blocco politico/elettorale che si voleva condizionare con il ruolo di”coscienza critica”,l’appoggio rivendicato sempre alla fazione borghese che ha prodotto le peggiori leggi a danno dei lavoratori facendoli arretrare di decenni con le privatizzazioni varate dai governi del “meno peggio,”motivandole come irrinunciabili, ma soprattutto, la diffusione all’interno del quotidiano di interviste e articoli a esponenti interni all’area del cosiddetto centrosinistra,hanno fatto allontanare molti compagni non più convinti della linea politico/editoriale espressa.Le ultime parole spese da Luigi Pintor,riportate dalla rivista che porta il nome di questo sito,furono di totale disaccordo e disprezzo verso gli esponenti di quel partito,considerati,a ragione, come degli avversari oramai passati in campo avverso ,irrecuperabili per la classe.Siamo,invece,ancora costretti,dopo la cancellazione dell’art.18,e la liquidazione “de facto”di ogni speranza di percepire una pensione,alle solite lamentose litanie sul ruolo che dovrebbe svolgere il partito di Bersani in una fase in cui il capitale agisce in senso globale devastando ogni rapporto sociale consolidato,trasferendo e accentrando il proprio potere decisionale fuori dai confini nazionali.Dovrebbe far riflettere una frase pronunciata dal” sovrano”di Torino e della più grande industria italiana all’epoca della contesa fra” Progressisti”e “Polo delle libertà”:”se vince lui(Berlusconi),vinciamo noi,se perde,perde lui!”I poteri forti non hanno mai deviato da questa linea di condotta,tutto quanto è successo in seguito lo dimostra!Continuare pervicacemente a tirare per la giacca Bersani e Vendola produce quello che è sotto gli occhi di tutti: il nulla per le classi subalterne!
Giuseppe Aragno
Vauro non spiega nulla, perché ha poco da dire e tutto è fin troppo chiaro. Se ci riuscirà, dovrà chiarire a se stesso come farà a stare in un giornale che fa coincidere la “legalità” con la giustizia, ne fa anzi una bandiera, e ospita con piena convizione gli interventi di gente come il giudice Caselli, eroe della repressione in Val di Susa. Questo, però, riguarda la sua coscienza e ognuno fa i conti con la sua, anche chi inopitamente assume una incomprensibile difesa d’ufficio. Per una volta dissento. Contropiano, per fortuna, sa essere più lucido.
stefano
CERTO da operai sfruttati e un pò ingoranti in materia letteraria, ci spiace che all’oggi ci siano ancora ruggini tra compagni o pseudo compagni, che mirano all’accorpamento magari di qualche buon benefattore, comunque si poteva inture benissimo che dopo la vignetta di vauro sulla ministra scuillo acadesse qualcosa di serio, sentite le accuse della fornero contro Vauro e il Manifesto, il quale la sua direttrice Norma Rangeri dopo un primo via libero sul lavoro di Vauro, si è abbassata alla volontà fornero, con la classica scusa ” sulla dignità della donna”. da quanto appreso a caldo dai notiziari radiofonici nazionali, perchè quando si parla di queste stronzate i media li sbattono in prima pagina tralasciando e facendo passare in secondo piano, l’attualità nazionale , forse per il capitale e meglio parlare di VAURO che DELLA CRISI CAPITALISTA CHE MIETE MORTI TUTTI I GIORNI.
mariano orrù
Vauro, non si puo’ recriminare e rivendicare di essere Comunisti, quando come fai tu dai spazio e credito con la tua fantasia ai media che oggi rappresentano la borghesia che tutti noi compagni lottiamo contro. Ma ti sembra che da Compagno tu riesca a farmi passare per buono e proficuo per la lotta rivoluzionaria, il passaggio con un Travaglio sionista dichiarato. Con te, per quello che vuoi far credere di essere, uno cosi’ non dovrebbe avere niente a che fare, si caro Vauro.
A prescindere dall’abbandono del Manifesto (che personalmente e’ morto con L.Pintor), la grana piace a tutti e anche se ti dibatti sai benissimo che non ci sei anche se ci fai COMUNISTA !
Buon stipendio Vauro.
MaxVinella
Il Manifesto perde lettori perchè non fa giornalsmo di inchiesta o di denuncia !!
Se sei mesi fa il Manifesto avesse fatto un’inchiesta su quello che succedeva alla Regione Lazio , avrebbe raddoppiato i lettori !!
Il problema è che alla Regione Lazio c’erano anche molti “compagni” che partecipavano al banchetto e non si potevano coinvolgere in un eventuale scandalo !!
Se Joseph Pulitzer vedesse in che condizioni è il giornalismo nostrano, si agiterebbe nella tomba !!
Pina M.
Non compro più il Manifesto da quando ha appoggiato apertamente l’aggressione alla Yugoslavia. Da allora è stato tutto un cadere nella ideologia dominante, miscelata con un pò sinistrismo. Nessun punto di vista di classe. A mio avviso avrebbe dovuto togliere, e da tempo, il sottotilolo ‘quotidiano comunista’. Per chiarezza.
p.m.