Piazza rossa Un mare di bandiere (Usb, Rifondazione, Cobas, No Debito e altre cento sigle minori) per la prima vera manifestazione «di popolo» contro il governo della troika e dei tagli a pioggia
NO MONTI DAY Al di là delle previsioni.
NO MONTI DAY Al di là delle previsioni.
Oggi anche il cielo è contro
L’allarmismo mediatico non frena la mobilitazione lanciata in luglio dal «Comitato No Debito»
Francesco Piccioni
La battuta migliore circola tra chi guarda il cielo, da cui – contrariamente alle previsioni – non è caduta una sola goccia d’acqua. «Questo è un governo così ladro che pure dio, per non farlo contento, si è rifiutato di far piovere».
Oltre ai metereologi, hanno sbagliato alla grade anche i «professionisti dell’allarme», lungo la filiera che va da palazzo Chigi al Viminale, per scendere fino all’ultima redazione di provincia. Niente black blok, niente scontri, giornata di scorno per chi cerca solo sangue, sudore e polvere da sparo. L’allarmismo ha certo tenuto a casa un sacco di gente, memore di altre giornate e tensioni. Ma non troppa. E comunque quando i problemi reali premono, anche la «criminalizzazione preventiva» perde mordente. È stata perciò una manifestazione riuscita al di là delle più rosee attese degli organizzatori. E il perché è presto detto: c’era, e si vedeva, «organizzazione»; ossia lavoro, volontà, serietà, esperienza, quel pizzico di autodisciplina che aiuta nei momenti difficili.
Non è questione di «servizio d’ordine», di pettorine rosse e occhi aperti. Si è visto in piazza un senso, un ragionare comune che ha il governo come contraltare esplicito. È nato qualcosa. Un discorso sulle politiche economiche di Monti e Fornero, sulle «riforme strutturali» e sulle pretese di Confindustria e delle banche, che ha molto più corpo delle antiche giaculatorie «contro i padroni ed i banchieri». È un ragionamento critico su questa Europa, sul modo in cui viene costruita a tappe forzate e senza alcuna verifica democratica, a nessun livello. È l’emergere di proposte alternative che si pongono esplicitamente il problema della «credibilità», della fattibilità reale; non «il socialismo» in astratto, non una formula retorico.ideologica, ma qualcosa che si può fare e che magari va in quella direzione. Certo, non manca mai il gruppetto che si sgola a gridare «usciamo dall’euro»; ma lo sguardo di compatimento che in genere lo accompagna vale più di un documento critico.
Il gioco di questi tempi è «teso e tetro», ben pochi hanno voglia di far pura testimonianza. La dimensione «di movimento» c’è, è consistente, ma non è quella dominante. Lo spezzone dichiaratamente studentesco, per dire, aveva come punta più visibile e articolata i ragazzi napoletani di ClashCityWorkers; capaci di slogan creativi come «eat the rich», ma anche di gestire un sito di informazione strutturata, che spazia dall’analisi economica all’agitazione politica ragionata.
Sembrano insomma finiti gli anni ’90 e il primo decennio del nuovo secolo, quando il solo pensare a unire le forze era tacciato di «vetero-partitismo». Chiunque abbia guardato questo fiume di persone con occhi aperti ha potuto vedere almeno quattro grandi blocchi largamente convergenti nella presa d’atto che si è aperta un’altra stagione, quella dei tagli senza fine e della demolizione del «modello sociale europeo». E che quindi «la politica» per come è stata intesa nell’ultimo ventennio – grandi aggregazioni elettorali con «programmi» sempre più vaghi per «conquistare il centro» e andare al governo a qualsiasi costo – non ha più ragione di esistere.
Se da un lato c’è «il montismo» e la gestione stile troika, non c’è più lo spazio per la «mediazione condizionante» e l’alleanza elettorale finto-indipendente. O si sta in quel gioco, applicando per filo e per segno le disposizioni di Bce, Ue, Fmi; oppure si dà vita, come in tutta l’Europa attraversata dalla crisi, a un’opposizione. Radicale nei contenuti, a «volto scoperto e mani nude». Se si vogliono rappresentare interessi sociali concreti, riconoscibili, bisogna scagliere quale strada si prende. Perché c’è un bivio deciso, davanti a noi, non più un intrecciarsi di sentieri dalle molte direzioni.
È la fine di ogni gauche plurielle. I tanti protagonisti di quella stagione che ieri si aggiravano per il corteo sembravano faticare a trovare il proprio posto. Chi ha deciso che vuol stare nel prossimo governo (in caso di vittoria del centrosinistra), non è venuto in piazza e ha fatto bene a starne lontano. Chi vuol aiutare a costruire un’opposizione chiara, era benvenuto; mettendo infine la sordina alle sempiterne polemichette «di sinistra», pur senza dimenticare nulla. In mezzo non c’è più uno spazio vero d’azione politica. E nessuna retorica può più costruirlo.
La mescolanza generazionale, infine, è apparsa totale. Barbe bianche e volti imberbi camminano di nuovo insieme. Semmai si nota qualche rarefazione nelle generazioni di mezzo, quelle che con cinismo impressionante Monti ha definito «saltate». Ma chi vuol giocare a fare il Renzi, a contrapporre giovani e «maturi», da queste parti non ha spazio.
È nato qualcosa e può svilupparsi perché ha già gambe minimamente solide. Comitato No Debito, Rifondazione, Usb e Cobas sono i pilastri di questa giornata. Ognuno, a suo modo, è un agire collettivo strutturato, non una massa scomposta o uno sciame. Di fronte al senso di «ineluttabilità» e impotenza seminato dalla distanza siderale tra «politiche della troika» e possibilità concrete di reazione, sarebbe del resto ingenuo attendersi un fermentare di iniziative che trova «per sua natura» un alveo comune. Essere un «soggetto istituzionale», un sindacato o un partito, è in queste condizioni un must, non più un handicap.
È stata una giornata davvero particolare. Speriamo sia solo la prima di una nuova stagione.
La battuta migliore circola tra chi guarda il cielo, da cui – contrariamente alle previsioni – non è caduta una sola goccia d’acqua. «Questo è un governo così ladro che pure dio, per non farlo contento, si è rifiutato di far piovere».
Oltre ai metereologi, hanno sbagliato alla grade anche i «professionisti dell’allarme», lungo la filiera che va da palazzo Chigi al Viminale, per scendere fino all’ultima redazione di provincia. Niente black blok, niente scontri, giornata di scorno per chi cerca solo sangue, sudore e polvere da sparo. L’allarmismo ha certo tenuto a casa un sacco di gente, memore di altre giornate e tensioni. Ma non troppa. E comunque quando i problemi reali premono, anche la «criminalizzazione preventiva» perde mordente. È stata perciò una manifestazione riuscita al di là delle più rosee attese degli organizzatori. E il perché è presto detto: c’era, e si vedeva, «organizzazione»; ossia lavoro, volontà, serietà, esperienza, quel pizzico di autodisciplina che aiuta nei momenti difficili.
Non è questione di «servizio d’ordine», di pettorine rosse e occhi aperti. Si è visto in piazza un senso, un ragionare comune che ha il governo come contraltare esplicito. È nato qualcosa. Un discorso sulle politiche economiche di Monti e Fornero, sulle «riforme strutturali» e sulle pretese di Confindustria e delle banche, che ha molto più corpo delle antiche giaculatorie «contro i padroni ed i banchieri». È un ragionamento critico su questa Europa, sul modo in cui viene costruita a tappe forzate e senza alcuna verifica democratica, a nessun livello. È l’emergere di proposte alternative che si pongono esplicitamente il problema della «credibilità», della fattibilità reale; non «il socialismo» in astratto, non una formula retorico.ideologica, ma qualcosa che si può fare e che magari va in quella direzione. Certo, non manca mai il gruppetto che si sgola a gridare «usciamo dall’euro»; ma lo sguardo di compatimento che in genere lo accompagna vale più di un documento critico.
Il gioco di questi tempi è «teso e tetro», ben pochi hanno voglia di far pura testimonianza. La dimensione «di movimento» c’è, è consistente, ma non è quella dominante. Lo spezzone dichiaratamente studentesco, per dire, aveva come punta più visibile e articolata i ragazzi napoletani di ClashCityWorkers; capaci di slogan creativi come «eat the rich», ma anche di gestire un sito di informazione strutturata, che spazia dall’analisi economica all’agitazione politica ragionata.
Sembrano insomma finiti gli anni ’90 e il primo decennio del nuovo secolo, quando il solo pensare a unire le forze era tacciato di «vetero-partitismo». Chiunque abbia guardato questo fiume di persone con occhi aperti ha potuto vedere almeno quattro grandi blocchi largamente convergenti nella presa d’atto che si è aperta un’altra stagione, quella dei tagli senza fine e della demolizione del «modello sociale europeo». E che quindi «la politica» per come è stata intesa nell’ultimo ventennio – grandi aggregazioni elettorali con «programmi» sempre più vaghi per «conquistare il centro» e andare al governo a qualsiasi costo – non ha più ragione di esistere.
Se da un lato c’è «il montismo» e la gestione stile troika, non c’è più lo spazio per la «mediazione condizionante» e l’alleanza elettorale finto-indipendente. O si sta in quel gioco, applicando per filo e per segno le disposizioni di Bce, Ue, Fmi; oppure si dà vita, come in tutta l’Europa attraversata dalla crisi, a un’opposizione. Radicale nei contenuti, a «volto scoperto e mani nude». Se si vogliono rappresentare interessi sociali concreti, riconoscibili, bisogna scagliere quale strada si prende. Perché c’è un bivio deciso, davanti a noi, non più un intrecciarsi di sentieri dalle molte direzioni.
È la fine di ogni gauche plurielle. I tanti protagonisti di quella stagione che ieri si aggiravano per il corteo sembravano faticare a trovare il proprio posto. Chi ha deciso che vuol stare nel prossimo governo (in caso di vittoria del centrosinistra), non è venuto in piazza e ha fatto bene a starne lontano. Chi vuol aiutare a costruire un’opposizione chiara, era benvenuto; mettendo infine la sordina alle sempiterne polemichette «di sinistra», pur senza dimenticare nulla. In mezzo non c’è più uno spazio vero d’azione politica. E nessuna retorica può più costruirlo.
La mescolanza generazionale, infine, è apparsa totale. Barbe bianche e volti imberbi camminano di nuovo insieme. Semmai si nota qualche rarefazione nelle generazioni di mezzo, quelle che con cinismo impressionante Monti ha definito «saltate». Ma chi vuol giocare a fare il Renzi, a contrapporre giovani e «maturi», da queste parti non ha spazio.
È nato qualcosa e può svilupparsi perché ha già gambe minimamente solide. Comitato No Debito, Rifondazione, Usb e Cobas sono i pilastri di questa giornata. Ognuno, a suo modo, è un agire collettivo strutturato, non una massa scomposta o uno sciame. Di fronte al senso di «ineluttabilità» e impotenza seminato dalla distanza siderale tra «politiche della troika» e possibilità concrete di reazione, sarebbe del resto ingenuo attendersi un fermentare di iniziative che trova «per sua natura» un alveo comune. Essere un «soggetto istituzionale», un sindacato o un partito, è in queste condizioni un must, non più un handicap.
È stata una giornata davvero particolare. Speriamo sia solo la prima di una nuova stagione.
«Contro questa Europa, ora abbiamo rotto il silenzio»
Ylenia Sina
ROMA
Dai lavoratori dei sindacati di base agli insegnanti precari, dai militanti di partiti e forze della sinistra comunista agli studenti universitari e medi, fino ai comitati territoriali e i movimenti per il diritto all’abitare. È davvero impossibile elencare tutte le realtà che ieri pomeriggio sono scese in piazza a Roma per il «No Monti Day». Decine di migliaia le persone, 150 mila per gli organizzatori, comunque molte di più di quelle previste. «Un vero successo che sconvolgerà la politica italiana», per usare le parole di Giorgio Cremaschi, leader della Rete28Aprile Cgil, che, al termine del corteo, dal palco di una Piazza San Giovanni stracolma di gente ha affermato: «oggi l’Italia rientra in Europa a fianco dei popoli che lottano contro le politiche di austerity imposte dalle banche e dalla finanza internazionale».
Alle 14 e 30, orario «formale», la testa del corteo ha già lasciato Piazza della Repubblica. In apertura, il Comitato 16 Novembre Onlus dei malati e disabili gravissimi che in cinquanta, da ormai una settimana, stanno facendo lo sciopero della fame per «chiedere al governo di ripristinare un piano per l’autosufficienza». Subito dietro, lo striscione «Con l’Europa che si ribella. Cacciamo il governo Monti», sostenuto da diversi esponenti della sinistra e dei sindacati di base, tra cui Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione, Vittorio Agnoletto, Pierpaolo Leonardi e Fabrizio Tomaselli coordinatori dell’Unione sindacale di base (Usb) e Piero Bernocchi, leader dei Cobas, che ha sottolineato «Monti ha fallito perché da un anno a questa parte, con le sue politiche, la crisi si è aggravata, il debito è aumentato mentre è continuato il massacro dei lavoratori e il taglio di redditi e servizi». All’altezza di Santa Maria Maggiore, una via Cavour in salita permette una visuale privilegiata sul fiume di gente in corteo la cui coda rimarrà ferma in Piazza della Repubblica almeno fino a quando la testa oltrepasserà metà del percorso. A colpo d’occhio colpiscono le bandiere rosse. Tantissime quelle dell’Usb in piazza con uno spettro di categorie da «sciopero generale», dalla sanità ai trasporti ai pompieri, con delegazioni da tutta Italia. Numerose quelle di Cobas e Cub. Sparse tra la folla, le bandiere bianche No Tav e quelle blu dell’acqua pubblica. In piazza anche i lavoratori Ilva di Taranto, con i delegati Usb «dentro alla nostra fabbrica da soli due mesi», arrivati a Roma per il No Monti Day «per opporsi a chi vuole mettere la nostra salute e quella delle nostre famiglie contro il nostro lavoro».
Contro il governo Monti anche il comitato emiliano Sisma.12, «perché ci hanno tagliato il diritto a ricostruire le nostre case», e chi da un anno si oppone «alle politiche di austerità e del fiscal compact» come il movimento Rivolta il debito di Sinistra Critica e il Comitato No Debito.
Ma non solo lavoro e politica. L’opposizione al governo vede una mobilitazione davvero ampia. Ci sono i movimenti per il diritto all’abitare, con l’auspicio che «nei prossimi mesi il percorso vada verso un radicamento ulteriore del conflitto nei territori». Centinaia gli studenti universitari e medi, partiti la mattina dall’università La Sapienza, e confluiti, dopo essere «passati» da Piazza San Giovanni, in un corteo «selvaggio» che ha occupato la vicina tangenziale per poi bloccare per diversi minuti l’autostrada A24 prima di tornare all’università. «Vogliamo rompere la cappa di immobilismo che sta vivendo l’Italia» hanno affermato annunciando una settimana di mobilitazione, dal 14 al 17 novembre, «in occasione del primo ‘sciopero europeo’, che si terrà proprio il 14 novembre». Vicini agli studenti anche i precari della scuola che oggi saranno davanti al Ministero dell’Istruzione per un flash mob di protesta, mentre per il 10 hanno indetto un corteo romano, invitando tutte le altre città a fare altrettanto, per «contestare le politiche sulla scuola».
Da quando la testa del corteo arriva a Piazza San Giovanni, la gente continua a confluire per molto tempo. «Siamo più tanti di quelli della piazza della Camusso», ironizza dal palco Pierpaolo Leonardi (Usb) sintetizzando la contrarietà condivisa da tutti i presenti sulla scelta della Cgil di non indire lo sciopero generale per il 14 novembre, come invece fatto dai principali sindacati in Spagna, Grecia e Portogallo. E l’opposizione sociale scesa in piazza ieri ripartirà proprio il 14 quando, come negli altri paesi, «andremo davanti al Parlamento della Repubblica italiana per protestare. Il nostro percorso è appena iniziato».
ROMA
Dai lavoratori dei sindacati di base agli insegnanti precari, dai militanti di partiti e forze della sinistra comunista agli studenti universitari e medi, fino ai comitati territoriali e i movimenti per il diritto all’abitare. È davvero impossibile elencare tutte le realtà che ieri pomeriggio sono scese in piazza a Roma per il «No Monti Day». Decine di migliaia le persone, 150 mila per gli organizzatori, comunque molte di più di quelle previste. «Un vero successo che sconvolgerà la politica italiana», per usare le parole di Giorgio Cremaschi, leader della Rete28Aprile Cgil, che, al termine del corteo, dal palco di una Piazza San Giovanni stracolma di gente ha affermato: «oggi l’Italia rientra in Europa a fianco dei popoli che lottano contro le politiche di austerity imposte dalle banche e dalla finanza internazionale».
Alle 14 e 30, orario «formale», la testa del corteo ha già lasciato Piazza della Repubblica. In apertura, il Comitato 16 Novembre Onlus dei malati e disabili gravissimi che in cinquanta, da ormai una settimana, stanno facendo lo sciopero della fame per «chiedere al governo di ripristinare un piano per l’autosufficienza». Subito dietro, lo striscione «Con l’Europa che si ribella. Cacciamo il governo Monti», sostenuto da diversi esponenti della sinistra e dei sindacati di base, tra cui Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione, Vittorio Agnoletto, Pierpaolo Leonardi e Fabrizio Tomaselli coordinatori dell’Unione sindacale di base (Usb) e Piero Bernocchi, leader dei Cobas, che ha sottolineato «Monti ha fallito perché da un anno a questa parte, con le sue politiche, la crisi si è aggravata, il debito è aumentato mentre è continuato il massacro dei lavoratori e il taglio di redditi e servizi». All’altezza di Santa Maria Maggiore, una via Cavour in salita permette una visuale privilegiata sul fiume di gente in corteo la cui coda rimarrà ferma in Piazza della Repubblica almeno fino a quando la testa oltrepasserà metà del percorso. A colpo d’occhio colpiscono le bandiere rosse. Tantissime quelle dell’Usb in piazza con uno spettro di categorie da «sciopero generale», dalla sanità ai trasporti ai pompieri, con delegazioni da tutta Italia. Numerose quelle di Cobas e Cub. Sparse tra la folla, le bandiere bianche No Tav e quelle blu dell’acqua pubblica. In piazza anche i lavoratori Ilva di Taranto, con i delegati Usb «dentro alla nostra fabbrica da soli due mesi», arrivati a Roma per il No Monti Day «per opporsi a chi vuole mettere la nostra salute e quella delle nostre famiglie contro il nostro lavoro».
Contro il governo Monti anche il comitato emiliano Sisma.12, «perché ci hanno tagliato il diritto a ricostruire le nostre case», e chi da un anno si oppone «alle politiche di austerità e del fiscal compact» come il movimento Rivolta il debito di Sinistra Critica e il Comitato No Debito.
Ma non solo lavoro e politica. L’opposizione al governo vede una mobilitazione davvero ampia. Ci sono i movimenti per il diritto all’abitare, con l’auspicio che «nei prossimi mesi il percorso vada verso un radicamento ulteriore del conflitto nei territori». Centinaia gli studenti universitari e medi, partiti la mattina dall’università La Sapienza, e confluiti, dopo essere «passati» da Piazza San Giovanni, in un corteo «selvaggio» che ha occupato la vicina tangenziale per poi bloccare per diversi minuti l’autostrada A24 prima di tornare all’università. «Vogliamo rompere la cappa di immobilismo che sta vivendo l’Italia» hanno affermato annunciando una settimana di mobilitazione, dal 14 al 17 novembre, «in occasione del primo ‘sciopero europeo’, che si terrà proprio il 14 novembre». Vicini agli studenti anche i precari della scuola che oggi saranno davanti al Ministero dell’Istruzione per un flash mob di protesta, mentre per il 10 hanno indetto un corteo romano, invitando tutte le altre città a fare altrettanto, per «contestare le politiche sulla scuola».
Da quando la testa del corteo arriva a Piazza San Giovanni, la gente continua a confluire per molto tempo. «Siamo più tanti di quelli della piazza della Camusso», ironizza dal palco Pierpaolo Leonardi (Usb) sintetizzando la contrarietà condivisa da tutti i presenti sulla scelta della Cgil di non indire lo sciopero generale per il 14 novembre, come invece fatto dai principali sindacati in Spagna, Grecia e Portogallo. E l’opposizione sociale scesa in piazza ieri ripartirà proprio il 14 quando, come negli altri paesi, «andremo davanti al Parlamento della Repubblica italiana per protestare. Il nostro percorso è appena iniziato».
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