I futurologi si scatenano ogni fine anno, anche in economia. E molti quotidiani pro-Monti provano con tutta la loro buona volontà a rintracciare sulla linea dell’orizzonte quella “luce in fondo al tunnel” di cui il premier venuto dal freddo ha presuntuosamente (e pretestuosamente) parlato.
Ma non ne trovano. Repubblica affida al buon Marco Panara il compito di condurre la perlustrazione, guidandoci sul “mare di liquidità e debito” che avvolge sopprattutto i mercati occidentali. E non fa mistero di considerare la liquidità garantita (o promessa) dalle banche centrali di Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna ed Eurozona l’unica garanzia – fin qui – nei confronti di un tracollo disastroso delle rispettive economie.
Debito e liquidità stanno infatti di fronte l’uno all’altro. La seconda frena la richiesta di “rientro” a breve termine del primo, che comporterebbe la chiusura di una lista di attività praticamente infinita. Ma prima o poi i debiti vanno pagati, e a quel punto si verifica se fallisce i debitore o il creditore. O entrambi.
Che la massa di debito in circolazione possa essere davvero “ripagata” non lo crede più nessuno. Lo si è visto nella crisi greca, dove nonostante una terapia choc di una spietatezza mai vista dai tempi del “piano Doves” (contro la Germania di Weimar), alla fine i creditori hanno dovuto mettere in conto – prima – un robusto “taglio dei capelli” e – ora – l’esame disincantato di un’eventualità sempre scartata con orrore: condonare quel debito, ovvero rinunciare al “rientro”.
Ma la Grecia è un “paesetto”, e anche la massa dei suoi debiti – alla fin fine – non è tale da provocare dissesti seri nel sistema finanzario internazionale. Qualcuno soffrirà, oltre al popolo greco, ma tutto potrebbe tranquillamente continuare come prima.
Per Spagna e soprattutto Italia il ragionamento è completamente diverso. Questione di dimensioni, che da sole fanno la qualità superiore del problema. Qui la liquidità “illimitata” promessa da Draghi in estate, quando impugnò il “bazooka” del possibile acquisto di titoli di stato dei due paesi, ha per il momento congelato i pericoli. Ma lo stallo funziona finché quel bazooka resta potenziale, ovvero minacciosamente inattivo. Il giorno che, per qualche motivo, dovesse cominciare ad essere usato davvero per “sparare” soldi, ci sarebbe la più logica delle reazioni di mercato: qualcuno che comincia a scommettere sulla quantità di munizioni di cui dispone la Bce. O, almeno, sui limiti concreti di una “quantità illimitata” che può esistere solo nelle parole, mai nella pratica. Si chiama speculazione, ovvero la “normalità” fisiologica quotidiana del mercato finanziario.
Le “speranze” dei filo-montiani si aggrappano dunque ad alcune modifiche possibili nella regolazione generale – globale – dei mercati finanziari. Obama, per esempio, potrebbe proporre una riedizione aggiornata del Glass-Steagall Act abolito dal suo amico Bill Clinton a metà anni ’90. Era la legge che imponeva la separazione assoluta tra banche commerciali (quelle che raccolgono risparmi ed erogano prestiti a famiglie e imprese, e fanno profitti con queste attività) e banche di investimento (quelle che speculano sui mercati globali). Era una legge scritta a valle della crisi del 1929, sulla base dei guasti provocati dall’”industria finanziaria”).
Meglio ancora potrebbe fare la risoluzione del potenziale “fiscal cliff” statunitense, che aiuterebbe le finanze statali a sostenere la fiacca economia Usa, che sta vivendo una “crescita” tanto tenue quanto incerta grazie anche a qualche robusta “reinternalizzazione” industriale.
Un’altra “lucina” potrebbe essere accesa dalla nuova possibile accelerazione della crescita cinese, facilitata anche lì da un ricambio di governo. Ma è una speranza che deve fare i conti con la vittoria dei conservatori in Giappone, che hanno vinto promettendo un rapporto più intransigente e nazionalistico proprio con Pechino; le tensioni geopolitiche tra questi due paesi difficilmente avrebbero ricadute positive sul loro Pil, a meno di non deviarne il corso in direzione delle spese militari…
“Mister Catastrofe”, al secolo Nouriel Roubini – uno dei pochi ad aver previsto la crisi del 2007 – conferma che è “l’Europa l’anello debole dell’economia globale”. Tra le cause di questa debolezza mette naturalmente le politiche di austerity “che ora si vanno estendendo dalla periferia al centro” – anche a Francia e Germania, dunque – creando le condizioni ideali per una recessione continentale duratura. Una notazione del suo discorso, in particolare, è interessante: questa “debolezza indotta”, al contrario di quanto promesso proprio da Monti, Draghi, Merkel, ecc, allontana gli investitori internazionali. Le tensioni sociali e politiche nell’area, sia già attive che soprattutto potenziali, derivanti proprio dalle politiche economiche draconiane, sconsigliano infatti gli investimenti esteri.
Paradossale? Niente affatto. Basta aver letto un po’ di storia, non solo economica. Ma tra i “tecnici” al governo abbondano economisti dalla cattedra e banchieri. Di “storici” neanche l’ombra…
Facile dunque rifare errori tragici di 80 anni fa.
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